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Suffragette – Una rivoluzione al femminile
di Natalina Vaschetti
Considerata la data in cui era programmato il mio intervento mi è sembrato quasi normale parlare di un tema inerente le donne, ma non mi è parso il caso di parlare di come nasce la festa della donna anche perché credo che molti di voi conoscano la storia. Ho pensato quindi di “inoltrarmi” su un sentiero più ardito ovvero parlare della nascita delle suffragette e quindi del diritto di voto alle donne, ma soprattutto inquadrare questo movimento, per quanto possibile, all’interno della storia di quegli anni in Europa e poi in Italia.
La conquista dei diritti politici delle donne non fu affatto una progressiva concessione o un’estensione dei principi liberali e democratici, ma fu il risultato di una lunga e dura battaglia con morti e feriti. La rivendicazione delle donne di avere accesso alla sfera pubblica – che fin dai tempi di Aristotele prevedeva la completa espulsione delle donne – provocò una tenacissima resistenza anche perché l’esclusione delle donne dalla vita pubblica significava il loro completo assoggettamento nella sfera privata e la battaglia per il diritto al voto mirava ad andare al di là di questo e diventare una battaglia per l’uguaglianza tra uomini e donne. Una vera catastrofe! (per gli uomini si intende). (1)
D’altra parte la convinzione che la donna dovesse essere soggetta all'uomo è patrimonio comune di tutti i popoli dell’antichità organizzati nella famiglia patriarcale.
Ma anche la storia del “movimento femminista” ha radici lontane al punto che si può collocare già nell'Antica Roma: quando, nel 200 a. C, si propose di abrogare la legge che vietava alle donne di possedere più di mezza oncia d'oro, di portare vestiti multicolori e di passeggiare in carrozza, le "femministe" del tempo inscenarono una manifestazione di piazza per difendere i loro diritti. Ma non riuscirono nel loro intento, per l'accanita opposizione del maschilista Catone, che sosteneva che gli uomini non dovevano far calpestare la loro indipendenza negli affari pubblici dalla prepotenza muliebre.
La situazione della donna non mutò molto nel Medioevo quando, addirittura, alcuni "intellettuali" si imbarcavano in estenuanti discussioni per risolvere un problema che oggi può soltanto farci ridere: la donna era dotata di un'anima (come l'uomo) oppure ne era priva (come le bestie)? (2)
Tuttavia oggi, per fortuna, tutti noi diamo per acquisiti una serie di diritti, tra i quali quello del voto alle donne, e non ci chiediamo neppure più da quanto in effetti essi siano esigibili.
Bene, questa cartina ci ricorda che in alcuni parti del mondo è un diritto ancora molto recente e che la civilissima Svizzera, per restare in Europa, ha concesso il voto e il diritto alla eleggibilità alle donne solo nel
1971, ben 100 anni dopo le prime rivendicazioni iniziate nel 1868
Anche se non ci sono fonti certissime pare che il primo Paese a concedere il diritto di voto alle donne sia stata la Repubblica Corsa (1755), poi l’Isola di Man (1881), le Isole Pitcairn (1838), il Wyoming (1869) e la Nuova Zelanda (1893) che erano però ancora colonie britanniche, quindi non Paesi indipendenti. (3)
In Europa fu il Granducato di Finlandia nel 1907 il primo Paese a concedere il suffragio universale alle donne e sempre nello stesso anno vennero elette le prime donne in Parlamento.
Nel 1913 anche la Danimarca e la Svezia diedero il diritto di voto alle donne. Dieci anni più tardi, in occasione della Rivoluzione nel novembre del 1917, in Russia ci furono le elezioni per l’assemblea costituente con il suffragio universale, confermato l’anno successivo dalla costituzione sovietica. (4)
Nel 1918 il suffragio femminile venne concesso alle donne sia in Canada (fatta eccezione per il Quebec, dove arrivò solo nel 1940) e anche in Gran Bretagna, dove nel 1928 fu garantito a tutte le donne con almeno 21 anni di età. Nel 1919 anche le donne olandesi poterono votare e nel 1920 il suffragio femminile arrivò nelle Stati Uniti. Alcuni anni dopo, nel 1926 anche le donne turche poterono esprimere il proprio parere alle elezioni della Turchia). (5)
Ma vediamo di procedere con ordine e vedere da dove nasce il movimento suffragista
Parlando di suffragette quasi a tutti noi viene in mente l’immagine della signora Banks di Viale dei Ciliegi 17 a Londra dove atterra Mary Poppins
La signora Banks in effetti rappresenta, in parte, il tipo di donna che si è schierata con il movimento inglese delle Suffragette: di buona famiglia, di buona cultura e con una situazione economica che le permetteva di concedersi quello che nel film appare quasi come uno sfizio.
C’è qualcosa di vero in tutto ciò: il movimento delle suffragette è spesso rappresentato da donne della media alta borghesia (parlo dell’Inghilterra) qualche volta sostenute da mariti illuminati che mettevano a rischio la propria onorabilità per appoggiare il movimento delle donne. Tutto ciò vale però solo per i primi tempi, negli anni al movimento diciamo così “elitario” si aggiunsero donne di ogni estrazione sociale che pagarono spesso un prezzo molto più alto delle colleghe più abbienti, banalmente per l’impossibilità di pagarsi le cauzioni o perché perdevano lavoro, famiglia e affetti per essersi unite al movimento.
Tratti distintivi di queste donne erano tailleur di colori scuri, con gonne lunghe e giacche che mettevano in risalto le forme, oltre la fascia, messa dalle più attiviste, con frasi di incitamento al voto
come “Votes for women”. (6)
I PRIMI PASSI
La nascita del “fenomeno suffragette” (e del femminismo in generale) viene fatta di solito risalire alla seconda metà del 1800 con epicentro in Inghilterra, ma in realtà esiste anche una “preistoria” del movimento per il suffragio rappresentato da Olympe de Gouges,
pseudonimo di Marie Gouze, filosofa francese che pubblicò nel 1791 la “Déclaration des droits de la femme et de la citoyenne” sul modello della “Dèclaration des droits de l’homme et du citoyen.”. Inutile ricordare che anni turbolenti fossero. (7)
La sua dichiarazione voleva far comprendere alla società di essere composta da due sessi e che pertanto i diritti dovevano essere uguali per uomini e donne. All’art. X della “Déclaration” era scritto “La donna ha il diritto di salire sul patibolo, deve avere anche quello di salire sulla tribuna”
La Gouze si schiera apertamente contro Marat e Robespierre, a fianco dei girondini, e dopo la caduta di questi ultimi viene accusata di aver scritto un pamplet girondino, viene quindi arrestata il 20 luglio 1793 e condannata a morte. Verrà ghigliottinata il 3 novembre 1793 anche a causa dei suoi scritti sull’eguaglianza tra uomo e donna. Così la Rivoluzione francese anziché realizzare quella universalità dei diritti che, almeno a parole, proclamava continuò a posizionarsi sui valori dell’Ancien Regime. (8)
Altra donna che ispirò il movimento suffragista è Mary Wollstonecraftconsiderata uno dei primi e più influenti esempi di filosofia femminista. Proveniente da una famiglia modesta e con un padre alcolista si mantenne col proprio lavoro e studio da autodidatta. Nel 1792 pubblicò A Vindication of the Right of Women, suo secondo libro, dove teorizza che le donne dovrebbero avere un’educazione rapportata alla loro posizione nella società, che sono essenziali alla loro nazione dal momento che educano i figli e sono - o potrebbero essere - le «compagne» dei loro mariti e non semplicemente delle spose (9). E ancora “Invece di considerare le donne una sorta di ornamento della società e un oggetto di mercato in occasione del matrimonio, esse sono, in quanto esseri umani, titolari degli stessi diritti fondamentali riconosciuti agli uomini”. Si scaglia contro uomini del calibro di James Fordyce, con John Gregory e con Jean-Jacques Rousseau che negano che le donne non abbiano diritto all’educazione e soprattutto contesta a Rousseau l’idea che le donne avrebbero dovute essere educate in modo da piacere all’uomo (lo sostiene nell’Emile).
Il movimento vero e proprio delle suffragette, inteso come movimento nazionale volto a chiedere il suffragio femminile, vide però la luce solo nel 1869. Nel 1897 venne formata la Società Nazionale per il suffragio femminile (National Union of Women’s Suffrage). Una dei suoi presidenti fu Millicent Garrett Fawcett che militò su posizioni moderate e cercò di convincere anche gli uomini ad aderire al movimento, dato che erano i soli, in quel momento storico, a poter legalmente concedere il diritto di voto. La sua posizione nasceva anche dai suoi trascorsi politici e dalla sua fiducia nel deputato radicale John Stuart Mill uno dei primi sostenitori del suffragio femminile.
Incontrando l’ostilità e la diffidenza maschili, la situazione di stallo per le donne si protrasse fino al 1903, quando Emmeline Pankhurst fondò l’Unione sociale e politica delle donne (Women’s Social and Political Union – WSPU), con lo scopo dichiarato di far ottenere alle donne il diritto di voto politico, concesso solo agli uomini sul piano nazionale.
Le posizioni della Pankhurst e della Fawcett diversero nel tempo fino a dar vita a due movimenti distinti.
Su Emmeline Pankhurst, personaggio di spicco di tutto il movimento suffragista, è opportuno qualche approfondimento in più. La Pankhurst è autrice di un libro autobiografico “Suffragette: la mia storia” dove descrive in maniera piana, senza enfasi, il suo percorso di vita, dalla nascita fino al 1914 anno in cui, come vedremo, il movimento sancì una tregua col governo. Nel libro, pur non utilizzando toni enfatici, riesce a rendere l’idea della difficoltà, frustrazione e dolore che lei e le altre attiviste hanno attraversato in 11 anni di battaglie.
Emmeline nasce a Manchester il 15 luglio 1858. È la prima di 10 figli di Robert e Sophie Goulden. La famiglia è agiata (il padre possiede una piccola azienda) e i genitori, entrambi sostenitori del movimento contro la schiavitù e dei diritti delle donne. Una famiglia progressista, che porta la bambina alle riunioni del movimento e dove vive circondata da affetto e amore, come lei stessa scrive nella sua autobiografia “Suffragette: la mia storia”
Nonostante questa situazione di agiatezza e amore Emmeline capisce che c’è qualcosa che non va, lo capisce sentendo i genitori che parlano degli studi dei ragazzi: per i maschi si dibatte su quale scuola scegliere, per le femmine c’è solo un collegio locale che insegnava principalmente abilità sociali che avrebbero consentito loro di diventare buone mogli. Questa sua impressione le viene confermata dal padre che, mentre va a fare il saluto serale ai figli, credendola già addormentata, dice “Peccato che non sia un maschio”. Capisce che in Inghilterra le donne non contano nulla, ma lungi dal compiangersi per essere donna decide di non accettare tale situazione.
A soli 20 anni sposa Richard Pankhurst, un avvocato radicale di Manchester che aveva più del doppio della sua età e di cui ammirava l’impegno per le cause liberali e per il movimento per il suffragio femminile. Insieme daranno vita ad uno strano connubio da cui nasceranno in rapida successione 5 figli; un connubio in cui l’impegno per le cause sociali si intreccia ad una vita privata non facilissima a causa di problemi finanziari, problemi che il padre di lei si rifiuta di alleviare. La figlia non glielo perdonerà mai.
Panskhurt proverà più volte a farsi eleggere deputato ma non riuscirà nell’intento, così come non vedrà mai la luce il suo disegno di legge per il voto alle donne, pur ripreso in mano più volte nel corso degli anni.
Rimasta vedova a soli 40 anni Emmeline scopre che il marito l’aveva lasciata piena di debiti. Per saldare vende i mobili di casa e accetta un lavoro come registratrice di nascite, matrimoni e nozze.
Nel suo lavoro entra in contatto con situazioni difficili e drammatiche che spesso hanno per protagoniste le donne, spesso giovani o poco più che bambine. Molte erano ragazze madri, messe incinte da datori di lavoro che le abbandonavano poi al loro destino. In caso fosse stato possibile dimostrare chi era il padre naturale questi versando 20 sterline veniva sciolto da ogni obbligo, mentre la povera madre doveva dimostrare di sapersi curare del bambino che, in caso contrario, le veniva tolto. Al tempo, siamo nel 1898-99, in Inghilterra era in vigore una legge che imponeva il controllo del modo di cura dei minori, senza ovviamente che si tenesse conto delle capacità economiche delle famiglie. Capitava così che donne sole che si ammazzavano di lavoro per pochi penny, ma anche madri di famiglia con 4-5 figli e un marito disoccupato o che lavorava per pochi penny, si vedessero portare via i figli che venivano avviati al ricovero dei poveri mentre le madri subivano l’arresto!
Per non dire delle donne che rimanevano vedove e non avevano alcun sostentamento perché è vero che erano stati approvati le prime “pensioni” per i lavoratori, ma queste cessavano con la morte del lavoratore e le paghe erano talmente basse che era difficile che una famiglia potessi fare grandi risparmi.
Anche se erano stati compiuti alcuni progressi in favore delle donne, ad esempio con l'approvazione della legge sulla proprietà delle donne sposate che garantiva alle donne il diritto di ereditare la proprietà e di mantenere i soldi guadagnati), le donne senza un reddito e senza una famiglia (leggasi marito) alle spalle, si trovavano nella situazione di morire di stenti o di finire in prigione.
Le storie che sentiva da queste donne rafforzano in Emmeline la sua sensazione che le donne fossero vittime di leggi ingiuste, leggi a cui dovevano sottostare ma che non avevano contribuito a scrivere.
Nell'ottobre 1903 Pankhurst fonda la Women's Social and Political Union (WSPU).
L'organizzazione, il cui semplice motto era "Voto per le donne", accettava solo donne come membri e cercava attivamente di coinvolgere anche quelle della classe operaia
Le riunioni della nuova organizzazione si tenevano semplicemente nella casa di Emmeline e il numero delle associate cresceva costantemente. La stampa le chiama in modo derisorio “suffragette” giocando sull’assonanza con il termine sofferenza; ma le donne accettano questo nome e da allora si chiamarono Suffragettes e diedero tale nome al loro giornale “The Suffragettes”
La primavera successiva, Pankhurst partecipò alla conferenza del partito laburista, portando con sé una copia del disegno di legge sul suffragio femminile scritto anni prima dal suo defunto marito. Il partito laburista le ha assicurato che il suo disegno di legge sarebbe stato discusso durante la sessione di maggio.
Quando arrivò quel giorno tanto atteso, Pankhurst e altri membri della WSPU affollarono la Camera dei Comuni, aspettandosi che il loro disegno di legge sarebbe stato discusso. Con loro grande delusione, i membri del Parlamento hanno organizzato un "discorso", durante il quale hanno intenzionalmente prolungato la discussione su altri argomenti, senza lasciare tempo per il disegno di legge sul suffragio femminile.
A questo punto Emmeline capisce che sulla questione femminile non occorrono idee nuove, ma nuove tattiche e che aggregarsi a partiti guidati da uomini e sperare nella loro lungimiranza e nel dibattito come confronto tra le parti è inefficace “la via politica è inutile” dirà. D’altra parte, a fine Ottocento, la metà degli uomini ancora non vota e la causa che sembra loro prioritaria è quella di classe, non certo quella di genere.
La prima nuova tattica di Emmeline e del suo gruppo è l’interruzione dei comizi: brandendo uno striscione con scritto Voto alle donne – ideato da una della figlia Christabel (entrambe le figlie Christabel e Sylvia la seguono nella sua impresa) si alzano in piedi e prendono la parola. “Dobbiamo togliere pace e visibilità al governo è la parola d’ordine. La prima marcia organizzata a Trafalgar Square, e subito invano vietata, vedrà uno stuolo di donne – la maggior parte ladies camuffate in abiti comuni – che The Mirror, avvertito astutamente da Emmeline, immortala con foto a piena pagina, e la nascita del termine suffragetta, ben distinto da suffragista che aspira al voto, ma non si batte per averlo, chiaro riferimento al movimento della Millicent Fawcett
Ai giudici scandalizzati, che si vedono sfilare inappuntabili madri di famiglia e leggiadre signorine con cappello fiorito di rose (per imitare la leader Emmeline), ribattono: Non possiamo protestare ordinatamente come tutti i bravi cittadini perché, senza voto, non possiamo definirci tali”. (10)
Nel 1905, anno delle elezioni generali, le donne della WSPU trovarono ampie opportunità per farsi sentire. Durante una manifestazione del Partito Liberale tenutasi a Manchester il 13 ottobre 1905, Christabel Pankhurst e Annie Kenny, un’operaia attivista della prima ora, posero ripetutamente la domanda agli oratori: "Il governo liberale darà voti alle donne?" Nasce un vero e proprio putiferio e le due donne vengono arrestate e, rifiutandosi di pagare le multe, furono mandati in prigione per una settimana.
Questi furono i primi dei 1000 e più arresti di suffragette negli anni a venire.
La Pankhurst si è evoluta in un oratore pubblico potente e avvincente. Gira il paese, tenendo discorsi a raduni e manifestazioni, mentre Christabel diventa l'organizzatrice politica della WSPU. Viene chiamata anche più volte America dove troverà all’inizio un movimento suffragista ancora agli albori ma che crescerà negli anni a venire e che soprattutto troverà maggior riscontro nella popolazione maschile.
Risale a quegli anni l’episodio che ora tutti ricordiamo nella festa del '8 marzo: più di 100 operaie (i numeri varano da 129 a 150) riunite in sciopero muoiono all’interno dell’azienda tessile in cui lavoravano durante un improvviso incendio.
Tornando al nostro movimento le suffragette non trovano alcun riscontro alle loro istanze nella parte politica, anzi vengono più volte tradite all’ultimo da politici che consideravano amici e hanno nel Primo Ministro Herbert Henry Asquith un nemico giurato. A questo punto Emmeline decide che se seguendo quello che dice di legge non si riesce ad avere udienza (più volte provano ad avere udienza dal primo Ministro e addirittura dal Re senza mai riuscire nell’intento) è ora di alzare i toni dello scontro e nei sette anni successivi Pankhurst e altre suffragette furono ripetutamente arrestate.
Fra tutti i momenti simbolo di cui la storia delle suffragette è costellato, il Black Friday è quello decisamente più famoso, oltre che inverosimilmente violento. Il 18 novembre del 1910 era un venerdì e più di 300 donne si riunirono e marciarono insieme tra le strade londinesi. Arrabbiate con il governo e frustrate dalla situazione che le vedeva (apparentemente) impotenti, le donne camminarono fino alla Casa del Parlamento. Qui si consumò uno degli eventi più cruenti nella storia del movimento femminista. Proprio nella piazza di fronte alla Casa del Parlamento ebbe luogo un brutale scontro fra polizia e suffragette. Il feroce conflitto si concluse con la morte di due donne e l’arresto di centinaia di manifestanti. Nella foto Ada Wright barbaramente picchiata.
Nel 1912 proclamarono la "Guerra delle vetrine" prendendo a sassate ogni negozio londinese. Il 4 marzo 1912, centinaia di donne, tra cui Pankhurst (che ha rotto una finestra nella residenza del primo ministro), partecipano a una campagna di lancio di pietre e di rottura di finestre nei distretti commerciali di Londra. Pankhurst è stata condannata a nove mesi di prigione per la sua parte nell'incidente.
Per protestare contro la loro prigionia, lei e altre detenute intraprendono lo sciopero della fame. Il governo esasperato dagli scontri e con la paura di vedere trasformate in martiri le detenute che dovessero morire ordina che vengano alimentate forzatamente attraverso tubi di gomma. È una pratica terribile che porterà alla morte di alcune donne e molte altre resteranno mutilate per sempre.
La Pankhurst nel suo libro descrive in maniera piana e senza enfasi le fasi di questa terribile pratica, ma pur nella quasi neutralità delle sue parole di percepisce tutto il dolore e lo strazio di queste creature.
L’opinione pubblica rimane inorridita da quanto apprende sulla pratica e il movimento, lungi dal venire disapprovato come il governo pensava, continua a trovare sempre più appoggi tra la gente comune, donne ma anche uomini che sono indignati per quanto viene fatto a delle donne che chiedono solo il diritto di essere cittadine votanti. La Pankhurst fa notare spesso durante le sue incarcerazioni che vengono applicate alle donne pene durissime e il carcere da delinquente comune mentre ai terroristi e ai minatori dell’Ulster che in quel periodo erano in lotta contro la Corona Inglese viene applicato lo status di detenuto politico.
Per non utilizzare l’alimentazione forzata il governo arriva ad approvare addirittura una legge che si chiama “Cat and mouse”: le detenute che facevano lo sciopero della fame venivano rilasciate quando erano troppo debilitate affinché si riprendessero e poi venivano di nuovo arrestate. Anche la Pankhurst subirà più volte questa pratica.
Nel 1913 il movimento suffragista ebbe anche la sua prima martire pubblica; una giovane inglese, Emily Davinson, si gettò sotto la carrozza reale durante un affollato derby e rimase uccisa.
Ma arriviamo al 1914, in seguito al coinvolgimento della Gran Bretagna nella prima guerra mondiale Pankhurst pone fine alle azioni più militanti della WSPU poiché credeva fosse dovere di ogni patriota aiutare la nazione nello sforzo bellico. Ordinò quindi che fosse dichiarata una tregua tra la WSPU e il governo. In cambio, tutti i prigionieri delle suffragette furono rilasciati.
Come sappiamo la guerra ha dato l’opportunità alle donne di dimostrare il loro valore, svolgendo i lavori prima svolti dagli uomini. Ciò fece cambiare atteggiamento al governo che già nel 1916 le considerava meritevoli del voto per aver servito il loro paese.
Il 6 febbraio 1918 il Parlamento approvò la Legge sulla Rappresentanza del Popolo, che concedeva il voto a tutte le donne sopra i 30 anni.
Emmeline Pankhurst muore all'età di 69 anni il 14 giugno 1928, poche settimane prima che il voto fosse esteso a tutte le donne di età superiore ai 21 anni il 2 luglio 1928.
Due anni dopo vicino al Parlamento britannico, nei Victoria Tower Gardens, venne eretto un monumento in suo onore.
Nel 1999 Time l'ha inserita nella lista delle 100 persone più importanti del ventesimo secolo. Nonostante le critiche per le tattiche adottate, tutti sono concordi nell'attribuire al suo ruolo nel movimento la conquista del voto alle donne nella Gran Bretagna nel 1918 (inizialmente limitato alle donne sopra i 30 anni).
E in Italia?
Come sappiamo in Italia con lo Statuto Albertino il diritto di voto era stato concesso solamente ai cittadini maschi in possesso di una serie di requisiti: età non inferiore ai 25 anni, saper leggere e scrivere, pagamento di un censo di 40 lire. Al voto erano ammessi, anche non pagando l'imposta stabilita, i cittadini che rientravano in determinate categorie quali magistrati, professori, ufficiali.
Con l'avvento dell'Unità i diritti di voto garantiti localmente vennero meno e si diede per scontata l'esclusione delle donne dalla vita politica dettata dalle tradizioni. La formula “i cittadini dello Stato” che si legge nei decreti e nelle leggi dell'Italia unita si riferiva per tacito accordo ai soli uomini. Il Regno d'Italia ignorava la parte femminile che lo costituiva: per questo motivo nel 1861 le donne lombarde, definendosi con audacia “cittadine italiane”, portarono alla Camera una petizione nella quale rivendicavano il diritto di voto che era in loro possesso prima dell'Unità.
Dopo questo tentativo insabbiato ci furono altri numerosi tentativi di concedere alle donne almeno il voto amministrativo: per conoscenza citiamo i disegni di legge Minghetti Ricasoli nel 1861, quello del ministro Peruzzinel 1863, finché nel 1865 tutta la questione venne chiusa dell'onorevole Boncompagni, relatore alla Camera sul progetto Petruzzi. Egli affermò: “I nostri costumi non consentirebbero alla donna di frammettersi nel comizio degli elettori, per recare il suo voto” e la dichiarò anche non eleggibile ponendola allo stesso livello di analfabeti, falliti, condannati (art. 26 della legge 2248 del 20 marzo). (11)
Il discorso generale dell’allargamento della base elettorale viene ripresto nel 1867 e il deputato Salvatore Morellipropone di estendere il voto alle donne. La proposta non è neppure ammessa alla lettura. [ASCD, DPLIC, vol. 110, fasc. 25] (12)
Altri tentativi tra il 1871 e il 1876 vennero approvati con forti opposizioni alla Camera ma vennero insabbiati in Senato.
C’è da precisare che oltre alla questione femminile vi era la ben più grave (per il tempo si intende) questione dell’allargamento della base elettorale maschile.
Il primo ministro Agostino Depretis formulò due nuovi progetti di riforma elettorale a livello amministrativo. Il primo, del maggio 1880 nel quale proponeva di estendere l'elettorato ai cittadini di entrambi i sessi e maggiorenni, in possesso di diritti civili e paganti le imposte, non fu neanche preso in considerazione. Giuseppe Zanardelli controbatte al progetto ribadendo “la natura maschile del suffragio devota all'impegno civile e politico che si pone in antitesi con quella femminile che si occupa da sempre dell'educazione, della famiglia”.
Il secondo progetto di Depretis, del novembre 1882, sanciva l'estensione del diritto di voto agli alfabeti maggiorenni: anche tale progetto viene valutato negativamente. Francesco Crispi nel 1883 affermò che non era conveniente né opportuno estendere questo diritto alle donne perché le tradizioni la vedevano ancora legata alla sfera privata di conseguenza Depretis non esitò a rinunciare alla questione del voto femminile, ma ottenne un primo allargamento del suffragio maschile. (13)
Se la partecipazione attiva delle donne alla vita politica era considerata incompatibile con la natura di quest'ultima, non era così per quanto riguardava il voto amministrativo e verso la fine del secolo l’opinione pubblica (che come sappiamo dalla nascita dei giornali aveva acquisito importanza) comincia ad esprimere opinioni diverse.
Il primo segnale di cambiamento lo diede la legge n. 6972 del 17 luglio 1890 che conferiva alle donne la possibilità di votare e di essere votate nei consigli di amministrazione delle istituzioni di beneficenza.
Seguirono le leggi:
- n. 295 del 16 giugno 1893 che ammetteva le donne al voto nei collegi di probiviri chiamati a risolvere i conflitti di lavoro;
- n. 121 del 20 marzo 1910 che conferiva alle donne la partecipazione elettorale nelle Camere di Commercio;
- n. 487 del 4 giugno 1911 con la quale le donne potevano partecipare alle elezioni di organi dell'istruzione elementare e popolare. (14)
Mentre la politica dibatteva con i suoi tempi e i suoi scontri sul tema del suffragio maschile e femminile anche nella “società civile” vi erano fermenti. Anche in Italia furono numerose le donne che lottarono per la conquista del voto: uno dei motori di questa trasformazione fu l’Unione Femminile, organizzazione tuttora in attività, nata a Milano nel 1899, (quindi ancora prima della WSPU che come ricorderete venne fondata nel 1903). L’Unione venne fondata con l’obiettivo dichiarato di far acquisire alle donne gli stessi diritti politici, sociali e civili degli uomini. L’associazione, tuttora attiva, continuò a crescere negli anni e a combattere oltre che per i diritti delle donne anche per quelli dei minori, per far riconoscere i figli nati fuori dal matrimonio, per un sistema penale differenziato per i minori. Come vedete i temi di battaglia italiani sono simili a quelli del movimento suffragista inglese: la difesa delle donne sole con figli, la difesa dei bambini. (15)
Anche l’Unione tentò l’avvio dell’iter per l’allargamento del suffragio alle donne, varò una petizione nel 1905, firmata da 10mila donne, ma la proposta, al solito, non trovò risposta dalla politica.
Ricordiamo brevemente le firmatarie del primo manifesto
- Ada Negri (1870-1945), poetessa ricordata per essere stata la prima e unica donna a essere ammessa all’Accademia d’Italia, all’epoca la più prestigiosa istituzione culturale a livello nazionale, appannaggio solo degli uomini;
- Ersilia Majno (1859-1933), fondatrice dell’Unione Femminile: ricordata per le sue battaglie sul trattamento della delinquenza minori e sulla necessità di emanare leggi a tutela della maternità e delle lavoratrici madri
- Irma Melany Scodnik (1877-1924), attivista e conferenziera che si batté a livello internazionale a favore della pace.
Come sappiamo nel 1914 arrivò la I guerra mondiale a sparigliare tutte le carte, tutti i temi sociali e politici vennero in secondo piano rispetto al progetto bellico.
Alla fine della guerra, nel 1919, Papa Benedetto XV intervenne nella dialettica pubblica sul suffragio femminile dichiarando pubblicamente che era tempo di estendere il diritto di voto alle donne. Il suo intervento aprì nuove discussioni a livello istituzionale e Nitti propose l’allargamento del diritto di voto politico e amministrativo alle donne, ma era tardi, il sistema politico era in crisi, si stava aprendo quello che viene definito il “biennio rosso” con manifestazioni e scioperi in diverse città e il progetto non approdò alle camere.
La salita al potere di Benito Mussolini nel 1922 parve all’inizio poter dare una speranza al voto femminile: nel 1923 partecipò al IX Congresso della Federazione Internazionale Pro Suffragio e promise di concedere il voto amministrativo alle donne a meno di imprevisti. Si congratulò per l’atteggiamento delle suffragette italiane che nelle loro richieste non avevano mai utilizzato sistemi aggressivi e rassicurò i signori uomini dicendo che tale concessione avrebbe avuto “conseguenze benefiche”
A riprova della buona volontà il 9 giugno dello stesso anno apparve il disegno di legge che prevedeva la concessione del voto amministrativo alle eroine della Patria, alle madri o vedove di caduti in guerra e alle donne istruite.
Il 22 novembre 1925 il fascismo fece entrare in vigore una legge che per la prima volta rendeva le Italiane elettrici in ambito amministrativo. Questa legge fu però resa inutile dalla riforma podestarile entrata in vigore pochi mesi dopo e precisamente in data 4 febbraio 1926.
Seguirono come ben sappiamo gli anni cupi del fascismo e poi l’entrata in guerra. Il ruolo svolto dalle donne durante gli anni della guerra prima e della resistenza poi non consentiva certo che ad esse venisse ancora negato lo status di “cittadine elettrici” e finalmente con un decreto legislativo del 1945 anche l’Italia conferì il diritto di voto alle italiane che avessero almeno 21 anni. Le donne poterono così partecipare alle amministrative dello stesso anno. Il primo voto su scala nazionale fu invece il referendum del 1946, che sancì la nascita della Repubblica, dove il voto delle donne fu decisivo.
La relazione potrebbe concludersi qui ma poiché è evidente a tutti che non bastano certo le leggi a far mutare preconcetti e convinzioni sedimentati da secoli. Vi voglio ancora descrivere alcuni dei pareri che illustri padri costituenti espressero sulle donne solo pochi anni più tardi. Vi riporto alcune parti dell’introduzione del libro di Mirella Serri “Mussolini ha fatto tanto per le donne”
è il 1947, il Presidente dell’Assemblea costituente Umberto Terracini annuncia in tono formale che dà facoltà di parola ai relatori sul Titolo IV “La Magistratura” parte seconda del progetto di costituzione. Ecco il sunto di alcuni degli interventi
Giovanni Leone: sottolinea che il problema della donna-magistrato è un vero problema poiché le donne devono stare lontano “dalle più alte magistrature dove occorre resistere e reagire all’eccesso di apporti sentimentali e dove occorre distillare il massimo della tecnicità” Le donne sono fragili, esposte alla tempesta dei sentimenti, non hanno una predisposizione verso una mentalità tecnica e “solo gli uomini possono avere quel gradi di equilibrio e di preparazione necessaria per tali funzioni”. Inoltre non sono capaci di elaborare giudizi complessi ma solo “un giudizio che prescinde da esigenze strettamente giuridiche. dal momento che sono così emotive”. Bontà sua aggiunge che “per le qualità di sensibilità e femminilità” potrebbero essere utili al Tribunale dei Minori.
Rincara la dose il repubblicano Giovanni Conti che sostiene che è imprudente accettare le donne in magistratura “per la loro subordinazione fisiologica, dal momento che ... ci sia consentito dirlo ... in certi periodi sono proprio intrattabili” e quindi le propone per i servizi di cancelleria. Si sa che un Cancelliere intrattabile non dovrebbe fare troppi guai. Anche lui concorda che potrebbero però andare bene al massimo per la magistratura dei minorenni … poveri minorenni nei periodi critici femminili!
E per finire ricordiamo ancora il liberale Alfonso Rubilli che addirittura dice che le femmine (si noti la parola utilizzata) non dovrebbe neppure espletare le mansioni di giudici popolari, ma non perché siano inferiori ma perché non si può togliere una povera madre di famiglia dalle sue occupazioni domestiche visto che non tutte le signore possono avere una cameriera o una governante a cui affidare i figlioli.
Direi che possiamo fermarci qui, la marcia per le donne sarà ancora molto lunga, voto a parte, e direi che non è neppure ancora finita.
Santena, 9 marzo 2023
Note
1) www.ilpost.it/giuliasiviero
2) www.studenti.it/topic/femminism
3) www.ultimavoce.it/suffragio-femminile
4) Idem
5) Idem
6) Suffragette: dal femminismo alla diffusione del movimento – Docsity – Storia
7) Il 1791 è l’anno del tentativo di fuga del Re Luigi XVI, dell’eccidio del Campo di Marte, delle prime divisioni tra rivoluzionari radicali e moderati, della revisione della Costituzione basata sulle idee di Montesquieu e di Rousseau
8) www.docsity.com/storia-storiadellesuffragette
10) www.elle.com
11) Wikipedia: il suffragio femminile in Italia
12) Idem
13) Idem
14) Idem
15) www.donne.it/suffragette-chi-erano
Bibliografia e sitologia
Emmeline Pankhurst “Suffragette la mia Storia”
Mirella Serri – Mussolini ha fatto tanto per le donne
www.studenti.it/topic/femminism
Suffragette: dal femminismo alla diffusione del movimento – Docsity - Storia