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Neoborbonici. Nascita e sviluppo


Di Grazia Zoffoli

Indice

Introduzione

Nascita del movimento Neoborbonico

Che cos’è il Movimento Neoborbonico

La nascita del mito borbonico

La nascita del neoborbonismo

La golden generation

Nazionalismo meridionale? L’Italia dovrebbe preoccuparsi?

Le falsità neoborboniche sul Meridione «rovinato» dall’Unità d’Italia

Il Forte di Fenestrelle secondo i Neoborbonici

Bibliografia

Presentazione NEOBORBONICI
Introduzione

La prima volta che ho sentito parlare dei neoborbonici è stato nel 2011 in occasione dell’esposizione della nostra mostra “Cavour e il suo tempo” nel comune calabrese di Parghelia, vicino a Tropea. Spettava a me tenere la presentazione e, parlandone con una nostra socia venni a sapere che una conferenza sui 150 anni che si era tenuta a Napoli era stata rumorosamente interrotta da alcuni contestatori neoborbonici.

Fu allora che lessi il libro “Terroni” di Pino Aprile.

Nascita del movimento Neoborbonico

A Napoli l’associazione contro Garibaldi e i Savoia ha compiuto trent’anni.

Il 7 settembre 1993, in una calda sera d’estate tipicamente napoletana, al Borgo Marinari, al ristorante La Scialuppa, si ritrovarono in centinaia per dare vita all’associazione dei Neoborbonici. Oggi, trascorsi trent’anni, il Presidente dell’associazione, nonché ideatore e promotore di quella clamorosa iniziativa, Gennaro De Crescenzo, racconta: “30 anni fa iniziai a scrivere lettere (di carta) ai lettori dei giornali che parlavano bene dei Borbone e male di Garibaldi. Ne scrissi una anche al grande e compianto scrittore e autore di film e canzoni Riccardo Pazzaglia che la pubblicò sul quotidiano ‘Il Mattino’ con il numero di telefono di casa mia. Da quella domenica arrivarono da tutto il mondo centinaia di telefonate di persone che volevano partecipare alla cena organizzata al Borgo Marinaro il 7 settembre per contro-celebrare l’ingresso di Garibaldi a Napoli. Ascoltammo l’inno delle Due Sicilie composto da Pazzaglia sulla musica di quello nazionale di Paisiello“. Inno delle due Sicilie : https://www.youtube.com/watch?v=rtRrQIW-Oys&t=89s

( a causa dei problemi di blocco You Tube per vedere il video occorre aprire Google e digitare il codice del video sopra riportato)

In quella sera di settembre dovevano essere a malapena 50 aderenti, finirono per ritrovarsi in oltre 400 a tavola, davanti a tutta la stampa nazionale e perfino della BBC. I mass media si incuriosirono molto per quella nuova iniziativa sociale e in fondo anche politica.

Che cos’è il Movimento Neoborbonico

Nacque appunto il Movimento Neoborbonico, che non pochi in quel momento videro come la risposta meridionale alla Lega Lombarda di Umberto Bossi. Il partito del nord proprio alle elezioni politiche del 1992 aveva registrato un suo primo boom elettorale. In questi trent’anni, per ora, i Neoborbonici non sono diventati partito politico, né si sono presentati alle elezioni. Piuttosto danno vita, con iniziative totalmente autofinanziate, a centinaia di eventi soprattutto culturali. La traccia di queste iniziative corre sul percorso di tre punti: Memoria, Orgoglio e Riscatto. Convegni, manifestazioni, ricerche, libri, mostre, seminari scolastici e una difesa del Sud e dei meridionali: questa l’idea-forza degli antigaribaldini partenopei.

garibaldi entra a Napoli

Garibaldi entra a Napoli

D’altronde, la stessa data di nascita del movimento non è casuale. Proprio il 7 settembre, infatti, segna sul calendario il giorno in cui Garibaldi fece il suo ingresso a Napoli, per compiere un processo unitario tanto famoso quanto discusso e tutt’ora oggetto di accesi dibattiti storici e politici.

Negli ultimi anni, non a caso, nuova linfa alla voce antisavoia è giunta da diversi libri di Pino Aprile, che hanno avuto enorme successo proprio sulla base di un racconto alternativo alla vulgata ufficiale. Unità fu, a livello ufficiale, ma per molti, a Napoli come nel Sud, quella dei Savoia fu qualcosa di simile ad un’annessione dalla quale sono scaturiti molti dei divari che ancora oggi persistono nel confronto Nord/Sud.

La celebre frase “Fatta l’Italia, ora bisogna fare gli italiani” rimane tutt’ora molto attuale e tante delle differenze e delle disparità che si evidenziano trovano origine in un percorso storico molto discusso ed ad oggi per nulla pacificato.

L’esaltazione del sistema economico del Regno delle Due Sicilie, la narrazione di primati tecnologici, sociologici e scientifici dello Stato borbonico, l’idolatria dei monarchi di casa Borbone, la commemorazione di eventi storici quali l’eccidio di Bronte, i fatti di Pontelandolfo e Casalduni, l’assedio di Gaeta e, inoltre, le petizioni per cancellare dall’odonomastica italiana i nomi della famiglia Savoia sono solo alcune delle tipicità di questo caso che parrebbe un anacronismo della storia

Eccidio di Bronte

Eccidio di Bronte

I fatti di Pontegandolfo e Casalduni

I fatti di Pontegandolfo e Casalduni

Ma come è nato questo fenomeno? Come sta cambiando, se lo sta facendo, il concetto di meridionalismo? Per di più, i neoborbonici hanno pretese politiche? Ripercorrere la nascita e gli sviluppi del mito borbonico servirà qui ad abbozzare possibili risposte a tali quesiti, sia sul piano storico che su quello antropologico.

La nascita del mito borbonico

Quando si parla di Mezzogiorno e dei Borbone è inevitabile citare quella che, da più di un secolo e mezzo, viene definita la “questione meridionale”, ovvero la disparità socioeconomica tra i territori del Nord e Sud Italia. Furono molti, infatti, gli storici, i cronisti e gli intellettuali italiani che un decennio dopo l’unificazione della Penisola cominciarono a domandarsi quale dovesse essere il progetto politico per risollevare economicamente le regioni del Mezzogiorno (data l’improvvisa alterazione dell’economia a seguito dell’annessione al Regno dei Savoia).

C’è un elemento, però, che diventa rilevante per la storia del perduto Regno borbonico, e cioè che già prima che l’Italia divenisse un unico Regno nel 1861, molti si interrogarono su cosa ne sarebbe stato del vasto Regno delle Due Sicilie se questo fosse collassato; una domanda legittima se si considera che i Borbone furono politicamente braccati dai loro sudditi già dagli anni che seguirono la Rivoluzione Francese. Infatti, repubblicani, socialisti, anticlericali e monarchici filo-Savoia, fin dalla prima metà dell’Ottocento cominciarono a covare un progetto nazionalista unitarista che coinvolgesse il Regno di Savoia a discapito della monarchia Borbone che, come si è anticipato, progressivamente aveva perso il prestigio europeo e internazionale. Come mai?

Perché il modo in cui le truppe del re di Spagna Carlo IV caddero sotto i colpi dei soldati napoleonici tra il 5 novembre 1808 e il 17 gennaio 1809, la graduale perdita dei territori coloniali in Sudamerica, la decisione di Ferdinando VII di designare la figlia erede al trono che scontentò i nobili della corte borbonica (la futura Isabella II) e, infine, i tumulti popolari costituzionalisti della prima metà del XIX secolo, determinarono l’indebolimento delle monarchie borboniche o, come fu definito dal giornalista e storico Indro Montanelli, «il crepuscolo dei Borbone».

Isabella II di Borbone e Ferdinando VII

Isabella II di Borbone e Ferdinando VII

A ogni modo, quello che successe a partire dal 1860 è noto a tutti gli italiani e agli appassionati di storia risorgimentale. Il generale genovese Giuseppe Garibaldi assoldò un gruppo di uomini, i celebri “Mille”, e con questi partì alla volta della Sicilia per poi risalire la penisola combattendo e sconfiggendo le truppe borboniche di Francesco II delle Due Sicilie, amabilmente noto come “Franceschiello”.

Franceschiello e Maria-Sofia

Franceschiello e Maria-Sofia

Insomma, in pochi mesi tra il 1860 e l’anno successivo, il plurisecolare Regno borbonico venne abbattuto da un migliaio di soldati irregolari e dalle più nutrite truppe del re Vittorio Emanuele II, monarca del Regno di Savoia e protagonista del periodo risorgimentale assieme al fautore del sogno dell’unificazione italiana: il primo ministro Camillo Benso conte di Cavour. Casa Savoia, però, non ebbe vita facile.

Infatti, l’esercito borbonico tentò di resistere militarmente all’avanzata nemica del 1861. Il tradimento e la connivenza di alcuni nobili e di una buona parte della popolazione meridionale con le truppe del generale Garibaldi, però, condussero alla sconfitta militare l’esercito di Francesco II, sancita con l’assedio della cittadella di Gaeta, terminato il 13 febbraio 1861 con la fuga dei monarchi Borbone a bordo di una nave francese, la “Mouette”.

Assedio di Gaeta

Assedio di Gaeta

È da qui che inizia la seconda fase della resistenza, che sancisce la nascita del “borbonismo” o “legittimismo borbonico” o, come lo definì Benedetto Croce nel suo Uomini e cose della vecchia Italia (Laterza, 1927), «romanticismo legittimistico».

Difatti, Francesco II, nel frattempo rifugiatosi a Palazzo Farnese nel territorio dello Stato Pontificio a Roma, percorse due diverse strade per tentare di riconquistare il Regno perduto.

La prima fu quella diplomatica, allorquando tentò di creare una rete tra le ambasciate di Francia e Spagna per coordinare un’insurrezione popolare sfruttando il fenomeno del brigantaggio nel Mezzogiorno. Questa iniziativa, però, ebbe poco successo data la truculenta repressione del fenomeno del brigantaggio attuata dal neonato Regno d’Italia attraverso l’applicazione della cosiddetta “Legge Pica”.

La seconda strada per Francesco II fu quella di fomentare il popolo delle Due Sicilie attraverso una massiva propaganda filoborbonica che, sorprendentemente, potrebbe essere quella arrivata alle nuove generazioni degli anni Duemila. Tra il 1861 e il 1870, infatti, numerose furono le pubblicazioni di ufficiali dell’esercito borbonico che si spesero propagandisticamente a favore della causa borbonica. L’iniziativa fu coordinata da una speciale commissione editoriale e presieduta dal generale ed ex primo ministro del Regno delle Due Sicilie, Pietro Calà Ulloa, anch’egli rifugiatosi nel territorio pontificio assieme ai reali di casa.

A ogni modo, però, la lunga corsa del neonato Regno d’Italia verso l’orizzonte unitarista non venne minimamente rallentata dai Borbone.

Sebbene gli scritti dello storico filo-borbonico Giacinto de Sivo siano circolati in Europa ottenendo un discreto successo editoriale, nonostante l’impegno di Francesco II e la volontà di alcuni sovrani d’Europa di ristabilire lo status quo nelle corti del primo Ottocento, la Legge Pica e l’affievolimento delle voci legittimiste più importanti attorno agli anni ’70 determinarono la fine del primo borbonismo, attorno a cui ruotano le convinzioni e le fondamenta ideologiche del neo-borbonismo e del meridionalismo contemporaneo.

La difesa politica dei Borbone, infatti, continuò solo per poco tempo. A partire dagli anni ’70 dell’Ottocento, infatti, il legittimismo borbonico si strinse attorno al cardinale napoletano Sisto Riario Sforza (1810-1877), che riuscì a coinvolgere un nutrito schieramento politico nella città di Napoli facendo sì che i cattolici filo-borbonici, in barba al Non Expedit pontificio, ottenessero diversi successi nelle tornate elettorali della seconda metà dell’Ottocento nella città partenopea.

La morte di Francesco II delle Due Sicilie (1894), però, e di molti dei protagonisti dell’assedio di Gaeta e del decennio 1861-1870, determinarono la fine delle pretese politiche da parte dei borbonici e dei legittimisti. Alle elezioni comunali di Napoli del 1911, infatti, nessun cattolico filo-Borbone ottenne un seggio comunale. Come ricorda Carmine Pinto, infine, il conflitto mondiale del 1914 «completò la nazionalizzazione degli italiani e dei meridionali, archiviando la causa perduta borbonica».

La nascita del neoborbonismo

«Questo “neo-borbonismo” ha qualcosa di rozzo, incolto, e alligna in mezzo a gente che non sa nulla del passato, ignora persino la successione del re di Napoli, e che solo “per sentito dire” e per esercitazione fantastica, favoleggia la superiorità del regime borbonico su quello unitario: e del “mito” dell’ex capitale che, prima del nefasto ’60, sarebbe stata “un paradiso”, perduto per colpa dei piemontesi».

Chi conosce i movimenti neomeridionalisti potrebbe pensare che queste parole siano piuttosto recenti. E si sbaglierebbe. Infatti, sono state scritte il 7 aprile del 1960 dal giornalista calabrese Alfredo Todisco (1920-2010), in riferimento alla calorosa accoglienza che i napoletani riservarono al principe Ranieri Maria Gaetano di Borbone durante una visita nella città partenopea.

Se si considera, tra l’altro, che tra il 1914 e il secondo dopoguerra il borbonismo non fu oggetto di un dibattito nazionale (cosa che invece successe con la questione meridionale), si potrebbe supporre che il termine “neo-borbonismo” sia stato coniato, appunto, dal giornalista Todisco. Nel resto dell’articolo, comunque, venne descritto il fenomeno neoborbonico: « non un movimento che abbia un minimo di forza politica, di rigore storico e ideologico» ma una «ennesima manifestazione di quel malumore, un po’ anarcoide, di quella vaga protesta, di quel fluttuante malcontento meridionale». Todisco scrisse anche che «ora che i vecchi miti della protesta meridionale – protesta contro l’idea del Nord profittatore dell’unità – sono in declino, ecco il bisogno di “sfogo” dirigersi verso il passato, che la immaginazione degli ignoranti circonda di un favoloso alone di felicità prosperità e benessere»

Insomma, il giornalista calabrese ha immaginato il neo-borbonismo quale pulsione nostalgica scaturita dalla rabbia dei meridionali per le condizioni reali economiche, un appiglio storico a cui aggrapparsi in momenti di difficoltà. Il dato saliente, comunque, è che le credenze dell’ideologia borbonista sottaciute durante il Ventennio siano riemerse dopo molti decenni dalla tradizione popolare napoletana.

A riprova del fatto che esista un continuum tra il legittimismo borbonico e il neo-borbonismo degli anni Duemila, però, potrebbe essere sufficiente ricordare che i neoborbonici del 1960 incontrati dal giornalista calabrese durante la visita del principe Ranieri vantavano «i primati del reame: la ferrovia Napoli-Portici, il varo della prima nave a vapore, lo sviluppo delle strade attorno alla città, il saldissimo regime finanziario (le Due Sicilie erano lo stato più ricco d’Italia), il mite peso del fisco». Parole familiari, no?

Rete ferroviaria italiana 1861

Rete ferroviaria italiana 1861

Proprio la corrispondenza tra i temi trattati farebbe desumere, dunque, che la narrazione neoborbonica abbia avuto origine nella propaganda voluta da Francesco II subito dopo l’Unità d’Italia. Ma come arrivò alla fine del millennio il neo-borbonismo?

La golden generation

A detta dei neoborbonici, furono lo scrittore Carlo Alianello e i giornalisti Angelo Manna e Aldo de Jaco che ravvivarono lo spirito borbonista di una parte della popolazione meridionale e che ispirarono i neoborbonici della seguente generazione. Negli anni ’90 del Novecento, appunto, su iniziativa del paroliere Riccardo Pazzaglia e del giornalista Gennaro De Crescenzo nacque l’associazione “Neoborbonici”, che è stata fucina di quella che potrebbe essere definita la golden generation del neo-borbonismo.

Le ragioni della crescita esponenziale di questo fenomeno pseudo-nazionalista potrebbero essere molte: le capacità comunicative e propagandistiche di neo-borbonici, la rapidità di diffusione di informazioni negli ultimi due decenni grazie ai social network, il successo letterario del libro Terroni di Pino Aprile o, se si volesse esagerare l’analisi, l’imbarbarimento populista del lettore e la scarsa metodologia storiografica dei neoborbonici. Negli ultimi decenni, inoltre, le diverse attività sia dei simpatizzanti che dei soci dell’associazione di De Crescenzo hanno, verosimilmente, avvicinato gli italiani alle loro tematiche.

Di fatti, oltre alle ordinarie conferenze, convegni e presentazioni di volumi, vi sono state alcune iniziative che hanno avuto rilievo nazionale, specie per il loro carattere provocatorio. Alcune di queste sono state la donazione di una bandiera del Regno delle Due Sicilie all’ex presidente degli USA Bill Clinton,

Bandiera del Regno delle Due Sicilie

Bandiera del Regno delle Due Sicilie

la creazione del “Parlamento delle Due Sicilie”, le contro-celebrazioni delle feste nazionali italiane o le commemorazioni di protagonisti del mondo borbonico come Jose Borges, Francesco II e la regina Maria Sofia. A proposito del “Parlamento delle Due Sicilie”, ad esempio, si tratta di un organo costituito nel 2009 dagli attivisti del “Movimento Neo-borbonico”, in cui vi sono dichiarati ministeri e incarichi interni e dove operano attivisti del mondo neo-borbonico e con una rete diplomatica in contatto con i “potenziali” eredi della famiglia Borbone, che spesso patrocinano i loro eventi con il logo della Real Casa di Borbone.

Queste iniziative, probabilmente, hanno permesso ai neoborbonici di raggiungere risultati che travalicano la dimensione divulgativa. Per ragioni di incidenza della quotidianità amministrativa, indubbiamente, il traguardo più evidente è stato raggiunto nel campo dell’odonomastica urbana. Negli ultimi anni, infatti, sono stati molti i casi in cui le vie dei centri comunali sono state rinominate per iniziativa dei sindaci a discapito degli eroi risorgimentali. Il bersaglio preferito dai neoborbonici, in questo senso, è il generale Cialdini, considerato responsabile di alcuni massacri durante la spedizione dei Mille e dopo l’Unificazione.

Generale Enrico Cialdini

Generale Enrico Cialdini

Nell’aprile del 2017, ad esempio, la giunta del sindaco di Napoli Luigi de Magistris gli ha revocato la cittadinanza onoraria, mentre un suo busto di marmo è stato rimosso dalla sede della Camera di commercio di Napoli per via delle proteste di alcuni attivisti neoborbonici. Il comune sardo di Galtellì, invece, recentemente ha deciso di rinominare tutte le strade e le piazze dedicate alla famiglia Savoia; questa iniziativa è stata emulata da molti altri comuni della Sardegna, tra cui Nuoro. Nel comune di San Giorgio a Cremano, inoltre, la piazza Vittorio Emanuele II ha cambiato nome in piazza Carlo di Borbone, mentre nel paese del territorio cosentino Montalto Uffugo, nel 2015, è stata dedicata una via a Ferdinando II di Borbone. Iniziative del genere sono state prese anche dai comuni di Sant’Arpino e di Calvizzano, entrambi hanno intitolato una via “Re Carlo di Borbone”. Dal sito di un istituto scolastico di Scafati, infine si nota che, lo stesso, dall’anno scolastico 2019/2020 è stato denominato Istituto Ferdinando II di Borbone. Insomma, sebbene, per il momento, questi casi siano sporadici, l’odonomastica in Italia sta cambiando e lo sta facendo perché i neoborbonici si stanno occupando di memoria storica collaborando con le amministrazioni locali.

Giorno della memoria per le vittime del Risorgimento

Giorno della memoria per le vittime del Risorgimento

A proposito di memoria e amministrazioni politiche, un’altra iniziativa che ha avuto un clamore nazionale è stata la proposta di istituire un “Giorno della memoria per le vittime del Risorgimento”. Dapprima, questa mozione è stata presentata ai consigli regionali di Campania, Puglia, Abruzzo e Molise da alcuni consiglieri membri del Movimento 5 Stelle; in un momento poco successivo, invece, la proposta è arrivata anche nell’aula del Palazzo Madama. Il 28 febbraio del 2017, infatti, il parlamentare pentastellato Sergio Puglia è intervenuto, rivolgendosi al presidente del Senato Pietro Grasso, con un discorso oramai celebre negli ambienti neo-borbonici. Per il contesto in cui sono state pronunciate, questo potrebbe essere considerato tra i più grandi risultati conseguiti dalla comunità neo-borbonica. Il senatore Puglia, infatti, non si è limitato a riportare il pensiero meridionalista di protagonisti della storia recente italiana quali Garibaldi, Gramsci, Montanelli e il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ma ha citato integralmente le parole della prima pagina del libro Terroni di Pino Aprile in cui si parla di «annessioni», violenza «nazista», «operazioni antiterrorismo, come i marines in Iraq», «libertà di stupro» e di «conquistadores» in merito all’unificazione italiana. Insomma, un risultato importante perché, per la prima volta, i neoborbonici hanno avuto una risonanza nel contesto nazionale.

Notoriamente, inoltre, tra i bersagli politici preferiti da Pino Aprile vi è il partito Lega, originariamente Lega Nord. Recentemente, come dimostrano le attività su Facebook e nei talk show televisivi, il mondo neo-borbonico si sta opponendo vigorosamente all’iniziativa dell’autonomia differenziata delle regioni, richiesta da Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna e che lo stesso Aprile ha definito «la nuova strategia delle regioni secessioniste». Questo dimostrerebbe che nel variegato mondo neo-borbonico esiste anche una componente politica attenta ed esigente, che coopera con quella associazionistica-culturale ma che non è detto che non possa sostituirsi completamente a questa. Il primo passo verso il completamento di questo processo politico è avvenuto il 24 agosto del 2019 all’interno del Parco storico della Grancia, nel Potentino. Difatti, è qui che Pino Aprile e numerosi altri meridionalisti protagonisti del neo-borbonismo dell’ultimo ventennio hanno costituito il “Movimento 24 agosto per l’Equità Territoriale” che si propone, forse sul modello del Movimento 5 Stelle, come forza politica meridionalista. Bisognerà aspettare un paio di anni prima di storicizzare il neonato movimento “nazionalista”.

Movimento-24 agosto per  equità territoriale

Movimento-24 agosto per equità territoriale

Nazionalismo meridionale? L’Italia dovrebbe preoccuparsi?

Senza incomodare i massimi teorici del concetto di popolo, nazione e nazionalismo (da Erodoto a Weber), e prendendo in considerazione parametri elementari quali lingua, storia comune e cultura, si potrebbe legittimamente affermare che esiste una vera e propria identità meridionale e un concomitante nazionalismo. È un dato, infatti, che le regioni del meridione abbiano una strutturale unitarietà linguistica, che abbiano avuto in comune dominazioni, reggenze, vassallaggi e che abbiano cultura alimentare, modus vivendi, culti, devozioni e diversi altri fattori storico-antropologici comuni. È comprensibile, quindi, che i neoborbonici abbiano pretese simili a quelle tipiche di altri nazionalismi.

Ma il fatto che all’interno di una nazione come quella italiana esistano dei patriottismi come quello meridionale, come quello dell’indipendentismo siciliano e sardo o come quello separatista della Lega Nord e del Südtirol, rappresenta un’eccezione? No. Infatti, è un dato quello della non-proporzionalità tra il numero di popoli e paesi. In breve: esistono migliaia di popoli che vivono all’interno di (solo) circa 200 nazioni riconosciute dalla comunità internazionale. Dunque, che ci siano delle pulsioni nazionaliste all’interno di un Paese è, oltre che naturale, storiologicamente comprensibile. Basti pensare ai nazionalismi del continente europeo: della Spagna (Catalani e Baschi), della Francia (Corsi, Bretoni e Normanni), del Regno Unito (Gallesi, Scozzesi, Irlandesi del nord e abitanti delle isole Fær Øer e isole Shetland), del Belgio (Fiandresi e Valloni), della Germania (con i territori della Slesia), o a quelli degli anni ’80 e ’90 dello scorso secolo nei territori della Iugoslavia e dell’Unione Sovietica.

Il Regno delle Due Sicilie in queste teorie viene esaltato da grandi primati storici della casata Borbone, al potere per circa un secolo prima dell’Unità, per dimostrare come un regno felice e prospero sia stato trasformato nell’inferno arretrato e povero di oggi.

Per i neoborbonici i colonizzatori, i colpevoli della condanna meridionale, sono i settentrionali, i Piemontesi, rei di aver risucchiato tutte le ricchezze del Sud e di aver distrutto per sempre il sogno di un luogo paradisiaco. Molti autori vicini a questa visione della storia si appoggiano a fonti indirette o tratte da testi pubblicati precedentemente dagli stessi.

Premessa importante: che il Regno delle Due Sicilie avesse bellezze uniche, alcune sopravvissute, avanguardie scientifiche o mediche, non ci sono dubbi; ma soprattutto, tale regno, come in ogni cambiamento drastico geopolitico, ha subito, per forza di cose, degli stravolgimenti traumatici, nel bene e nel male, che hanno portato alla nascita di un nuovo soggetto nazionale.

Fatto incontrovertibile alla base che va sottolineato: la causa italiana, quella di un popolo simile ma diverso, unito ma sempre separato in un modo o nell’altro, conteso e reso instabile nei secoli, non arriva dal Risorgimento, ma è molto (davvero molto) più antica, più in là che medievale.

Le falsità neoborboniche sul Meridione «rovinato» dall’Unità d’Italia
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Per prima cosa, appare curiosa la quantità di primati “mondiali” borbonici detenuta dal Regno delle Due Sicilie prima di essere distrutto dall’ondata italo-piemontese e da quell’assassino e traditore di Garibaldi, anche lui vittima di mistificazioni e generalizzazioni.

Il primo teatro lirico al mondo, per i neoborbonici, sarebbe il San Carlo di Napoli, datato 1737. Ma si possono trovare altri antichi teatri lirici in giro per l’Europa, risalenti anche al periodo Barocco. I primi, infatti, sarebbero quello di Venezia (1637), di Bologna (1658), di Brescia (1663) e quello di Amburgo (1677) e diversi altri, ma questo di certo non sminuisce la bellezza e l’importanza di un grande teatro come quello napoletano. Dopo l’Unità d’Italia, inoltre, il numero di teatri al Sud è aumentato a dismisura, mentre precedentemente, in tutto erano solo due, entrambi a Napoli.

Il regno borbonico fu il primo a istituire il Tribunale di commercio nel 1739. E invece no. A Livorno nel 1717 esisteva un consiglio del commercio e, invece, nel Regno di Sardegna venne istituito già nel 1701 il Consolato di commercio a Torino.

Nel 1778 è borbonica la prima Borsa cambio e merci. In assoluto? No. Il primato italiano appartiene a Venezia, nel XVII secolo, nel 1755 tocca a Trieste, infine arriva Napoli.

Nel 1781 sarebbe arrivato il primo codice marittimo al mondo e, indovinate di chi sarebbe? Del regno Borbone. Ma è una bufala colossale, basta andare indietro, e molto, agli Statuti marittimi, gli «Ordinamenta et consuetudo maris» del 1063 per trovare una prima documentazione in tal senso, seguita da diverse altre nei secoli, a partire dagli Acts of Navigation del governo inglese Cromwell.

Nonostante ci siano importanti risultati in campo tecnico e ingegneristico, che comunque non si sbriciolano all’arrivo dell’Unità d’Italia, ma entrano nel patrimonio comune di una nazione, la storia che nel 1790 sia stato inaugurato il primo Osservatorio astronomico al mondo a Palermo non è vera: non c’è dubbio che il più antico osservatorio in assoluto a cui spetta il titolo mondiale è la Specola Vaticana, per cui fu costruita la Torre Gregoriana, utile allo studio di un nuovo calendario, voluta nel 1578 da Gregorio XIII.

Inoltre alcune liste di conquiste borboniche fanno riferimento a personaggi decisamente lontani dall’epoca borbonica. Su alcuni siti appare come “primato del Regno delle Due Sicilie” quello di Trotula de Ruggero, medico salernitano capostipite dell’ostetricia. Si tratta però di una figura appartenente al Medioevo vissuta intorno all’anno Mille, circa sette secoli prima della fondazione della casata borbonica nel Meridione d’Italia.

Molti studiosi nei secoli hanno osservato il Pianeta Rosso ipotizzandone anche la composizione. La scoperta della rotazione di Marte grazie agli studi dello scienziato napoletano Francesco Fontana, è invece avvenuta nel 1636, e anche qui siamo fuori tempo massimo per la famiglia Borbone. Anzi, Napoli, allora, era sotto dominio asburgico: un’altra storia.

Ci sono tantissimi testi che mostrano come diverse opere prese a riferimento da opinionisti neoborbonici siano però romanzi scambiati per saggi, opere letterarie scritte con tutto l’interesse personale dell’autore invece che della pura ricerca storica dei fatti avvenuti. Ci sono anche stragi che non vengono negate e che, contestualizzate, mostrano una tragica e inevitabile repressione fratricida come avvenne molte volte nella storia d’Italia. Va da sé che per altre approfondite questioni basta seguire gli storici, gli studiosi di settore e i saggi, ovvero testimonianze ben diverse da inchieste giornalistiche e romanzi.

Il Forte di Fenestrelle secondo i Neoborbonici
Forte di Fenestrelle

Forte di Fenestrelle

Secondo il movimento neoborbonico i Savoia vincitori hanno utilizzato la fortezza più grande d’Europa come campo di sterminio per 1189 soldati meridionali, ormai sconfitti dopo l’assedio di Gaeta nel 1860. Stando alla loro versione dei fatti, i prigionieri venivano trattati in maniera disumana, fatti morire di sevizie e di stenti, infine sciolti nella calce viva.

Lapide a Fenestrelle

Lapide a Fenestrelle

Una lapide, affissa nel 2008 su un muro del forte da militanti neoborbonici, commemora così il presunto massacro: “Tra il 1860 e il 1861 vennero segregati nella fortezza di Fenestrelle migliaia di soldati dell’esercito delle Due Sicilie che si erano rifiutati di rinnegare il re e l’antica patria. Pochi tornarono a casa, i più morirono di stenti. I pochi che sanno si inchinano”.

Una mole di documentazione presso l’Archivio di Stato di Torino smentisce in maniera inconfutabile questa bufala del Forte di Fenestrelle come “Lager dei Savoia”.

Le ricerche dei dottori in Giurisprudenza Juri Bossuto e Luca Costanzo prima, e, successivamente, dello storico prof. Alessandro Barbero con il libro “I prigionieri dei Savoia. La vera storia della congiura di Fenestrelle” hanno chiuso questa questione una volta per tutte.

In sostanza non vi fu nessun massacro: 1189 soldati dell’esercito di Franceschiello, dopo la resa di Gaeta, vennero portati a Fenestrelle.

Dopo averli condotti all’inizio del novembre 1860 nella fortezza, somministrarono loro una doppia razione di minestrone. Inoltre vestirono i prigionieri, abituati al clima più soleggiato delle loro terre, con abiti più pesanti, adatti alla temperatura del luogo.
Dopo la registrazione, i malati venivano inviati a Pinerolo o a Torino per essere curati.
Il giorno 20 dello stesso mese furono addestrati per essere infine inseriti, il 9 dicembre, nel nuovo Esercito del Regno d’Italia. Non solo. Erano permesse le visite tra i prigionieri e i loro familiari che salivano dal Meridione.

La verità è che dei centomila soldati e ufficiali dell’esercito borbonico, almeno sessantamila vennero assorbiti dal nuovo esercito italiano, molti finirono nelle bande dei briganti, pochi vennero rinchiusi nelle fortezze sabaude

Secondo Pino Ippolito Amino, ricercatore e scrittore calabrese, “ Il revisionismo borbonico, capeggiato da Pino Aprile, in barba ad ogni documentata ricostruzione storica, ha individuato nel Forte di Fenestrelle il luogo simbolo della deportazione dei soldati napoletani dopo l’unità e del presunto massacro di alcune migliaia di loro tra stenti e sofferenze. Gli archivi dimostrano che tra il 1860 e il 1865 si registrano 40 decessi a Fenestrelle, tra soldati borbonici ed ex-papalini”.

Bibliografia e fonti

“Il fantastico regno delle Due Sicilie” di Pino Ippolito Armino – Ed.Laterza 2021

“Terroni” di Pino Aprile – Ed.PIEMME 2010

“Terroni ‘ndernescional” di Pino Aprile – Ed.PIEMME 2014

“I prigionieri dei Savoia. La vera storia della congiura di Fenestrelle” di Alessandro Barbero – Ed. Laterza 2014

Sito Neoborbonici: http://www.neoborbonici.com/

Confronto tra Alessandro Barbero e Gennaro De Crescenzo :

https://www.youtube.com/watch?v=2jPZQsPL5g8

14 Maggio 2024