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La Rivoluzione industriale in Inghilterra. Le cause, le condizioni di base e gli sviluppi


di Gianfranco Bordin

Le ragioni di base che hanno determinato la nascita e lo sviluppo della Rivoluzione industriale: l’Illuminismo e la Religione

Alla fine del 17° secolo e dopo le guerre di religione che hanno insanguinato l’Europa per il tentativo dei sovrani di imporre il principio del “cuius regio eius religio” all’interno dei confini dei propri stati, secondo il quale la religione professata dal sovrano doveva essere tale anche per i propri sudditi, e dopo l’esperienza della rivoluzione inglese conclusasi nel 1689 con la nascita della monarchia parlamentare di Guglielmo III, si assiste alla progressiva affermazione, dalla prima metà del 1700, di un evento che condizionerà negli anni l’intero sviluppo sociale, culturale ed economico fino ai nostri giorni e cioè la c.d. rivoluzione industriale. Questa ha modo di maturare e di progredire anche sulla base di un consolidato e condiviso impianto teorico e di affermarsi, anche se in modo non lineare, con la diffusione del pensiero illuminista. Una evoluzione delle idee in fatto di religione, scienza, filosofia, politica, storiografia, rinnovamento delle forme letterarie ed economia. Il termine adottato, “age des lumières”, deriva dalla laicizzazione dell’idea di una provvidenza intesa, in questo caso, come attività storica umana: così alla luce divina della rivelazione si contrappone la “luce di natura”. Idea non nuova già elaborata e proposta in precedenza dal movimento denominato “deismo”. Movimento nato e sviluppatosi in Inghilterra con l’intento di contrastare gli eccessi moralistici e fanatici dell’età puritana: le persone, secondo queste convinzioni, sono nate peccatrici e mantengono una stretta sorveglianza su sé stessi e sui cittadini e devono preoccuparsi di essere conformati ai dettami della religione e della morale. Stagione, questa, ben rappresentata nel romanzo “La lettera scarlatta” di Nathaniel Hawthorne. Il contenuto filosofico e scientifico del movimento illuminista si traduce nell’arco di qualche decennio in un totale e fondamentale rinnovamento ideologico, civile e politico variamente elaborato e interpretato nei diversi stati europei e si accompagna alla nascita ed alla crescente egemonia della borghesia prima commerciale e poi industriale. I concetti quali autonomia della ragione, superfluità di ogni rivelazione divina, autonomia delle leggi morali, immagine razionale di un Dio architetto del cosmo possono trovare una connessione articolata con le scienze pure, le arti meccaniche e tecnologiche, connessione che Diderot e D’Alembert ben individuano e ne evidenziano l’importanza con la compilazione della “Encyclopédie”. In aggiunta a tutto questo poi, per quanto riguarda l’Inghilterra, si sviluppa un cambiamento radicale di atteggiamento nei confronti del lavoro e dello spirito di iniziativa.

“Era diffuso il malessere nei confronti dell’atteggiamento di una Chiesa Anglicana che sosteneva le posizioni e le iniziative di coloro che ricoprivano nella società e nel governo le posizioni più privilegiate”, perpetuando e accentuando di conseguenza il distacco tra le classi sociali e quindi “ i più intraprendenti erano costretti a cercare il proprio vantaggio per sé e per le loro famiglie in attività commerciali ed industriali, con un comportamento innovativo che non comportasse la creazione di troppi svantaggi sociali, secondo un’etica puritana del lavoro, che attribuiva valore religioso all’idea dell’uomo economico razionale, simbolo del moderno imprenditore(LA STORIA – UTET Editore- vol.10 - La rivoluzione industriale in Inghilterra). La ricchezza va utilizzata solo in minima parte per il lusso e deve accompagnarsi alla sobrietà di vita ed essere reinvestita in attività economiche. Quanto poi il protestantesimo abbia favorito la trasformazione della società civile e sia stato funzionale alla crescita e allo sviluppo del processo di industrializzazione in Europa lo si evince dalle considerazioni di Max Weber su “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”: “...da parte cattolica si risponde col rimproverare il materialismo che sarebbe la conseguenza della secolarizzazione da parte del Protestantesimo di tutti i fini della vita”. “Il cattolico è più tranquillo, dotato di minor impulso per l’attività industriale…il Protestante preferisce mangiar bene, mentre il Cattolico vuol dormire tranquillo”. Una considerazione analoga ci fornisce Thomas Ashton (“La Rivoluzione industriale 1760 - 1830”. Edizioni Laterza) “... lo sviluppo dell’industria fu storicamente connesso con la nascita di gruppi che dissentivano dalla Chiesa ufficiale d’Inghilterra ed ebbero il merito di fondare grandi catene produttive. Nel secolo successivo i membri della Society of Friends furono attivi nello sviluppo dell’attività bancaria, dell’industria molitoria e farmaceutica, le famiglie quacchere dei Derby e dei Loyd dell’industria del ferro e dell’acciaio. Nell’industria meccanica si affermarono i Battisti come Thomas Newcombe e i Presbiteriani quali James Watt, mentre gli Unitari Mc Connels e Greg erano presenti nella filatura. Altri industriali, tra i quali i Guest del Galles meridionale, si ispiravano all’insegnamento del metodista Jhon Wesley, la cui predicazione si indirizzava ai poveri e non ai privilegiati”.

Aumento della popolazione e relative cause.

A metà del ‘700 l’Europa conosce un periodo di espansione in ogni settore senza precedenti per intensità e durata. A differenziare questo fenomeno espansivo da quelli del passato è il suo carattere irreversibile. Tra le cause di questo fenomeno è da indicarsi la crescita della popolazione europea passata dai circa 115 milioni degli inizi del secolo a poco meno di 200 milioni alla fine del 1700, un aumento di oltre il 60%. Questa rivoluzione demografica apre un capitolo nuovo nella storia del continente con conseguenze rilevanti nelle campagne che riprendono a popolarsi e nelle città che conoscono un processo di urbanizzazione via via più intenso.

In Inghilterra e nel Galles si calcola che ad inizio del ‘700 la popolazione ammonti circa 5.5 milioni, 6,5 milioni a metà del secolo e di 14 milioni nel 1831. Si calcola ancora che a metà del secolo XVIII circa il 15% della popolazione viva in città con oltre 5000 abitanti, alla fine del secolo circa il 25%. Di ciò è testimone e osservatore attento Thomas Malthus che nella sua opera più famosa, “Saggio sul principio della popolazione” ha modo di annunciare la sua teoria sul progressivo sviluppo dello squilibrio tra crescita delle risorse e aumento della popolazione. Occorre ancora precisare che l’epoca conosce un rifiorire di studi e analisi di altri studiosi: la scienza economica è dominata, oltre che dalle teorie malthusiane, dagli studi di David Ricardo sull’individualismo utilitaristico dell’uomo (“I principi dell’economia politica e dell’imposta”), dal pensiero di Adam Smith sulla dedizione pienamente etica del datore di lavoro al profitto (“La ricchezza delle nazioni”) e di altri studiosi ed intellettuali. Quali le cause di questo fenomeno?

Se ne possono individuare diverse:

1) il calo della mortalità, passato dal 35,8 per mille del decennio 1731 - 1740 al 21,1 negli anni 1812 - 1821

2) il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie,

3) la scomparsa della peste, malattia infettiva pressoché endemica in epoche precedenti,

4) i minori danni causati dalle guerre, condizione importante e significativa per un’isola quale l’Inghilterra, dopo l’irrigidimento della disciplina degli eserciti,

5) l’aumento delle nascite, che comunque non è mai rilevante compreso sempre tra il 36,6 ed il 37,7 per mille negli anni tra il 1740 ed il 1830,

6) la diminuzione dell’età media degli sposi e la riduzione del celibato.

Tutto ciò favorito dalla diffusione del lavoro salariato che consente la possibilità di formarsi più precocemente una famiglia e un forte incremento della produzione agricola e formazione di scorte che rendono più facile affrontare i periodi di carestia e di crisi alimentare.

Incremento della produzione agricola.

Un capitolo che merita particolare approfondimento e attenta analisi è l’incremento della produzione agricola europea all’inizio del 18° secolo e la sua profonda trasformazione: si diffonde su larga scala il metodo della rotazione delle culture, l’utilizzo di strumenti meccanici più efficaci, la disponibilità di una maggiore forza motrice meccanica accanto alla presenza di manodopera abbondante conseguente all’aumento della popolazione.

Serve precisare però che l’incremento della popolazione rurale si traduce anche in un maggiore frazionamento del territorio coltivabile. Lotti di terreno che si sviluppano secondo forme geometriche atte a favorire il lavoro di aratura, cioè lunghi rettangoli che risultano essere più facilmente lavorabili. Risulta quindi di fondamentale importanza l’iniziativa presa dai grandi proprietari, al fine di ovviare a questo processo di frammentazione, di recintare i campi, creando le così dette “enclosures”, per sottrarli intanto al pascolo libero e abbandonare il sistema tradizionale delle terre comuni, che aveva prevalso in quasi tutta l’Europa medievale, per accrescerne le dimensioni e potervi introdurre le novità tecniche più aggiornate, quali nuovi tipi di aratri ed il metodo di rotazione delle culture cioè l’alternanza di campi coltivati a cereali, leguminose, piante foraggere e pascoli temporanei in cicli pluriennali: la così detta agricoltura convertibile. Così facendo la terra non rimane improduttiva con il vantaggio di ripristinare la fertilità del suolo a fine ciclo. All’inizio del 1700 almeno 10 dei 24 milioni di acri disponibili erano recintati (circa 4 milioni di ettari). La produzione agricola europea alla fine del ‘700 era intanto raddoppiata rispetto all’inizio del secolo ed in Inghilterra, per le ragioni descritte, questo è soprattutto ottenuto con l’aumento della produttività dei suoli coltivati.

Questa maggiore produttività consente di conseguenza di nutrire una popolazione crescente con standard nutritivi elevati e facendola diventare un buon mercato di consumo per i prodotti manifatturieri. Qui si possono trovare le ragioni della nascita e dello sviluppo della così detta “rivoluzione industriale”, che ha significato in tempi successivi cambiamenti nella produzione e mutamenti nei consumi, negli stili di vita e nei rapporti sociali.

Per i progressi ottenuti in agricoltura dunque l’Inghilterra acquisisce il vantaggio di un significativo surplus economico che può essere utilizzato per acquistare, importandole, le sempre maggiori quantità di materie prime necessarie all’industria manifatturiera inglese, cioè legname, canapa, lino, cotone, ecc. Principale prodotto di esportazione, circa i due terzi del totale, è rappresentato invece dai tessuti di lana, venduti soprattutto ai paesi dell’Europa nord occidentale.

Le materie prime ed il potenziamento della flotta navale.

A causa della carenza di materie prime recuperabili sul suolo inglese, e per la conseguente necessità di importarle, il paese resta comunque un mercato limitato che impedisce l’espansione della sua industria. La decisione allora di avviare il potenziamento di una vasta ed efficiente flotta navale resta un passaggio quasi obbligato a causa della sua posizione insulare, consentendo in tal modo all’Inghilterra di instaurare nuovi rapporti con paesi terzi, di sottoscrivere accordi commerciali, anche imponendoli, e di avere accesso, a costi ben più favorevoli, alle materie prime di territori distanti, divenuti intanto anche sue colonie in un processo facilitato dall’attivismo di compagnie commerciali che li occupano in nome della corona inglese, come ad esempio la Compagnia delle Indie, nata nel dicembre del 1600 per volere di Elisabetta I. Prima che di rivoluzione industriale è allora necessario parlare di rivoluzione commerciale, fenomeno che consente all’Inghilterra di sottrarre all’Olanda il dominio dei commerci sul mare.

È quindi il capitale mercantile che costituisce il volano necessario ad imprimere un ritmo sempre più accelerato al processo in atto: le risorse e i guadagni realizzati con il commercio sono destinati all’impianto di nuove attività o all’incremento produttivo di quelle esistenti, con la necessità conseguente di approvvigionarsi di quantità aggiuntive di materie prime. Questo fatto comporta, secondo una concatenazione logica, la necessità di sviluppo e di trasformazione del sistema interno dei trasporti. All’inizio del 18° secolo la maggior parte delle merci è trasportata con cavalli da soma. Con la crescita della popolazione è necessario quindi provvedere diversamente con l’utilizzo di trasporti su navi costiere o di canali d’acqua, la cui costruzione costituisce una vera e propria “ondata” che si esaurisce solo negli anni 80 del ‘700. Il Sankey Navigation è realizzato tra il 1755 ed il 1759, il canale del Duca di Bridgewater tra il 1759 ed il 1761. A metà del ‘700 l’Inghilterra conta oltre mille miglia di corsi d’acqua navigabili. “Prima ancora del 1825 tutti i maggiori centri abitati sono collegati da strade scorrevoli, transitabili in tutte le stagioni, percorse da regolari servizi di diligenze che trasportano passeggeri, posta e merci. Ne risulta quindi un sistema ben coordinato di strade, canali, fiumi e rotte costiere marine ancora prima dell’inizio dell’era delle ferrovie” (LA STORIA – UTET Editore – La rivoluzione industriale in Inghilterra – vol. 10).

Tecnologie e nuove applicazioni di forza meccanica.

Ma sono soprattutto la tecnologia e le nuove applicazione di forza meccanica ai processi produttivi ed ai trasporti che determinano una svolta significativa del processo complessivo di sviluppo. La prima attività industriale che storicamente viene indicata come basilare di questo processo è la lavorazione del cotone. Una materia prima proveniente dalle colonie, abbondante, a basso prezzo, facilmente lavorabile e più resistente alla trazione rispetto alla lana. Nella prima fase produttiva il quantitativo di cotone grezzo importato ammonta a 1,2 milioni di kilogrammi, trent’anni dopo il consumo sale di trenta volte

È anche il primo settore che conosce un aumento importante di investimenti e pronto ad accogliere, dopo la prima invenzione della sgranatrice meccanica di Eli Whitney nel 1793, le innovazioni ed invenzioni che si susseguono incessantemente. È ancora una produzione sparsa nelle campagne del Lancashire. Il lavoro viene fatto a mano di solito nelle case di campagna dei lavoratori o in piccole officine e più tardi, con l’uso di macchine azionate inizialmente ad acqua, in grandi stabilimenti, sotto disciplina di fabbrica con evidente trasformazione radicale della figura del lavoratore, non più padrone del prodotto e soprattutto del proprio tempo. Cambia l’organizzazione del lavoro, nasce la fabbrica che riunisce tutte le fasi del processo produttivo e commerciale.

Gli imprenditori, a questo riguardo, possono permettersi di dettare le regole di questo rapporto poiché le campagne sono un inesauribile serbatoio di manodopera a buon mercato e disponibile a trasferirsi in città. Birmingham, un villaggio di 2000 abitanti, in breve si trasforma in una città di 200 mila abitanti, centro importante sul cui territorio si aprono importanti miniere di carbone. Intere famiglie di contadini vi si trasferiscono a lavorare, compresi donne e bambini incaricati di spingere i vagoncini colmi del carbone estratto. Le giornate di lavoro possono arrivare a 15 ore con brevi pause.

Nascita di una nuova classe sociale.

In queste condizioni nasce una nuova classe sociale: il proletariato. Nelle fabbriche, ogni volta che sono introdotte nuove macchine, si assiste ad una stagione di massicci licenziamenti e di violente reazioni dei dipendenti che tendono ad opporvisi arrivando a distruggere i nuovi macchinari, responsabili, secondo il loro sentire, della perdita del posto di lavoro. Il fenomeno è passato alla storia con il nome di luddismo, dal nome di Ned Ludd, il primo ad aver adottato, come forma di protesta, la distruzione del telaio cui era addetto. Una stagione questa che ha interessato a più riprese la letteratura, quali le opere di Dickens e le indagini sociologiche di Marx, con la sua proposta di lotta di classe e l’esigenza di un personale recupero di autocoscienza da parte dei lavoratori.

Nuove fonti di energia.

Ma nonostante questo, il processo di ammodernamento della tecnologia industriale e dei trasporti è inarrestabile. Le innovazioni introdotte consentono di utilizzare fonti di energia non animale, cioè l’acqua o il combustibile fossile.

In Inghilterra un’accelerazione nel progresso tecnico si manifesta fin dalla seconda metà del ‘700, quando si assiste ad un importante aumento delle invenzioni legalmente brevettate in un contesto di fiducia nel quadro politico e legislativo, di certezza nelle operazioni in ambito produttivo e commerciale e di tutela del diritto di proprietà delle merci e dei brevetti. Fra le invenzioni che hanno successo tra il 1760 e il 1780 vi sono la macchina a vapore di Watt e tre macchine destinate al settore tessile: il filatoio multiplo di Hargreaves (1764), il telaio ad acqua di Arkwrigth e il filatoio intermittente di Crompton (1779). La prima industria inglese a meccanizzarsi è dunque quella tessile ed in particolare quella cotoniera, presentandosi come settore di punta nella prima fase della rivoluzione industriale e come modello di fabbrica che va progressivamente estendendosi ad altre lavorazioni. Le necessità del settore tessile, sempre in espansione, determinano scelte fondamentali nel processo di meccanizzazione e nel campo delle innovazioni. Tra queste occorre ricordare il procedimento di fusione dei metalli ferrosi con l’utilizzo del carbone coke, invece del carbone da legna, risultato della distillazione a secco del carbone fossile fuso in forni ad alte temperature in assenza di ossigeno e l’invenzione della macchina a vapore che sostituisce l’acqua ed il vento quali fonti di energia inanimata.

Superate le prime difficoltà rappresentate da come ottenere le alte temperature necessarie al processo di distillazione, a cavallo tra ‘700 e ‘800 la produzione di carbon coke cresce sensibilmente, permettendo rese molto maggiori. Questo fatto, insieme alla diminuzione dei costi di trasporto, grazie alla costruzione di una fitta rete di canali, dà una forte spinta allo sviluppo della siderurgia.

La domanda di ferro infatti è in continua crescita per i progressi ottenuti nei settori dell’agricoltura e dell’industria tessile. Inoltre si va realizzando una nuova lega metallica, la ghisa, ottenuta dalla fusione di ferro, carbonio ed altri elementi materiali più resistenti e più adatti alla lavorazione, che non sarebbe stato possibile senza ricorso alle nuove fonti di energia inanimata in sostituzione di quella fornita dall’uomo o dagli animali.

I primi tentativi di sfruttamento del vapore erano stati messi a punto tra il ‘600 e il ‘700 da Thomas Savery che nel 1698 inventa un macchinario per prosciugare il fondo dei pozzi delle miniere di carbone. In questo settore di ricerca in seguito si cimentano con successo ingegneri, ricercatori e tecnici tutti orientati a perfezionare e suggerire continue migliorie ad un ritmo incalzante, a mano a mano che se ne presenta la necessità e si individuano le necessarie messe a punto dei macchinari utilizzati. Thomas Newcomen, Richard Trevithik, James Watt ed altri sono i pionieri e i ricercatori sul campo. Si assiste allora ad un salto di qualità che riguarda l’applicazione massiccia dell’energia a vapore nell’industria ed in seguito ai trasporti rivoluzionati con l’invenzione della motrice a vapore di George Stephenson.

Ma tutto questo, questa “rivoluzione”, non sarebbe stato possibile realizzare se anche la società inglese, nella sua composizione e nelle dinamiche espresse, non fosse già orientata e quindi disponibile ad accogliere ed accettare, a volte anche con fatica, le novità che a getto continuo erano proposte. Questo si evince meglio da una analisi comparata tra alcuni stati europei, la loro struttura sociale e le loro dinamiche interne. Nella prima metà del ‘700 sono tra le nazioni più ricche in termini di reddito l’Inghilterra, l’Olanda e la Francia, la quale vanta una popolazione superiore di tre volte a quella inglese (16 milioni contro i 5 dell’Inghilterra) ed un territorio molto più esteso, facendone la prima potenza economica in Europa.

Successo del modello inglese.

Ma il successo del modello inglese non sarebbe pienamente compreso se non si esaminassero anche le condizioni di vita degli abitanti. “Nel mercato inglese il potere d’acquisto pro capite ed il tenore di vita sono mediamente più alti del resto dell’Europa. Il contadino inglese non solo mangia meglio, ma spende per il cibo una parte minore del suo reddito”. “...le impressioni dei viaggiatori testimoniano copiosamente la più equa ripartizione delle ricchezze, i più alti salari e la maggiore abbondanza che si riscontrano in Inghilterra. Uno degli indici più probanti del grado di agiatezza è il consumo di pane bianco... “(Storia economica di Cambridge - vol. 6 -Einaudi editore). La società inglese poi risulta essere più aperta di altre in Europa, la stratificazione sociale è meno rigida, più permeabile, stante la maggiore facilità di “transitare” dall’una all’altra fascia. In Francia è “più netta una struttura tripartita: aristocrazia, borghesia e “peuple”. Nella maggior parte della Germania occidentale si trova lo stesso modello di classificazione, ma ancora più rigido al punto che il rango sociale è definito per legge”. “E a est dell’Elba la società è ancora più semplice: una esigua aristocrazia terriera, la grande massa dei contadini legati da un rapporto di dipendenza personale e in mezzo un esile strato di borghesia mercantile, spiritualmente e spesso etnicamente estranea al corpo sociale in cui viveva e si muoveva incapsulata”. (Storia economica di Cambridge - vol. 6 - Einaudi editore). Queste, a parer mio, sono le ragioni per le quali si può sostenere che solo in Inghilterra poteva essere possibile che si manifestassero quella serie di tensioni, di sommovimenti, di dinamiche e di risultati che definiamo “Rivoluzione industriale”.