Incontri Cavouriani

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Storia delle ferrovie dal Regno di Sardegna alla Repubblica Italiana


di Vittorio Griva

Nel gennaio del 1836 inizia la storia delle ferrovie nel nostro paese: l’ingegnere franceseBayard chiede il permesso a Ferdinando II per studiare una strada ferrata (una voie ferrée) tra Napoli e Nocera; Bayard si adoperò dunque nel raccoglimento dei materiali necessari, che dovettero essere quasi completamente importati dall’estero, incluse le prime due locomotive, chiamate “Bayard” e “Vesuvio”; si cominciò quindi la costruzione, che avrà nella celeberrima Napoli-Portici il suo primo tratto di linea; il 3 ottobre del 1839 affiancando i binari, lunghi 7,6 km, un’enorme folla in delirio salutò con fervore il primo viaggio ferroviario della storia del nostro paese.

3 ottobre 1839 – Inaugurazione della ferrovia Napoli-Portici

3 ottobre 1839 – Inaugurazione della ferrovia Napoli-Portici

Seguirono poi la pianificazione e realizzazione, sempre all’interno del Regno delle Due Sicilie, di altre linee ferroviarie: la Napoli - Caserta inaugurata nel 1843 e nel 1844 fu la volta del prolungamento della linea fino a Capua.

Bisogna però non pensare che la Napoli Portici venisse utilizzata soltanto dalla corte partenopea; difatti già nel ‘45 uno scrittore di guide da viaggio britannico, un certo Francis Coghland, affermava che sulle carrozze si potevano facilmente trovare lavoratori, per la precisione artigiani di Torre del Greco, che formarono il primo nucleo di pendolari italiani.

In parallelo (1835), andava a costituirsi la cosiddetta “Ferdinandea”, società che doveva progettare e realizzare la Milano-Venezia e le opere ad esso connesse, tra cui quello che oggi chiamiamo “ponte della libertà”, ossia il collegamento terrestre tra Mestre e Venezia. Difatti, per ben 4 anni, quindi tra l’inaugurazione del primo tratto tra Padova e Mestre e l’inaugurazione del ponte, si dovette organizzare un servizio di cosiddette “grandi gondole” tra la terraferma e la città lagunare; finalmente nel 1846, nell’euforia generale, venne inaugurato il ponte, descritto dalla stampa locale in questo modo:

Le autorità si sono raccolte alle ore 9 e tre quarti all'interno della stazione. Ma l'ora della partenza già suona nell'urlo del vapore fremente; la macchina, ornata a trionfo, a’ carri è attaccata; ed ella che prima guida Venezia stringersi colla terra, dal Bucintoro s’intitola, come in altri tempi un altro recavala alle mistiche sue nozze col mare. Il convoglio, composto da tre coperti e scoperti e dieci vagoni si mosse che erano le 10:13, e alle 10:16 fu in vista del Ponte. Il suo apparire fu intorno annunziato dagli spari di alcune piroghe, ch’ivi sotto si tenevano a poca distanza e voci festose e plaudenti del popolo che in cento e cento barchette a’ lati della Laguna, e tutte le vie che ad essa da vicino o da lontano son volte.

Spostiamoci ora in Piemonte, caso all’epoca unico: difatti, sotto Carlo Alberto, le iniziative di costruzione di infrastrutture ferroviarie erano di totale iniziativa pubblica, mentre nel resto della penisola era tutto quanto privato (finanziamento e costruzione inclusi). Nel 1837 iniziano le prime pianificazioni, che individuano nella direttrice Torino - Asti - Alessandria la direttrice primaria ove iniziare i lavori; fu così che il 24 settembre 1848 viene inaugurata la Torino - Moncalieri, seguita dall’arrivo della ferrovia ai piedi dell’Appennino nel 1851.

[Dato noto] La situazione politica, intanto, era in continuo mutamento: Carlo Alberto aveva ceduto il governo esecutivo ad una maggioranza definita dal voto parlamentare, che aveva avuto in Massimo D’Azeglio la sua figura predominante per il quadriennio 1848-1852. Sostituito dal suo Ministro per le Finanze, l'agricoltura, l’industria e il commercio (ruoli che manterrà anche da Presidente del Consiglio). È quindi ora di parlare del Cavour.

Monsù Cavour aveva da sempre avuto un ruolo importantissimo nello studio dello sviluppo ferroviario mondiale (ben noto l’incipit della sua passione con il viaggio sul treno per Liverpool). Dal punto di vista accademico, Cavour inizia a commentare le railways con il trattato di commento sull’opera di Carlo Petitti di Loreto (il testo più importante sulle ferrovie risorgimentali, costituito da ben 650 pag., Delle strade ferrate italiane e del miglior ordinamento di esse), con il titolo di Des chemins de fer en Italie (1 marzo 1846, pubblicato sulla Revue Nouvelle).

Carlo Petitti di Loreto, Delle strade ferrate e del miglior ordinamento di esse

Carlo Petitti di Loreto, Delle strade ferrate e del miglior ordinamento di esse

Camillo Cavour, Des chemins de fer en Italie

Camillo Cavour, Des chemins de fer en Italie

Curiosità: il testo di Cavour aveva dei riferimenti risorgimentali così espliciti che l’autore pubblicò lo scritto in territorio francese. Cito uno dei passi più solenni dell’opera:

Nessun paese più dell’Italia ha diritto di fondare le più grandi speranze sull’azione delle strade ferrate. Le conseguenze politiche e sociali che dovranno derivarne in questa bella contrada, più che dovunque altrove, saranno la testimonianza della grandezza del ruolo che queste nuove vie di comunicazione sono destinate a giocare nell’avvenire del mondo.

In aggiunta al commento sull’opera di Pettiti, Cavour aggiunse anche attente esaminazioni degli interessi economici volte alla giustificazione di interessi politici; profondamente convinto dalla liberalizzazione del mercato, e affascinato dal trasporto ferroviario, presentò ai suoi lettori una proposta di libero scambio completo sulle linee ferroviarie, che secondo lui dovevano, per quanto riguarda il nord Italia, collegare come minimo Torino a Trieste, e quindi unire l’Adriatico austro-veneto con il Piemonte.

Dopo quindi essere diventato Primo Ministro, Cavour si fece promotore di molteplici iniziative infrastrutturali, quale la connessione della capitale del Regno di Sardegna con Savigliano-Fossano, Susa-Bussoleno, Cuneo, Arona (Lago Maggiore), Novara, ma soprattutto verso Genova. Soffermandosi su quest’ultima opera, bisogna ricordare che l'allacciamento del porto più importante del Nord Italia con la Pianura Padana, rappresentò una delle primissime opere ferroviarie trans-montane della storia, e ciò richiese, ovviamente, un enorme sforzo alle imprese costruttrici e ai relativi operai, impegnate nel tentare di “addomesticare” le impervie vallate piemontesi-liguri; ad esempio, tra Arquata e Busalla, il primo tratto appenninico della ferrovia, consistente in soli 18 km, richiese la costruzioni di otto ponti e quattro gallerie, tutti fra i 500 e gli 820 metri; l’opera più imponente fu senz’altro la galleria dei Giovi, lunga ben 3.254 metri, allora la più lunga del mondo.

Una volta completata l’opera, il 18 dicembre del 1853, si rese necessario costruire due locomotive definite “mastodonti dei Giovi” proprio perché erano gli unici modelli in grado di valicare le montagne, percorrendo una linea che aveva una pendenza del 35 per mille. Curiosità: è dello stesso anno la fondazione, sempre per iniziativa del Conte, dei cantieri Ansaldo di Genova, in attività tutt’oggi come parte della Leonardo.

Bisogna sottolineare come vennero poi suddivise le concessioni delle linee ferroviarie tra imprese pubbliche e private: degli 850 km che componevano la rete sarda nel 1861, solo 276 km erano gestite direttamente dallo Stato (tra queste, la Torino-Genova e la Torino-Lago Maggiore), i restanti 574 distribuiti tra 13 imprese private, tra cui la Società Vittorio-Emanuele che ne gestiva ben 170.

Proprio dalla decisione di lasciare la gestione della linea successivamente alla costruzione (ma molto spesso anche il finanziamento e la costruzione della stessa) ai privati, comune soprattutto agli ex stati centrali pre-unitari, nacquero numerose problematiche relative ai finanziamenti annuali che lo Stato (Italiano) doveva versare alle imprese coinvolte in queste gestioni delle somme notevoli per sopperire ai deficit di riempimento dei treni.

Di fianco alla cavalcata delle ferrovie piemontesi, il resto del Paese costruiva pochi tronchi isolati tra di loro, e soprattutto non c’era coordinamento per la connessione ferroviaria al nord: gli austriaci si opponevano fermamente a qualsiasi forma di proposta di interconnessione e allacciamento tra le linee sarde e quelle lombarde; in questa circostanza ci fu il primo aiuto di Napoleone III alle politiche cavouriane. Difatti, una delle condizioni poste dal Conte per l’intervento piemontese all’interno del conflitto russo-ottomano, fu quella di obbligare gli austriaci a finanziare il congiungimento della città di Milano con il confine con il Piemonte (Memoriale di Cavour sul Congresso di Parigi, gennaio 1856), cosa che effettivamente avvenne nel giugno del 1856. Fu quindi completata la linea da Novara al Ticino nel tardo 1858, mentre a maggio del 1859 fu la volta della parte lombarda: la linea non venne utilizzata, però, sino al 1° giugno seguente, quando un convoglio di soldati franco-sardi attraversò il ponte sul Ticino e trasportò gli eserciti nei pressi di Magenta, dove ci fu il celebre scontro solo 3 giorni dopo.

Ponte sul Ticino a parte, le ferrovie furono di vitale importanza all’interno del conflitto, andando a costituire per la prima volta nella storia il principale elemento logistico militare nella storia mondiale; in particolar modo la linea tra Alessandria e Stradella fu fondamentale per il trasporto di truppe fresche, pronte per essere gettate nella mischia durante la battaglia di Montebello.

Anche al Sud, nel settembre del 1860, e quindi durante l’assedio di Capua, furono utilizzati i convogli ferroviari per portare le camicie rosse nei pressi dell’ultima località di resistenza dei Borboni.

Visto il ruolo che i treni avevano avuto durante la guerra, mentre le varie regioni si aggregavano al Piemonte, sembrò evidente che i mezzi più importanti per cucire e saldare lo Stato in via di costituzione erano l’esercito e le strade ferrate, in gran parte dell’Italia, ancora tutte da costruire. Si trattava di tenere insieme la nazione appena uscita dalle vicende risorgimentali innanzitutto con “armi e ferrovie”. E infatti molte tratte realizzate all’indomani dell’unità avevano uno specifico interesse militare.

Le ferrovie della penisola italiane tre mesi prima dell’unificazione

Le ferrovie della penisola italiane tre mesi prima dell’unificazione

Dopo l’unificazione, la situazione delle ferrovie era a dir poco raccapricciante. Su un totale di 2189 km di ferrovie, il nord la faceva da padrone con 1607 km di ferrovie (850+50+100+607), escludendo l’Emilia Romagna (- Modena e parma); ben 34 province su 59 erano prive di strade ferrate.

La Destra Storica individuò negli investimenti infrastrutturali ferroviari il mezzo per unire il popolo italiano e allo stesso tempo lanciare economicamente le zone rurali, connettendole con i principali poli logistici e di scambio intermodale (come porti marittimi commerciali, Genova e Napoli su tutti). Su un totale di 1511 milioni di lire in investimenti in lavori pubblici nel decennio 1870-1880, ben 859 milioni erano in costruzioni o riscatti di linee ferroviarie. Fu difatti galoppante l’ampliamento della linea dai poco più di 2 k del ‘61 ai 6k al 1870, e gli allungamenti delle linee furono molteplici e multidirezionali, ma non privi di difficoltà, considerando la morfologia del nostro Paese: episodio di notevole importanza fu l’allacciamento della rete settentrionale con quella toscana, avvenuto nel 1864 con il collegamento tra Bologna e Pistoia via Porretta, con la linea denominata “Porrettana”; studiata nei minimi dettagli dall’ingegner francese Protche, l’opera si sviluppò su una pendenza massima del 26 per mille, sfruttando una delle cosiddette gallerie elicoidali, di 2700 metri. Esso fu seguito da completamenti in tutta la Nazione, sud e isole comprese, dove però si registrarono le ultime aperture di primi tratti regionali (Battipaglia - Reggio C. ionica, 1875).

Nei primi decenni di unità della Nazione, la geopolitica commerciale britannica si intrecciò con il destino delle ferrovie italiane; è il caso della cosiddetta “Valigia delle Indie”, ossia il territorio di transito del grosso dell’export/import all’interno della Gran Bretagna, che dal 1858, con l’annessione dell’india si era trasformata in Impero Britannico, e quindi il maggior flusso di merci a livello mondiale.

Il percorso in terraferma della Valigia delle Indie

Il percorso in terraferma della Valigia delle Indie

Proprio con la volontà di catturare questi traffici, la costruzione della Ancona - Brindisi fu particolarmente veloce; venne infatti completata l’opera nell'aprile 1865. Con 500.000 lire, il governo italiano iniziò a sovvenzionare la Peninsular & Oriental, compagnia organizzatrice della Valigia, che spostò così il proprio terminal meridionale da Marsiglia a Brindisi, velocizzando i propri trasporti di circa 10 h; il tutto durò poco a causa della difficoltà nell’approdo nel porto pugliese, facendo ritornare in Francia il grosso dello scambio commerciale, ma non i viaggi umani, che rimasero su Brindisi.

Nel maggio 1862 venne ratificato dai governi italo-francese il riavvio dei lavori sul tunnel del Frejus, poiché quando erano stati avviati 5 anni prima, il tunnel era completamente in territorio sardo; si erano quindi suddivisi i finanziamenti e gli oneri di realizzazione tra Parigi e Torino. Tralasciando le progettazioni economiche e ingegneristiche, la costruzione dell’opera fu ricca di ingegni e stratagemmi per facilitarne la realizzazione; ad esempio si diede una leggera pendenza alle due gallerie in corso di scavo, in modo tale da evitare accumuli di acqua lungo il tunnel, oppure l’utilizzo delle macchine perforatrici, invenzione dell’ingegner Sommelier, progettista dell’opera; tali macchine utilizzavano l’energia idrica per comprimere aria e trasmettere il movimento di perforazione con il quale si praticavano i fori da mina in galleria; fu così possibile bucare la montagna senza i soliti pozzi verticali di aerazione. Aperto nel novembre 1869 il canale di Suez, la galleria del Moncenisio di 13,6 km fu inaugurata due anni dopo, il 17 settembre 1871. Il primo treno impiegò 40 minuti per percorrere il tunnel, contro le 12 h necessarie per la carrozzabile (peraltro non utilizzabile tutto l’anno, ma solo nei mesi estivi). Curiosità: Thomas Cook, il primo agente di viaggi della storia, percorrendo il tunnel per la prima volta, riscontrò di come l’aria non fosse così sgradevole come all’interno della Tube londinese; inoltre le carrozze avevano una buona illuminazione interna, così come, a suo avviso, la galleria stessa era ben illuminata.

La seconda grande galleria fu quella del Gottardo, lunga 15 km (costruzione: 1872-1882), usata nitroglicerina, onere economico maggiore su governo italiano (45 milioni, a fronte dei 20 mln tedeschi e 20 mln svizzeri), polemica.

La terza importante galleria fu quella del Sempione, che fu progettata con un metodo incredibilmente attuale, ossia quello di costruire una galleria a doppia canna e di collegare quest’ultime ogni 200 metri, col fine (iniziale) di maggior ventilazione. Costruita tra il 1898 e il 1906/1921 (1° e 2° canna) fu la galleria più lunga del mondo fino al 1979, con ben 19,8 km di lunghezza.

I trafori alpini tra ieri e oggi

I trafori alpini tra ieri e oggi

Tra il 1872 e il 1880, nonostante crisi economica mondiale, + 64% merci trasportate sulla rete nazionale, anche al sud → pomodori pelati Cirio, derrate da campagne;

Alla fine degli anni 70 sulle ferrovie italiane si registra una media di 30 milioni di passeggeri all’anno, in rapporto di uno a uno con la popolazione, mentre in Inghilterra la cifra era di sette volte la popolazione; difatti incideva notevolmente il costo sulle brevi distanze del biglietto, incrementato da un bollo governativo. Nei vent’anni seguenti, ci fu un incremento notevole, ma sempre con enormi differenze con le altre nazioni europee: ogni italiano viaggiava in media, all’inizio del 900, con il treno 1,82 volte all’anno contro le 27,4 volte degli inglesi, le 20 volte degli svizzeri, le 17,18 volte dei belgi, le 9,57 volte dei francesi, e 5,9 degli olandesi. In valore assoluto, nel 1905 le ferrovie italiane trasportavano 85 milioni di passeggeri, quelle britanniche 1.170.000.000, le svizzere 81 milioni, le belghe 163 milioni, le francesi 429 milioni.

Nell’immediatezza dell’unità d’Italia, si dovette constatare, come detto in precedenza, l’enorme disparità e disuguaglianze presenti nelle differenti modalità di gestione, statale o privata, delle numerose infrastrutture ferroviarie presenti sul territorio nazionale: difatti potevamo trovare in Piemonte una maggioranza di ferrovie gestite sta talmente, coesistenti con una maggioranza di ferrovie gestite direttamente dai privati dell’ex territorio del regno delle due Sicilie. Allo stesso tempo coesistevano ferrovie estremamente redditizie, con altrettante molto meno redditizie; nel caso delle società di gestione private, questa differenza di indotto provocava sovvenzioni statali di grande entità: ad esempio, lo Stato nel 1862, per la Voghera-Pavia, garantiva 25.000 lire annue per chilometro, alla società. Questa situazione si protrasse per tutta la metà dell’ottocento, fino a quando nel 1905, Giovanni Giolitti, al suo secondo esecutivo, sull’onda di un referendum del 1898 che in Svizzera aveva provocato la nazionalizzazione della maggior parte della rete ferroviaria, ordinò quella della rete italiana.

La rete ferroviaria italiana con la riforma Giolitti, 1905

La rete ferroviaria italiana con la riforma Giolitti, 1905

Fu quindi approvata nell’aprile dello stesso anno l’amministrazione autonoma delle ferrovie dello Stato (FS), che nasceva come una novità dell’ordinamento italiano, rappresentando il primo esempio di un ente legato ministero, quello dei Lavori Pubblici, ma dotato, attraverso il consiglio d’amministrazione presieduto dal direttore generale, della libertà necessaria per gestire un servizio rivolto al mercato. Con il riscatto delle ferrovie, seguito due anni dopo da quello - all’epoca minore - delle linee telefoniche, si profilò nell’età giolittiana un’ampia trasformazione del sistema amministrativo italiano, che vide la nascita di apparati auto cefali diretti da personale burocratico autonomo e caratterizzati da un minore controllo contabile. A dirigere la nuova azienda fu voluto dal presidente il consiglio, l’ingegner Riccardo Bianchi. Nato a Casale Monferrato, Bianchi si fece carico della realizzazione di una burocrazia ferroviaria in mezzo a notevoli difficoltà di ordine finanziario e tecnico, conservando nelle proprie mani gran parte del potere. L’azienda organizzata su basi prevalentemente privatistiche mutuate dalle precedenti gestioni delle compagnie esaltando la discrezionalità permessa dalla legge istitutiva, con una struttura molto agile con personale retribuito in maniera diversa da quello statale. Nel 1905, quindi, Le ferrovie dello Stato, divennero la più grande azienda nazionale con più di 250.000 dipendenti, oltre che alle 2664 locomotive, 52.778 carri merci, e 6.985 carrozze viaggiatori, per le quali si decise di adottare il colore verde scuro già in uso sulla rete Adriatica, chiamato all’epoca “verde vagone”.

Rete ferroviaria italiana al suo apice nel 1939, Km 16.981

Rete ferroviaria italiana al suo apice nel 1939, Km 16.981

Torino, 22 marzo 2023