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ROBERTO TAPARELLI D’AZEGLIO. UN PROTAGONISTA DEL RISORGIMENTO QUASI DIMENTICATO


di Flavio Rainero

Ritratto di Roberto d'Azeglio

Ritratto di Roberto d'Azeglio

Giuseppe Nepomuceno Roberto Taparelli, Marchese d’Azeglio nacque a Torino il 24 settembre 1790. Figlio del marchese e diplomatico Cesare e di Cristina Morozzo della Rocca dei marchesi di Bianzè. Fu il fratello maggiore dell’illustre senatore, ministro e Presidente del Consiglio Massimo e del filosofo gesuita Luigi.

Nel 1800, essendosi la famiglia trasferita a Firenze in conseguenza dell’occupazione francese, Roberto fu mandato a studiare nel collegio dei Tolomei di Siena.

Nel 1808 la famiglia tornò in Piemonte in seguito alla minacciata espropriazione dei beni degli emigrati da parte del governo francese e, nel 1809, volendo Napoleone che i giovani rampolli delle antiche famiglie patrizie piemontesi fossero assunti al servizio dell’impero, anche il giovane d’Azeglio venne chiamato a Parigi. Fu nominato uditore di terza classe presso il Consiglio di Stato e aggregato alla sezione delle Finanze. Passò poi all’Amministrazione dei Ponti e delle Strade come uditore di seconda classe e nell’autunno del 1811 fu inviato a Roma in occasione di una ispezione ai lavori di prosciugamento delle paludi pontine.

Tornato l’anno successivo a Parigi, ricevette la promozione di uditore di prima classe e fu trasferito alla sezione di alta polizia. Nel giugno 1812 gli fu affidato l’incarico di commissario a Lauenburg sul fiume Elba. Nel settembre del 1813 otteneva un congedo per ritornare a Torino. Qui, il 27 gennaio 1814 sposava Costanza Alfieri di Sostegno, donna assai colta, di spiccata personalità e di rare virtù intellettuali e morali, che gli fu consigliera e compagna in tutte le sue più nobili imprese. Ebbero due figli: Melania (1815 – 1841), che sposò Salvatore Pes, Marchese di Villamarina. Melania morì di mal sottile in giovane età. Nel 1816 nacque Emanuele (deceduto nel 1890) che intraprese la carriera diplomatica come il nonno. Con Emanuele la famiglia Taparelli d’Azeglio si estinse.

Nel 1815, durante i Cento Giorni, il d’Azeglio partecipò alla campagna di Grenoble, nel Delfinato, come volontario nel reggimento Cavalleggeri di Piemonte ritornando con il brevetto di capitano.

Come tutti i giovani cresciuti alla scuola di Napoleone, vagheggiò un grande regno costituzionale sabaudo nell’Alta Italia, ed anzi, sembra che in lui si debba riconoscere la quinta persona, accennata ma non nominata da Santorre di Santarosa, che assistette, il 6 marzo 1821, al famoso colloquio dei capi della cospirazione con Carlo Alberto di Savoia, allora Principe di Carignano. Sempre molto vicino a Carlo Alberto, si recò con lui il 12 marzo 1821, quando il Re Vittorio Emanuele I lo inviò a trattare con gli insorti della Cittadella di Torino. Benché dai documenti sinora noti non risulti chiaramente il suo atteggiamento, tutto lascia supporre che Roberto d’Azeglio, in quelle circostanze, abbia cercato di svolgere una funzione moderatrice, in contrasto con le pressioni dei fautori della costituzione spagnola.

Quando si profilò il fallimento dell’insurrezione, egli ritenne opportuno riparare all’estero, in esilio con la famiglia. Si trattenne a Ginevra per qualche tempo e passò quindi a Parigi ove il padre di Costanza, Carlo Emanuele Alfieri di Sostegno, era Ambasciatore del Regno di Sardegna. L’Alfieri di Sostegno era ostile alle idee della figlia e del genero, ma non esitò ad accoglierli nella propria casa parigina.

Allacciò in quegli anni stretti rapporti con i giovani aristocratici dalle idee più aperte, come Giacinto Provana di Collegno, Guglielmo Moffa di Lisio, Ettore Perrone di San Martino.

Benché nei processi istruiti dopo i moti del ’21 non fossero emerse responsabilità a suo carico, Roberto Taparelli si trattenne a Parigi sino al 1826, riprendendo in questo frangente, con intensità, i suoi studi artistici, la passione della sua vita. Nella capitale francese frequentò la casa di François Gèrard, pittore di corte, e strinse amicizia con gli artisti più rinomati come Gros, Delaroche, Gudin, Carle e Horace Vernet, Guérin e particolarmente con Luois Hersent e Robert Lefèvre.

Dopo il ritorno in patria continuò a trascorrere il tempo nei suoi studi e suggerì a Carlo Alberto, appena salito al trono, l’idea di creare una galleria ove fossero esposti al pubblico i tesori artistici raccolti attraverso i secoli dai sovrani di Casa Savoia. Il Re gli affidò allora il compito di realizzare quel progetto (Regie Patenti del 19 giugno 1832). Il 2 ottobre dello stesso anno, nella ricorrenza del genetliaco di Carlo Alberto, la galleria venne aperta al pubblico nelle belle sale di Palazzo Madama. Dopo questa data la maggiore attività del d’Azeglio fu rivolta all’ordinamento, allo sviluppo e all’illustrazione della Regia Pinacoteca (Reale Galleria). Il sovrano lo incaricò di diventarne direttore, incarico che mantenne per ventidue anni, fino al 1854.

Nel 1831 Roberto d’Azeglio diede inoltre il via alla costruzione della sua residenza estiva, il Castello e Parco del Roccolo a Busca (CN) in pieno stile gotico. Il parco fu realizzato seguendo il progetto che l’architetto paesaggista di corte, Xavier Kurten, aveva realizzato anni prima su sua commissione.

Nel 1836 il marchese cominciò a pubblicare in grandi fascicoli “in folio” un’opera destinata a illustrare la Reale Galleria di Torino. Ogni fascicolo conteneva in genere la riproduzione a stampa di quattro dipinti, cui seguiva un commento dello stesso Azeglio. In questi saggi egli non si limitava ad una analisi dei singoli quadri dal punto di vista strettamente artistico, ma si abbandonava spesso a lunghe eruditissime digressioni di carattere storico, attraverso le quali si proponeva di far conoscere agli italiani la storia di Casa Savoia, il suo mecenatismo, la sua grandezza nel campo militare e politico ed il vivo senso di italianità da cui, a suo parere, erano state animate le maggiori imprese dei principi sabaudi nel corso degli ultimi secoli. Per dare poi all’opera un carattere di più spiccata italianità, per trasformarla quasi in un atto di omaggio a Casa Savoia e a Carlo Alberto (a cui essa era dedicata) da parte di tutta l’Italia, l’Azeglio volle che alla riproduzione a stampa dei quadri collaborassero i migliori incisori di tutta la penisola.

Quest’opera monumentale incontrò il particolare gradimento del sovrano il quale, con Patenti del 17 novembre 1836 nominava Roberto Taparelli d’Azeglio Cavaliere dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro e direttore effettivo della Reale Galleria e quindi, nel 1840, Commendatore dell’Ordine suddetto (Regie Patenti del 3 aprile 1840).

Gravi difficoltà finanziarie vennero tuttavia in seguito a rallentare il lavoro che poté essere proseguito soltanto grazie al mecenatismo di Carlo Alberto. I volumi, costituiti da dieci fascicoli ciascuno, sarebbero dovuti uscire ad intervalli di poco più di un anno. In realtà invece, mentre il primo usciva nel 1836 ed il secondo nel 1838, il terzo non vide la luce che nel 1841 ed il quarto nel 1846.

Particolare eco ebbe il saggio dedicato nel volume IV al dipinto del Tiziano raffigurante Paolo III Farnese. In esso il Taparelli intesseva l’apologia del Papa esaltandolo come tenace difensore dell’indipendenza italiana contro le aspirazioni espansionistiche della Casa d’Asburgo e ne traeva spunto per bollare con violenza il persistere della dominazione austriaca in Italia e per auspicarne la fine. Quel saggio veniva riprodotto nel primo volume dell’Antologia Italiana, diretta da Francesco Predari, col titolo “Cenni sull’ascendente di Paolo III sopra il suo secolo” e provocava una sensazione vivissima sull’opinione pubblica oramai satura di rancori antiaustriaci.

L’Azeglio prese pure parte molto attiva a quella vasta opera di rigenerazione morale e sociale nei riguardi delle classi inferiori a cui partecipò con grande dedizione in quegli anni insieme al fior fiore della nobiltà subalpina. Convinto che la grandezza dei popoli poggia sull’educazione civile e morale, si adoperò sin dal 1835 affinché sorgessero asili e scuole per l’infanzia, di cui alcune le fondò lui stesso, dirigendole personalmente e dotandole di mezzi economici. Sempre nel 1835, mentre infieriva il colera, accettò la direzione del lazzaretto provvedendo talvolta personalmente alla cura degli ammalati. L’anno stesso istituiva in una casa sita in Piazza Gran Madre di Dio un asilo femminile con cinquanta posti, che ampliava poi notevolmente dopo la morte della figlia Melania. A questo asilo egli destinava più tardi, per disposizione testamentaria, una adeguata rendita al fine di assicurarne la sopravvivenza.

Sempre nel 1835 Roberto d’Azeglio, con Camillo Cavour, Amedeo Peyron e Cesare Alfieri, si fece promotore della creazione di un ricovero di mendicità e nel 1838 sottoscrisse con molti altri una petizione al sovrano per la fondazione di una “Società per l’istituzione delle scuole infantili e del patrocinio degli alunni”. Da questa società otteneva poi (contribuendo alle spese) la creazione di un asilo per bambini e di una scuola per giovanetti accanto all’asilo femminile da lui fondato. Nello svolgimento della sua opera di benefattore l’Azeglio era animato da un intento altamente civile e dalla convinzione che stretti legami dovevano esistere fra rigenerazione sociale delle classi inferiori e risorgimento nazionale. Sotto questo punto di vista l’attività svolta in quel periodo dal Taparelli si differenzia sostanzialmente da quella iniziata nel 1839 dalla Marchesa Giulia di Barolo improntata ad una ispirazione più spiccatamente religiosa.

In questa sua opera benefica egli fu coadiuvato con grande dedizione dalla moglie Costanza. Ella era, fra l’altro, una delle ispettrici della Società per l’Istituzione delle Scuole Infantili sopra ricordate e, con la sorella Luigia, fondò a sua volta una casa per fanciulle povere.

Il biennio 1847/48 segnò il culmine dell’attività pubblica di Roberto Taparelli d’Azeglio.

Quando, in occasione delle riforme concesse da Carlo Alberto negli ultimi mesi del ’47, i torinesi vollero organizzare grandi manifestazioni per esprimere da un lato al sovrano la propria gratitudine a dall’altro per indurlo a proseguire sulla stessa via, a lui ricorsero per la realizzazione di quel piano. Roberto Taparelli assolse la mansione che gli veniva affidata con energia e abilità impedendo che le manifestazioni trasmodassero e dessero perciò buon gioco al partito reazionario. Il 30 novembre 1847 fu il promotore di una raccolta firme a favore dell’emancipazione dei valdesi e degli ebrei del Regno di Sardegna, che verrà concessa da Carlo Alberto l’anno successivo.

All’inizio del gennaio 1848 egli redigeva, a nome dei commercianti di Torino, un forte indirizzo al sovrano nel quale essi dichiaravano di essere pronti a sacrificare ogni loro interesse per il bene della patria, in previsione di una prossima guerra. Il 7 dello stesso mese presiedeva la famosa riunione che si svolse all’albergo Europa, nella quale Cavour propose la stesura di una richiesta al re per ottenere la Costituzione. Inoltre, si prodigò nei giornali, nei circoli, nei privati ritrovi e nei salotti, per spingere Carlo Alberto a concedere lo Statuto e a muovere guerra all’Austria. Le pubbliche dimostrazioni del novembre e del dicembre1847 e la grande manifestazione del 27 febbraio1848, in seguito alla promessa fatta dal sovrano di concedere la costituzione, furono organizzate e guidate da lui.

Quando poi si istituì la guardia civica, l’Azeglio fu chiamato a far parte dello Stato Maggiore. Egli si adoperò per ottenere l’emancipazione degli ebrei e dei valdesi, come riportato nei suoi articoli Ama il prossimo tuo come te stesso, in La Concordia del 3 gennaio 1848 e Emancipazione israelitica in Il Risorgimento del 22 febbraio 1848.

Nel 1849 disapprovò la decisione di ritentare la sorte delle armi, ma il disastro di Novara non gli tolse la fede nell’avvenire e, più tardi, allorché si accesero le dispute sull’opportunità o meno di inviare truppe in Crimea, difese risolutamente la politica di Camillo Cavour.

Scoppiata la guerra con l’Austria, il Taparelli avrebbe voluto prendervi parte a fianco del re. La sua presenza fu invece ritenuta più necessaria nella capitale, ed essa si rivelò particolarmente utile quando sopraggiunse la sconfitta. Egli infatti fu chiamato a presiedere un comitato di sicurezza pubblica, che seppe svolgere una efficace opera di controllo. Sciolto quel comitato per contrasti col ministero Casati, Roberto d’Azeglio, amareggiato e deluso dopo il crollo di tante speranze, si ritirò in campagna col proposito di lasciare la carica di senatore, a cui era stato chiamato fin dal 3 aprile, e di abbandonare ogni attività politica. Passato invece un breve periodo di abbattimento, ritornò nella capitale e, rifiutata la proposta di diventare sindaco di Torino, riprese il suo posto in Senato nel 1850. Si dichiarò favorevole all’intervento piemontese in Toscana progettato dal Gioberti, mentre fu contrario alla ripresa della guerra contro l’Austria. Negli anni successivi continuò a prendere parte alle battaglie parlamentari.

Fu favorevole alle riforme della legislazione ecclesiastica progettate nel 1850 (discorso al Senato del 5 aprile), sostenne la politica di Cavour sul problema dell’alleanza di Crimea (discorso del 1 marzo 1855) e si scagliò con violenza contro la politica assolutistica e antiunitaria di Pio IX dichiarando necessaria la soppressione del potere temporale dei papi. I suoi articoli e discorsi parlamentari sono riportati in molti numeri del giornale Il Diritto.

Quando nel 1852 vennero discussi i problemi relativi alla libertà di stampa, il d’Azeglio si dichiarò favorevole all’adozione di misure restrittive (discorso al Senato del 23 dicembre 1852), il che valse a far notevolmente scemare la sua popolarità. Alcuni mesi dopo assunse un atteggiamento ostile al progetto di legge sul matrimonio civile (discorso del 15 dicembre 1852) e, nel 1855 si pronunziò contrario al progetto legge Rattazzi per la soppressione degli ordini religiosi e per la vendita dei loro beni.

Contemporaneamente all’attività politica Roberto Taparelli continuò l’opera di diffusione della cultura tra i fanciulli e i giovani delle classi meno abbienti, propugnando lo sviluppo delle scuole serali e festive. In questa sua attività il d’Azeglio non appare più mosso, tuttavia, da quella ottimistica fiducia che lo animava prima del ’48, bensì da intenti che, pur rimanendo profondamente umanitari, tradiscono una viva preoccupazione conservatrice.

La sua opera benefica non si limitò, tuttavia, al campo dell’insegnamento. Egli fu tra i primi a farsi promotore della creazione di case operaie, aiutò fattivamente il costituirsi della “Società di mutuo soccorso ed istruzione degli operai di Torino”, di cui venne nominato socio onorario e, nel 1859, durante la seconda guerra d’indipendenza, fu, con la moglie, l’animatore di una associazione per la cura dei soldati feriti ed infermi.

Sino al 1854 il Taparelli continuò pure a ricoprire la carica di direttore della Reale Galleria. Ma tale incombenza doveva finire col procurargli grossi dispiaceri.

Avendo il Senato stabilito la sua sede in Palazzo Madama e trasferito i propri uffici nelle stesse sale in cui erano esposti i quadri della galleria, quest’ultima, dal 1848 in poi, era stata costretta a chiudere i battenti durante le sessioni parlamentari. Inoltre, il calore delle stufe nei mesi invernali e l’incuria degli impiegati, rischiavano di danneggiare gravemente il patrimonio artistico conservato. Il d’Azeglio si batté per risolvere l’incresciosa situazione suggerendo una sistemazione diversa per gli uffici del Senato e grande fu la sua indignazione allorché il ministero propose invece di trasportare i quadri nelle soffitte del palazzo dell’Accademia delle Scienze. Al riguardo egli fece pubblicare la sua protesta contemporaneamente su Il Risorgimento e nell’Opinione del 24 agosto 1852. Tale progetto non ebbe per il momento esecuzione. Roberto d’Azeglio tuttavia, vedendo che i suoi suggerimenti non erano tenuti in alcun conto, dava le dimissioni nel dicembre 1854.

Roberto Taparelli d’Azeglio trascorse gli ultimi anni della sua esistenza dedicandosi particolarmente, oltre che alle opere di beneficienza, agli studi preferiti di storia dell’arte.

Nel 1861 usciva in due volumi una raccolta di saggi, in parte inediti e in parte ripresi da La reale galleria di Torino e da altre pubblicazioni con il titolo Studi storici ed archeologici sulle arti del disegno. Ad essi seguivano nel 1862 le Notizie estetiche e bibliografiche su alcune precipue opere oltramontane del Museo piemontese ove, riveduti e ampliati, erano pubblicati altri saggi già comparsi nell’opera maggiore. Postumo usciva un breve studio dal titolo Notizie inedite e documenti intorno alla vita di Giovenale Boetto e di Carlo Porporati intagliatori piemontesi dei secoli XVII e XVIII con note di Giovanni Vico (Torino 1880) e nel 1867 vedeva la luce a cura dello stampatore torinese Luciano Basadonna, una seconda edizione in due volumi de La reale galleria di Torino, ove il testo descrittivo era sfrondato di tutto l’apparato storico e politico esistente nella prima edizione.

Particolarmente curioso e significativo, anche perché rivela gli orientamenti sempre più cautamente conservatori del pensiero sociale del d’Azeglio, è un breve saggio dal titolo Delle accademie di belle arti (Torino 1859), nel quale sosteneva le tesi che le accademie di belle arti dovevano venire soppresse e sostituite dall’insegnamento privato e che quest’ultimo avrebbe dovuto essere riservato, salvo rarissime eccezioni, a giovani di famiglie facoltose. Secondo il suo parere, infatti, le accademie, favorendo il diffondersi dell’attività artistica nelle classi inferiori, sarebbero andate incontro a sicura decadenza perché i giovani usciti da quelle classi sarebbero sempre stati costretti ad asservire l’arte al loro bisogno materiale di guadagno.

Il ritratto di Roberto Taparelli d’Azeglio non è compiuto se non ricordiamo infine la sua figura di proprietario terriero. La famiglia d’Azeglio era certamente ancora tra le più facoltose della nobiltà piemontese, nonostante le dure perdite subite nell’età napoleonica. Il padre, inoltre, aveva lasciato a Massimo tutti i beni di Azeglio (nel Canavese) e parte di quelli di Genola (CN), ossia degli ex feudi pervenuti alla famiglia per linea femminile. Il Taparelli, pur senza dimostrare lo spirito d’iniziativa di un Camillo Cavour, seppe curare con molta oculatezza e severità i propri beni, che si estendevano soprattutto nel territorio dell’antico feudo famigliare di Lagnasco, presso Saluzzo. Riacquistò dal fratello Massimo i beni di Genola e, introducendo continue migliorie nel sistema di irrigazione e nelle culture, valorizzò sensibilmente il proprio capitale fondiario. Totalmente assente egli rimase invece dall’incipiente sviluppo dell’economia capitalistica piemontese, a cui parteciparono con grande fervore il fratello Massimo ed il figlio Emanuele.

Roberto Taparelli d’Azeglio moriva a Torino il 23 dicembre 1862 a pochi mesi di distanza dalla moglie Costanza Alfieri di Sostegno, scomparsa il 23 aprile precedente.

Fonti :

G. Briano – I contemporanei italiani (1861)

N. Nada – Dizionario Biografico degli italiani (1962) – Treccani

Wikipedia – Enciclopedia libera

Santena, 7 febbraio 2024