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Il Piemonte negli anni della rivoluzione industriale inglese


di F. Cavallino

Premessa

Buonasera a tutti, circa un anno fa avevamo discusso sulle innovazioni ed i prodotti realizzati durante la rivoluzione industriale inglese in circa 200 anni, dal 1700 al 1900. Nei primi 150 anni dello stesso periodo il Regno di Sardegna non realizzò nulla di industrialmente rilevante mentre nei 50 anni successivi si verificarono eventi molto significativi.

Da buon piemontese mi spiace evidenziare che, appunto, per 150 anni, nel nostro territorio non successe quasi nulla mentre l’Inghilterra, dopo aver decapitato un Re e dopo una sanguinosa guerra civile, si era già guadagnata una monarchia costituzionale come già ben illustrato nelle relazioni di Franco Boldrin e di Mario Baldrati. Tuttavia gli ultimi 50 anni con l’accoppiata Cavour – Vittorio Emanuele videro il decollo di molte iniziative.

Il Piemonte si trovava circondato da tre Regni assolutistici: Francia, Austria e Spagna ciascuno alla ricerca di conquiste territoriali comprese quelle in Italia. Questa situazione frenò lo sviluppo di qualsivoglia iniziativa industriale od etica ed i nostri Duchi e Re furono impegnati a difendere la loro terra, a volte con successo, da ultimo dovendo confrontarsi con Napoleone Bonaparte. Comunque, in questa situazione, iniziavano a manifestarsi alcuni aggiornamenti etici colti da Vittorio Alfieri da Massimo D’Azeglio ed infine da Camillo Cavour.

Possiamo iniziare da Vittorio Amedeo II che, nel 1706, difese Torino e sappiamo bene come utilizzando la storica Cittadella. Ma si rese conto che occorreva ora costruire un forte adeguato a fronteggiare la potenza della nuova artiglieria e, già nel 1709, gettò la prima pietra nella costruzione del Forte della Brunetta progettato da Antonio Bertola sulle alture di Susa.

Abdicò in favore del figlio Carlo Emanuele III. Il suo capolavoro fu la strategia attuata nella battaglia dell’Assietta nel luglio del 1747. Questo colle era stato infatti scelto dai francesi per by-passare i forti di Fenestrelle, di Exilles e della Brunetta diventato ormai operativo. Dopo la vittoria decise che le riforme del padre fossero già ampiamente sufficienti. Questa stabilizzazione determinò un’atmosfera che Vittorio Alfieri descrisse con una frase significativa “…ma pervenuto poi io al primato, tosto mi ri-entipidiva e cadea nel torpore.”.

Nel 1773 Vittorio Amedeo III succede al padre e si fa carico di lanciare nel 1782 il primo sistema di illuminazione pubblica che contava quasi 700 lanternoni a olio e sego. Purtroppo, contro un nascente Napoleone che entra in Italia da Ormea, il Re passa da una sconfitta all’altra e, nel 1796 firma il catastrofico armistizio di Cherasco. Nelle condizioni dell’armistizio Napoleone salvò i forti di Exilles e di Fenestrelle, considerati ormai ferro vecchio, ma ordinò la distruzione della Brunetta molto ammirato da molti generali delle potenze europee.

Anche il successore, Carlo Emanuele IV fu travolto dalla avanzata di Napoleone e si ritirò in esilio in Sardegna. Vittorio Alfieri, mentre lasciava il Piemonte, lo incontrò a Firenze e osservò “provai in quel giorno ciò che non avevo provato mai, una certa voglia di servirlo, vedendolo così abbandonato e sì inetti i pochi che gli rimanevano”. Nel 1798 nasceva Massimo D’Azeglio; il Re abdicò nel 1802 in favore del fratello Vittorio Emanuele I.

Quest’ultimo non poteva fare altro che restare in Sardegna, ma Napoleone dovette a sua volta trasferirsi all’Isola d’Elba e poi a Sant’Elena. Così dopo 16 anni di esilio, nel maggio del 1814, il nuovo Re sbarca a Genova e quindi a Torino, attraversando a cavallo il nuovo ponte del Po fatto costruire da Napoleone. Il Congresso di Vienna assegna la Repubblica di Genova al Piemonte. Gli va riconosciuto il merito di aver costituito l’arma dei Carabinieri che finalmente rappresenta una mossa positiva; se ne sentiva il bisogno, purtroppo anche in Piemonte le forme di brigantaggio erano diventate di attualità. Ma il 1821 diventa un anno difficile per i violenti moti insurrezionali che culminano il 12 marzo con l’occupazione, da parte dei dimostranti, della Cittadella e l’uccisione del suo comandante Giorgio Des Geneys. Il Re abdica in favore del fratello Carlo Felice, che si trova felicemente a Modena, e quindi è anche costretto a nominare un Reggente nella figura di un giovane di 22 anni: Carlo Alberto di Savoia-Carignano. Comunque Carlo Felice riesce a riprendere il controllo della situazione ma, per timore di rigurgiti insurrezionali, pretende un giuramento di fedeltà da parte di tutti i corpi dello Stato, compreso il Clero. I suoi dieci anni di regno saranno ricordati per il grigiore politico. Nonostante ciò sono, in parte, riscattati da due importanti decisioni. Infatti nel 1824 promuove l’acquisto della collezione del Drovetti, primo nucleo del Museo Egizio e nel 1828 fa decollare la prima compagnia assicurativa, in forma di mutua, contro i danni causati dagli incendi, per spegnere i quali l’unica risorsa consisteva nel prelevare acqua dal più vicino canale e portarla sul luogo. Si trattava quindi di difendere la popolazione ma, soprattutto di frenare lo sviluppo delle imprese assicuratrici straniere ed il conseguente drenaggio di capitali all’estero. Nel 1831 Carlo Felice muore e gli succede Carlo Alberto.

Situazione dei Canali di Torino nel 1500, Fonte: Archivio Storico della Città di Torino (ACTS)

Situazione dei Canali di Torino nel 1500, Fonte: Archivio Storico della Città di Torino (ACTS)

Per descrivere quella che poteva essere l’attività proto-industriale di Torino presento la rete dei canali di Torino che rappresentavano una infrastruttura determinante. La situazione, rispetto al passato, non era molto cambiata e si articolava con il Canale del Martinetto parte del quale dopo aver attraversato l’attuale Piazza Statuto, percorreva la contrada di Via Dora Grossa, ora Via Garibaldi, diramandosi, all’ingresso in città, in sei flussi, tre a destra e tre a sinistra. Una seconda rete di canali era concentrata lungo la Dora in zona Valdocco.

Le attività pre-industriali del periodo considerato

Questi ultimi erano particolarmente importanti infatti, come minimo, i diversi Duchi e Re avevano dovuto preoccuparsi di rifornire i propri eserciti con armi adeguate quali cannoni e fucili caricandoli con la polvere da sparo utilizzata, non solo come propellente dei proiettili, ma anche per scavare cave e miniere. Già Emanuele Filiberto ne conosceva l’importanza infatti, con un apposito canale derivato dalla Dora, installò le prime macine per la sua produzione nel fabbricato della polveriera sufficientemente lontano dall’abitato per motivi di sicurezza. Nella stessa zona, era il 1666, Carlo Emanuele II decise di organizzare l’Arsenale militare per accogliere nuove macchine utensili e produrre armi bianche e canne di fucile. Purtroppo queste installazioni erano protette ma fuori le mura per cui, durante l’assedio del 1706, i francesi non danneggiarono molto l’installazione ma, senza tanta fatica, intercettarono l’acqua del canale interrompendo così la produzione della preziosa polvere da sparo. Fortunatamente Pietro Micca ne aveva ancora abbastanza.

Le due attività dell’Arsenale

Le due attività dell’Arsenale: macine per la preparazione della polvere da sparo e macchine utensili. Fonte: Saggio di Palmucci Quaglino: Continuità e innovazione nelle manifatture d’armi di Borgo Dora e Valdocco

L’arsenale richiedeva anche i minerali di base quali rame e piombo infatti i nostri Duchi e Re ne promossero la ricerca ai piedi della serra morenica della Valle d’Aosta in particolare sui rilievi a nord di Biella nei pressi di Sagliano ed Andorno di cui sappiamo tutto. Tuttavia la quantità di minerali estratti fu sempre modesta ma allenò le squadre dei minatori, Pietro Micca compreso. A sud di Biella gli stessi torrenti offrivano, tra le loro sabbie, una certa quantità di oro formando quello che, già da tempo, era noto come il giacimento aurifero della Bessa mentre ad occidente della Dora era importante l’argilla che avrebbe fatto decollare le ben note ceramiche di Castellamonte.

La Val Maira e la zona di La Thuile in Valle d’Aosta erano percorse da un filone carbonifero dal quale si poteva estrarre carbone sotto forma di antracite. L’ostacolo maggiore per uno sviluppo industriale era costituito dalla forte frammentazione del giacimento che, in definitiva, offriva modeste quantità utilizzabili per le stufe casalinghe, o per la preparazione della calce da costruzione o la cottura delle ceramiche.

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In questa ottica possiamo citare la quantità di ferro e carbone gestita dai 50 operai della officina del Sig. Roppolo che nel 1838 potevano gestire 8.000 rubbi di carbone e 5.500 rubbi di ferro, in totale circa 60 t/anno di materiali permettendo a questa Società di presentare due modelli di ponti in ferro per sostituirli ai precedenti ponti in legno. Come ci ha ricordato Gino, il carbone a Torino era particolarmente caro. Due anni più tardi Carlo Alberto sistemò la cancellata di Palazzo Reale progettata da Pelagio Pelagi. La vediamo ancora oggi, venne realizzata in ghisa a dimostrazione di un notevole progresso tecnologico che richiedeva l’utilizzo di stampi abbastanza complessi e ad altezza d’uomo sui piloni principali è ricavato, per fusione, il nome di Carlo Alberto. Risalta appunto l’evoluzione tra il medioevale martinetto da ferro e la elaborata fusione in ghisa.

Analoga forza operaria era impegnata dai Fratelli Albani che producevano 500.000 fiammiferi al giorno dando quindi prova di saper maneggiare processi chimici che coinvolgevano zolfo e acido solforico mentre Richard, già impegnato nella produzione di ceramiche, impiegava circa 200 operai.

In definitiva l’unico minerale di cui il Piemonte era ed è ancora ricco si trova nei giacimenti di talco e grafite della Val Germanasca il cui uso era tuttavia molto limitato e soltanto, dopo molti decenni, diventerà importante in molti settori industriali quali gomma, plastica, carta, vernici, cosmetica e farmaceutica.

Nel 1831 salì al trono Carlo Alberto che, cresciuto a Ginevra e nella Parigi napoleonica assorbì una cultura sicuramente più moderna. Abrogò infatti le esenzioni doganali privilegiate per la famiglia reale e per le cariche dello Stato, abolì la tortura, proibì le ingiurie ai cadaveri dei giustiziati e abolì la confisca dei beni dei condannati. Rinnovò il commercio, promosse investimenti in campo agricolo, si preoccupò della viabilità stradale e ferroviaria e delle infrastrutture portuali di Genova e Savona. Ridusse le tasse doganali per grano, carbone, tessuti e metalli, facilitò l'importazione di macchinari per l'industria e facilitò l’esportazione della seta grezza. Si ridussero ovviamente le entrate daziali favorendo però altre entrate del bilancio statale che, dal 1835, risultò in attivo per diversi anni. Carlo Alberto ebbe anche il merito di credere nella forza motrice del vapore e quindi di incentivarne l’uso non solo nella costruzione ferroviaria ma anche come unità motrice capace, se non altro, di affiancarsi alla tradizionale energia idraulica offerta dai canali.

Nuovi obiettivi etici e commerciali

Intanto Camillo Benso muoveva i primi passi. Nel 1829 a 19 anni aveva già fatte sue le posizioni illuministiche di Voltaire e di Rousseau aggiungendo un nuovo importante concetto “La misura del giusto e dell'ingiusto si misura dalla felicità del maggior numero di sudditi” assumendo che, inevitabilmente, ogni decisione politica non può necessariamente soddisfare tutti in egual misura.

La rete dei canali forniva forza idraulica ma molto limitata considerando le modestissime pendenze presenti nella zona cittadina con le frequenti interruzioni causate dai periodi di siccità o dalle gelate invernali. Negli anni dell’assedio la loro potenza raggiungeva circa 120 CV ripartiti in misura analoga per i molini del Martinetto e per l’Arsenale. La rete dei canali doveva anche assicurare i servizi igienici degli abitanti e, dopo aver attraversato la città, raggiunta Piazza Castello, era ormai poco adatta ad alimentare i giardini reali e, come minimo, disturbava l’olfatto della corte ducale.

Superata la delusione di Novara, nel 1853, la cinta daziaria iniziò a rappresentare una linea di demarcazione che divideva la zona urbanizzata dalla campagna e definiva i varchi per accedere in città. Questi ultimi erano denominati barriere, poste in corrispondenza delle 12 arterie di ingresso-uscita dalla città e, negli anni, divennero quella di Milano, di Nizza, di Lanzo, di Borgo San Paolo, di Borgo Vittoria, del Borgo Martinetto, per citare le più importanti ancora oggi ben note.

Le nuove realtà industriali, determinarono il trasferimento di molte famiglie dalle sovraffollate e insalubri abitazioni del centro storico a nuovi quartieri attratti dal minor costo degli affitti e dei generi alimentari non soggetti a dazio, dalle migliori condizioni abitative e dalla vicinanza al posto di lavoro. La popolazione delle barriere aumento’ infatti rapidamente e favorì la residenza di operai, artigiani, commercianti e agricoltori promuovendo un forte sentimento di appartenenza. A saldare il legame tra il borgo e la sua gente concorreva anche una fitta rete associativa: le parrocchie, le società filodrammatiche, i circoli culturali e le ben note bocciofile. Tutto ciò favorì la nascita delle società operaie di mutuo soccorso, e dei circoli sociali, che iniziarono a proporre iniziative politiche. Nacquero le prime birrerie e certamente i loro frequentatori non conoscevano il caffè di Luigi Lavazza che nel 1885 lasciava la campagna di Murisengo Monferrato alla volta di Torino. Luigi, dopo gli studi in chimica, nel 1895, dà il suo nome a una piccola drogheria in via San Tommaso dove iniziò l’attività di torrefazione del caffè crudo che approdava a Genova. Sempre in centro città trovavano sviluppo nomi di attività artigiane ancora oggi ben note quali la Caffarel nata nel 1826 per l’iniziativa di Pier Paul Caffarel che rilevò una piccolissima conceria nel quartiere San Donato trasformandola in un laboratorio per il cioccolato capace di produrre 320 kg/giorno di prodotto finito. Nel 1845 si affiancò Michele Prochet, avviando così la Caffarel-Prochet che nel 1852 inventò il mitico gianduiotto.

Il traforo del Frejus

Come sappiamo Camillo Cavour sapeva di dover dare respiro al suo Piemonte con nuove infrastrutture e lanciò l’avventura del tunnel del Frejus. A questo punto vorrei brevemente ricordare l’opera di una validissima terna formata da Francesco Medail, Ignazio Porro ed Angelo Sismonda che seppero orientare e dirigere l’attività degli abitanti della Valle del Cervo che abbiamo appena conosciuto.

La planimetria del Tracciato del tunnel ferroviario del Frejus

La planimetria del Tracciato del tunnel ferroviario del Frejus.

Quarziti + Gneiss – Terreno carbonioso – Quarzi – Calcari compatti – Scisti calcarei

Da: Pugno G. M. – Il traforo delle Alpi nel suo centenario. Comitato per le celebrazioni del centenario del traforo del Frejus, 1957

Medail, dirigente della dogana di Montmelian in Savoia, aveva già presentato nel 1841 a Carlo Alberto la proposta del traforo. Egli conosceva bene il percorso del Moncenisio, impraticabile d’inverno e aveva osservato che, in quella zona, il massiccio montuoso presentava la minima larghezza quindi informò Ignazio Porro attivo nello stato maggiore del Genio militare favorevole al progetto che, nella sua posizione, completò le prospezioni topografiche con il metodo delle triangolazioni e del teodolite che abbiamo visto a Rosazza. L’allora ministro dei Lavori Pubblici Luigi des Ambrois de Nevache assegnò lo studio della conformazione delle rocce ad Angelo Sismonda che identificò con sicurezza i diversi strati geologici per organizzare al meglio i possibili mezzi di scavo. Completato il traforo nel 1871 Ignazio Porro esultò constando che lo scarto tra i due cunicoli lato Bardonecchia e lato Modane, di circa 6 km ciascuno, era limitato a 40 cm in direzione ed a 60 cm in altezza. Alla festa d'inaugurazione i giornali commentarono: “Gli studi di Sismonda resero trasparente la montagna “. In effetti le rocce più compatte di tipo quarzitico, erano localizzate verso Modane ed era stato anche stimato il loro spessore.

Per la perforazione si usarono carrelli sui quali si montavano più scalpelli in parallelo azionati da uno stantuffo a doppio effetto di geometria analoga a quelli delle locomotive. Tuttavia si trattava di alimentarli con energia meccanica o con vapore ma entrambe sconsigliabili.

A questo punto entra in azione Germano Sommeiller che aveva completato gli studi di matematica ed architettura all’Università di Torino e che venne mandato dal governo sabaudo in Belgio presso le officine Cockerill.

Il tunnel di San Benigno

Il tunnel di San Benigno

Fonte: sito web, rif: Storia dell’Ansaldo, Valerio Castronovo, Laterza, Bari, 1994

Rientrato in Italia nel 1850, perfezionò e brevettò la sua perforatrice alimentandola con l’aria compressa ottenuta con i compressori idraulici a colonna appositamente progettati. Cavour volle sottoporre la nuova combinazione a verifica impiegandola nello scavo di collegamento tra la stazione di Sampierdarena ed il porto antico di Genova, quello della lanterna, che allora erano separati dallo sperone roccioso di San Benigno.

Perforatrice Sommeiller

Perforatrice Sommeiller come da Progetto

Fonte: Archivio Storico Unione Industriale, L. Bassignana

L’approvazione avvenne il 2 marzo 1857 alla presenza dello stesso Cavour. La portata d’aria compressa era sovrabbondante per lo scavo tuttavia il suo eccesso era anche necessario per garantire la indispensabile ventilazione dello scavo stesso, quindi questa soluzione innovativa divenne vincente.

Nel novembre del 1857 si iniziò a scavare con metodi tradizionali cioè forza di braccia e qualche mina alimentata con la polvere da sparo. Ben presto intervenne il grosso aiuto della dinamite messa a punto da Ascanio Sobrero e Nobel già incontrati al Valentino. Veniva prodotta ad Avigliana con trasporto sul cantiere favorito dalla ferrovia Torino-Susa inaugurata nel 1854; la salita di Chiomonte era ancora affidata ai muli e cavalli.La combinazione della nuova perforatrice e della dinamite permisero di ottenere un avanzamento di circa 3 m/giorno con una durata dello scavo ridotta a 14 anni dal 1857 al 1871 rispetto ai 25 inizialmente previsti dai francesi che vedevano questa iniziativa con un certo fastidio come ben descritto nella relazione di Vittorio.

Altri spunti industriali

La Dora e i suoi Canali

La Dora e i suoi Canali.

Fonte: Elaborazione stampa Gabriel Mangin

Val la pena riprendere lo sviluppo dei canali lungo la Dora nella zona Valdocco che a scopo strategico i francesi avevano ben descritto nella mappa dell’assedio di Torino di Gabriel Mangin. Da allora la loro rete era stata ampliata e resa più efficiente. La iniziale polveriera, nel momento di massima espansione ad inizio Ottocento, era diventata la Regia Fabbrica delle Polveri e Raffineria dei Nitri che occupava circa 52.000 metri quadrati e a metà Ottocento era ormai circondata dalle abitazioni. I rischi erano ben presenti alle autorità fino a quando il 26 aprile del 1852 l'esplosione di oltre 20.000 kg di polvere pirica squassò la fabbrica, causando 20 morti. Il bilancio della sciagura avrebbe potuto essere peggiore se non fosse intervenuto Paolo Sacchi che senza smarrirsi, entrò risolutamente nel magazzino principale neutralizzando l’esplosione di altri 40.000 kg. Così a Torino la polvere da sparo lascia il segno con due importanti vie. Incrementando le lavorazioni meccaniche in fabbricati adiacenti, si concentrarono le macchine utensili che conosciamo oggi quali torni, frese, trapani con tutto il loro corollario. Dopo alterne vicende questo insediamento darà vita alle Ferriere FIAT.

Altre iniziative industriali si affermarono con decisione, così il cemento che, brevettato in Inghilterra nel 1824 come “Cemento Portland”, in Italia trovò la prima realizzazione nel 1854 nel tratto ferroviario Milano-Venezia per superare il fiume Oglio con una campata di 270 metri. Questa attività decollò ad opera dei fratelli Pesenti che nel 1878, sempre nel bergamasco, impostano la prima fabbrica di cemento espandendola poi a Casale Monferrato con la Italiana Cementi e la successiva Italcementi.

Per interessamento del governo sabaudo, nel 1846, la meccanica decollava anche a Genova grazie alla Taylor & Prandi, con lo scopo di sviluppare un'industria nazionale per la produzione delle locomotive a vapore e materiale ferroviario, settore allora completamente dipendente dalle importazioni straniere. Questa iniziativa non sfuggì a Cavour che nel 1852 mise insieme il banchiere Carlo Bombrini, l'armatore Raffaele Rubattino, il finanziere Giacomo Filippo Penco ed il giovane ingegnere Giovanni Ansaldo per avviare l’omonima Ditta dalla quale uscì la prima locomotiva a vapore costruita nel regno di Sardegna di progettazione interamente italiana chiamata Sampierdarena. Questa attività avrebbe dato origine alla stagione delle navi a vapore con gli scafi in ferro.

Con Galileo Ferraris decolla un uso innovativo della elettricità capace di alimentare un motore elettrico. Infatti utilizzando la corrente alternata, nel 1885, Ferraris realizza il campo magnetico rotante che rende possibile la realizzazione del un motore elettrico asincrono. Fino ad allora i motori o funzionavano a corrente continua.

Riproduzione del primo motore asincrono

Riproduzione del primo motore asincrono

Fonte: Sito web, Galileo Ferraris, Campo magnetico rotante

A differenza di Sommeiller decise di non brevettare questa sua invenzione affermando di essere un ricercatore al servizio della scienza e non un industriale. Peccato poiché il brevetto di Sommeiller venne utilizzato ma certo molto meno di quanto avrebbe potuto esserlo quello di Ferraris. Delle sue ricerche ne approfitterà Nikola Tesla che non si lascerà scappare l’occasione di brevettare tutto. Tesla, grazie a Galileo Ferraris, promosse, con convinzione, l’uso della corrente alternata spodestando il mitico Thomas Alva Edison fiero sostenitore della corrente continua.

Di Biella e della famiglia Sella abbiamo tutte le informazioni grazie alle nostre uscite comunitarie.

Conclusioni

Per concludere, possiamo ricordare che, quaranta anni dopo l’inaugurazione del tunnel del Frejus, a Torino, nel 1911, si festeggiarono i 50 anni della unificazione italiana organizzando la Esposizione Internazionale alla quale parteciparono 17 Paesi europei, 11 Paesi americani, 3 Paesi asiatici e l’Oceania a dimostrazione della forza economica e tecnica europea.

Ma in Inghilterra, sempre nel 1911, venne definito un nuovo termine lo “smog”, dalla contrazione di smoke + fog, per evidenziare le controindicazioni dello sviluppo tecnologico. Le possiamo osservare in un quadro di Massimo D’Azeglio che rappresenta la situazione del Tamigi nel 1853 effettivamente molto inquinato dal fumo nero delle caldaie montate sulle imbarcazioni e da quelle, di ben altra potenza, delle centrali elettriche dislocate lungo il fiume per la produzione dell’energia elettrica.

Il Tamigi a Londra

Il Tamigi a Londra, Massimo d’Azeglio, 1853

Fonte: Galleria del Broletto, Novara

Da allora parliamo di smog quotidianamente anche se, nel frattempo i motori a vapore sono diventati i motori a scoppio e non sappiamo ancora bene che fine faranno questi ultimi, volendo potremo riparlane. Tuttavia ora concludo e ringrazio per la vostra attenzione.

BIBLIOGRAFIA

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Museo e Atlante Torino – Opera a corno di Antonio Bertola

Pelagio Pelagi Artista e Collezionista – Palazzo Reale, Torino 1976/77

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L. Palmucci Quaglino, Polveriera e Fucina delle canne. Saggio sulla continuità ed innovazione nelle manifatture d’armi di Borgo Dora e Valdocco, Acque, Ruote e Mulini, vol. 1 e 2

16/12/2023