Incontri Cavouriani

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1866 – La Terza Guerra d’Indipendenza


di Vittorio Griva

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L’Italia il 17 marzo 1861

Dopo l'Unità, incompleta, del 1861 si cercò immediatamente una strategia per ampliare ulteriormente i confini, e si scelse il Lazio; già Cavour, con un celebre discorso al Parlamento, si pronunciò apertamente per l'annessione dei restanti territori pontifici.

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Ma il conte morì presto, troppo presto, lasciando la situazione delicatissima a un suo discepolo, Bettino Ricasoli, un conservatore, che, dopo aver fallito la sua politica conciliatrice nei confronti dell'alleato francese (che, ricordiamo, con un presidio militare a Roma proteggeva il papa), si dimise, cedendo lo scettro al rivale Urbano Rattazzi (da quest'ultimo, il governo passerà a Minghetti prima, e a Farini poi, giungendo infine all'esecutivo militare di Alfonso La Marmora, protagonista delle trattative con i prussiani.)

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Ritornando alla "Questione romana", Roma fu teatro di numerosi tentativi di conquista, come, per ricordare i più famosi, i fatti dell'Aspromonte e la battaglia di Mentana, tutti tentativi fermati nel sangue dalle (poche) forze pontificie e dai loro alleati francesi; la situazione fu parzialmente risolta con la Convenzione di settembre 1864, con la quale il Regno d'Italia si impegnò a spostare la capitale da Torino a Firenze, e la Francia a ritirare il suo dispiegamento militare dalla Città Eterna entro due anni.

Perché l’interesse per il Veneto?

  • La Pianura Padana era una delle regioni più ricche del mondo
  • Aveva un grande ammontare di terre coltivabili
  • Venezia era il porto più importante dell’Adriatico
  • Acquisire il Veneto significava un aumento demografico di circa 2 milioni di abitanti
  • C’era il “Placet” della Gran Bretagna e il sostegno della Francia

Dopo aver sondato Parigi ripetutamente per quanto concerneva Roma, al governo di Firenze venne chiesto, tramite l'ambasciatore prussiano Von Usedom, come il Regno avrebbe reagito in caso di una guerra tra Austria e Prussia; prima di rispondere, l’Italia consultò Napoleone III, che si dichiarò neutrale, dopodiché, Firenze si pronunciò contraria all’Austria.

Durante questo intervallo di tempo vi fu a Biarritz un incontro bilaterale tra Von Bismarck e Napoleone III, nel quale ci fu una discussione anche riguardo ad una ipotetica alleanza con l'Italia, che il francese addirittura appoggiò. Fu così che si giunse ad una collaborazione vera e propria tra il nostro paese e quello germanico, con l'invio a Berlino nel marzo del '66 di un alto funzionario di stato, il generale Giuseppe Govone.

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Il generale Giuseppe Govone (1825-1872)

Ma perché la Prussia desiderava così tanto la guerra?

Dobbiamo analizzare la situazione a partire dal 1864, quando l'Austria era l'alleata dei prussiani e non il nemico: difatti le due nazioni, affrontarono come co-belligeranti la cosiddetta Seconda Guerra dello Schleswig, nella quale le due potenze conquistarono due Ducati danesi (lo Schleswig e lo Holstein), annettendoli alla Confederazione Germanica.

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La Confederazione Germanica

Nel disegno politico del cancelliere prussiano, l'annessione dei due Ducati danesi avrebbe ampliato la zona d'influenza prussiana, dato che, seppur la Convenzione di Gastein (ovvero il trattato con il quale i due paesi germanici si accordarono sulla loro cooperazione internazionale dopo la 2ª guerra dello Schleswig) avesse definito il controllo austriaco sull’Holstein (lo Schleswig era, invece, andato ai prussiani) la lontananza dalla madrepatria condizionava notevolmente il controllo su quest'ultima, avvicinandola notevolmente al governo centrale di Berlino. Visto che la situazione con la Danimarca si era risolta, Bismarck rivolse la sua attenzione a sud; il suo disegno di Germania Unita era solo agli albori.

Ancora una volta l'intervento francese fu cruciale per le trattative: difatti, poiché l'Impero d'Austria non riconosceva ancora ufficialmente il Regno d'Italia, non poteva intrattenere alcuna relazione con il nostro Paese, perciò non solo l'Impero transalpino si proponeva come "sponsor" dell'alleanza, ma si occupava direttamente anche delle relazioni con il futuro nemico (che proporrà, come vedremo, un'alternativa alla guerra).

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Napoleone III imperatore dei francesi

Così, grazie ai francesi (che, inoltre, si erano proposti come "garanti dell'integrità territoriale italiana", come nel caso della 2ª guerra d'indipendenza) l'8 aprile del '66, a Berlino, l’Italia firmò il Trattato d'alleanza con la Prussia; ad apporre la firma fu il generale Giuseppe Govone.

Il testo del Trattato d’Alleanza recitava:

  • Armistizio obbligatorio nel caso che L’Austria avesse ceduto il Veneto
  • Obbligo dell’Italia di intervenire, se la Prussia avesse dichiarato guerra
  • Senza mutuo consenso, nessun accordo poteva essere concluso

Dopo la firma dell’alleanza, sopravvenne al tavolo di La Marmora una proposta dell’Austria con il tramite di Napoleone III: in cambio della neutralità italiana e della cessione della Slesia dalla Prussia all'Austria, il Veneto sarebbe stato ceduto all'Italia (attraverso la Francia).

Per l’impossibilità di una cessione della Slesia e per la volontà dell’intero esecutivo di rimanere fedeli al trattato di Berlino, la proposta austriaca venne respinta.

Si giunse così al 1º giugno, giorno in cui l'Austria demandò alla Dieta di Francoforte la politica sui Ducati, atto che provocò l'invasione prussiana dell'Holstein (territorio austriaco), avvenuta il 14 giugno 1866.

Il 20 giugno, come stabilito dal trattato di Berlino, il Regio Esercito entrò in guerra e si dispose sul Mincio.

Dichiarazione di guerra

Testo:

Comando in capo dell'Esercito Italiano - Dal quartier generale di Cremona, 20 giugno 1866. L'Impero Austriaco ha più d'ogni altro contribuito a tenere divisa ed oppressa l'Italia, e fu cagione principale degli incalcolabili danni materiali e morali, che da molti secoli ha dovuto patire. Oggi ancora che ventidue milioni di Italiani si sono costituiti in Nazione, l'Austria, sola fra i Grandi Stati del mondo civile, si rifiuta a riconoscerla. Tenendo tuttora schiava una delle più nobili nostre provincie, trasformatala in un vasto campo trincerato, di là minaccia la nostra esistenza, e rende impossibile il nostro svolgimento politico interno ed esterno. Vani riuscirono in questi ultimi anni i tentativi e i consigli di Potenze amiche per rimediare a questa incompatibile condizione di cose. Era quindi inevitabile che l'Italia e l'Austria si trovassero a fronte al primo manifestarsi di qualche complicazione europea. La recente iniziativa dell'Austria ad armare e la ripulsa che oppose alle pacifiche proposte di tre grandi Potenze, mentre fecero palese al mondo quanto fossero ostili i suoi disegni, commossero l'Italia da un capo all'altro. Ond'è che S. M. il Re, custode geloso dei diritti del suo popolo e difensore dell'integrità nazionale, si sente in dovere di dichiarare la guerra all'Impero Austriaco. D'ordine quindi del prelato Augusto mio Sovrano, significo a V. A. I., qual comandante le truppe austriache nel Veneto, che le ostilità avranno principio dopo tre giorni dalla data della presente; a meno che V. A. I., non volesse aderire a questa dilazione, nel qual caso la pregherei di volermelo significare”.

Le forze in campo

Vediamo ora il totale delle forze in campo: all’inizio della guerra l’Italia contava su circa 200.000 fanti e 10.000 cavalleggeri, raggruppati in quattro corpi d’armata, di cui tre schierati sul Mincio al comando di Alfonso Lamarmora e uno schierato sul Po al comando di Enrico Cialdini; contava inoltre su circa 40.000 volontari al comando di Giuseppe Garibaldi.

Invece l’Austria, che ha cercato di sopperire ai problemi emersi durante la seconda guerra d’indipendenza, potenziando l’artiglieria e la cavalleria, sul fronte meridionale poteva contare su circa 190.000 uomini, di cui però vennero effettivamente schierati solo 60.000 fanti, 3.000 cavalleggeri e 10.000 combattenti provenienti dai presidi delle fortezze del “Quadrilatero” di Peschiera, Mantova, Verona e Legnago.

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A Bologna fu compiuto il primo grandissimo errore di questa guerra: difatti, da un colloquio tra il Capo di Stato Maggiore Alfonso La Marmora e il generale d’armata Enrico Cialdini, nacque una grandissima incomprensione; il secondo credette di dover attaccare pesantemente gli austriaci, a fronte di una azione simbolica di La Marmora; il Presidente del Consiglio credette l’esatto contrario. Da ciò iniziarono i problemi della battaglia di Custoza, prima grande sconfitta del Regno d’Italia. L’incontro di Bologna, del 17 giugno, fu l’ultimo atto ufficiale di La Marmora come Presidente del Consiglio; difatti il 20 giugno rassegnerà le dimissioni per dedicarsi alla guerra, lasciando la Presidenza a Bettino Ricasoli, cavouriano convinto.

La guerra

Nel quadrilatero indicato sulla mappa sottostante, si verificò il 24 di giugno una delle battaglie più importanti dell’intera guerra, durante la quale il Regno d'Italia fu duramente sconfitto dalle forze imperiali austriache. Già solo l’ammontare delle forze schierate nella zona era a favore dei nemici: circa 50.000 italiani contro 75.000 austriaci comandati dall’arciduca Alberto d’Austria.

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Battaglia di Custoza, lo schieramento italiano

Lo scontro iniziò con molteplici forze italiane schierate nella frazione di Oliosi, in una zona contraddistinta da un'area pianeggiante e da una porzione di territorio collinare. Dalle sei del mattino alle 10 e 30 circa gli scontri avevano portato gli italiani ad acquistare posizioni estremamente favorevoli per un contrattacco decisivo, che li avrebbe portati alla conquista diretta di Verona; seppur il re Vittorio Emanuele II, presente nella zona, avesse consigliato fortemente l'attacco, il comandante in capo nonché ex-primo ministro Alfonso La Marmora decise di attestarsi sulle alture di Oliosi, esponendo al fuoco d'artiglieria austriaco i suoi uomini. Decimati dai cannoni nemici, i nostri fanti furono definitivamente sbaragliati dalla fanteria nemica nella sera.

Bilancio della battaglia: oltre 700 morti e 2.500 feriti per gli italiani, a cui vanno aggiunti 4.100 dispersi e prigionieri; 1.170 morti e quasi 4.000 feriti per gli austriaci, con 2.800 dispersi e prigionieri.

Dopo questa deplorevole gestione della situazione bellica (dovuta anche alla mancanza di lucidità mentale del Capo di Stato Maggiore il 24 di giugno) fu ordinata la ritirata generale dietro il fiume Oglio, ritirata eseguita anche dai reparti di Cialdini dopo un tentennamento di quest’ultimo.

Subito dopo Custoza (già nella sera del 24), Giuseppe Garibaldi si mosse alla volta del Trentino, venendo però richiamato dopo solo un giorno da La Marmora per proteggere Brescia. Potrà riprendere l'iniziativa contro gli austriaci solo a partire dal 3 luglio, iniziativa che però sarà limitata al territorio montuoso delle Giudicarie.

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Le prime azioni di Giuseppe Garibaldi

La Battaglia di Sadowa

Ci spostiamo adesso nell’attuale Repubblica Ceca, nel paesino di Sadòva (Sadowa in tedesco) dove tra il 2 e il 3 di luglio fu combattuta la più importante battaglia della guerra austro-prussiana; difatti si scontrarono circa 420.000 uomini tra le due parti (gli austriaci avevano come alleati i sassoni). La battaglia fu vinta dai prussiani, anche in questo caso per un errore, questa volta però effettuato dagli austriaci: fu infatti nella mattinata del 3 luglio, quando metà dell’esercito prussiano, circondato dai nemici nella foresta boema e bersagliato incessantemente dall’artiglieria, fu risparmiato da una carica di cavalleria che si sarebbe rivelata decisiva, e fu raggiunto poco dopo da ben 100.000 prussiani, che rovesciarono le sorti della battaglia, decimando i sassoni e i loro alleati (circa 6.000 morti, nonché 20.000 prigionieri e 116 cannoni persi).

Il risultato della super-vittoria prussiana fu innanzitutto lo spostamento dei ⅔ delle forze austriache dal fronte meridionale a quello prussiano; il secondo risultato, fu il rimprovero di Von Bismarck a Bettino Ricasoli per la condotta bellica italiana; quest’ultimo convocò un consiglio di guerra a Ferrara, che si tenne il 14 di luglio, al quale parteciparono: il re, il presidente del Consiglio Ricasoli, il ministro degli Esteri Visconti Venosta, il ministro della Guerra Pettinengo, il ministro della Marina Depretis, il capo di stato maggiore La Marmora e il generale Cialdini. Le decisioni prese si possono riassumere in 3 punti principali:

  • Cialdini, con 14 divisioni, doveva avanzare fino all’Isonzo;
  • Garibaldi doveva puntare sul Trentino, con le fortezze del Quadrilatero assediate da La Marmora
  • Persano doveva attaccare la marina asburgica entro 8 giorni, se no sarebbe stato destituito

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Piazza del Mercato di Ferrara (Giuseppe Chittò Barucchi)

Tutti e tre i punti vennero eseguiti, e due su tre dettero ottimi risultati: Cialdini avanzò ininterrottamente fino al 24 di luglio, prendendo Padova il 18 luglio e la città fortificata di Palmanova il 20 luglio; l’ultima città caduta in mano italiana fu Versa, in provincia di Gorizia (pensate, in soli 10 giorni i soldati italiani erano giunti quasi all’Isonzo!).

L’avanzata di Garibaldi e la battaglia di Bezzecca

Garibaldi, invece, fu più ostacolato dal cosiddetto “Corpo del Tirolo”, comandato dal generale Kuhn Von Kuhnenfeld, conosciuto meglio come “Generale Kuhn”.

Il 12 di luglio Garibaldi scelse il borgo di Storo come Quartier Generale; nello stesso giorno venne completata la conquista della Val di Ledro. Dal 12 al 20 di luglio, il Corpo dei Volontari si dedicò al rafforzamento delle posizioni ottenute, in particolar modo neutralizzando le fortezze della zona (il Forte d’Ampola, il più importante, cadde in mani italiane il 19 luglio). Lo stesso giorno, il generale Medici, con una divisione, aveva cominciato a risalire da Padova in Trentino, e già il 20 mattina, Kuhn si trovava stretto in una morsa. C’erano tutte le condizioni per un grande scontro, che effettivamente accadde il 21 luglio a Bezzecca, vicino a Storo.

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L’avanzata di Garibaldi

Il piano di battaglia austriaco era il seguente: vi sarebbero state due colonne, una avrebbe tenuto il lato sud della Val di Ledro, l’altra si sarebbe spinta contro Storo. Entrambe le colonne fallirono il loro compito, riuscendo a conquistare solo il paesino di Bezzecca nella mattinata, venendo poi respinte e sconfitte da una controffensiva ordinata da Garibaldi. Intanto, tra il 19 ed il 24, Medici avanzò fino a Levico, a 15 km da Trento.

Nei 4 giorni successivi alla sconfitta di Bezzecca, Kuhn dovette ripiegare di diversi chilometri, attestandosi nei due luoghi di passaggio forzato per accedere a Trento, Arco e Stenico, rinunciando addirittura alla difesa di Rovereto. Garibaldi era pronto a marciare su Trento, ma la sua avanzata venne interrotta, perché il 24 fu firmato un cessate il fuoco di 8 giorni, che entrò in vigore il 25 mattina; possiamo immaginare come fu accolto dai garibaldini.

La battaglia di Lissa

Spostiamoci nel mar Adriatico, dove, nelle acque dell’isola di Lissa, il 20 di luglio fu combattuta l’unica, e per noi disastrosa, battaglia navale della guerra.

Nel 1866 la Marina Regia aveva due basi principali che potevano operare nell’Adriatico: Taranto e Ancona. La flotta era composta da 19 vascelli che presentavano tutti e 19 caratteristiche diverse: difatti vi erano pirofregate, corvette, cannoniere e anche un ariete corazzato, l’Affondatore. Oltre ad essere di numerose categorie differenti, le nostre imbarcazioni avevano tutte caratteristiche tecniche diverse, poiché provenivano da cantieri francesi, americani, inglesi e italiani (l’unica nave nostrana era la Principe di Carignano, costruita a Genova). Tutto ciò fece sì, pensate, che alla notizia della mobilitazione, il 16 maggio, solo 4 navi su 10 erano in grado di mollare gli ormeggi.

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L’ammiraglio Carlo Pellion di Persano

L’ammiraglio Carlo Pellion di Persano (unico ufficiale della nostra marina ad aver avuto – poca – esperienza in battaglia), doveva sovrintendere ad un éntourage di ufficiali tutti di provenienza diversa, in particolare vi erano ufficiali ex-sardi ed ex-partenopei. Molti marinai parlavano solo in dialetto e nascevano incomprensioni per i termini tecnici.

Il piano di battaglia italiano prevedeva l’occupazione dell’isola con 600 fanti di marina, in modo tale da indurre la flotta nemica a uscire da Pola, per poi scontrarsi in mare aperto. Fu così che 24 navi da battaglia e 25 di supporto giunsero davanti alle coste dell’isola di Lissa il 18 di luglio presto; quest'ultima venne bombardata discontinuamente, dopodiché non furono fatti sbarcare i fanti di marina, che aspettarono sulle imbarcazioni per ben tre giorni senza poter sbarcare.

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Battaglia di Lissa, schieramento navale

Verso le 9.00 del 20 di luglio, dopo aver avvistato il nemico, l'intera squadra navale italiana dovette cominciare numerose e difficili operazioni di manovra, poiché le navi si trovavano ancora lungo tutta la costa dell’isola, e non in posizione da combattimento; le manovre dovevano portare la squadra italiana corazzata in prima linea, mentre dovevano posporre ad esse le navi di legno; per contro, la squadra navale austriaca, capeggiata da Von Tegetthoff, si dispose a cuneo. Alle 10:30 Persano ordinò il bombardamento della squadra nemica, che causò pochissimi danni agli avversari; mezz’ora dopo, Von Tegetthoff ordinava il contrattacco, rendendo il “cuneo di navi” austriaco efficiente quanto lo è il coltello nel burro (nel vero senso del termine, dato che la tecnica più utilizzata del tempo erano gli speronamenti); difatti, gli austriaci affondarono ben due nostre corazzate, a fronte di una loro nave lievemente danneggiata.

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Battaglia di Lissa, la corazzata Re d’Italia affonda

L’armistizio di Cormons

Sebbene nel mare fossimo messi alquanto male, ricordiamo che al 21 di luglio le nostre forze erano in procinto di entrare in Friuli e di dirigersi verso Trento; ciò, però, non bastò a persuadere gli alleati prussiani, che non volevano vedere il Tricolore sventolare sul Tirolo (vi ricordo che il Trattato di Berlino aveva stabilito che in caso di offerta del Veneto, non si sarebbe potuto rifiutare l’armistizio). Fu così che la tregua tra prussiani e austriaci si concluse con l’armistizio di Nikolsburg (Rep Ceca) firmato il 26 di luglio 1866, armistizio che rovinò tutti i piani italiani (ricordiamo che, per evitare di combattere da soli contro l’Austria, Bettino Ricasoli fu costretto ad accettare la tregua di guerra a partire dal 25 luglio). Così, seppure in una posizione di grandissimo vantaggio, gli italiani furono costretti ad accettare i termini austriaci e a firmare con questi ultimi l’armistizio di Cormons, nonostante avessero provato in tutti i modi a ribaltare la situazione (avevano anche proposto l’uti possidetis, ovvero l’acquisizione di tutti e soli i territori conquistati militarmente) ma non ci fu niente da fare, soprattutto perché mancò l’appoggio estero.

Così, il 12 agosto fu firmato a Cormons l’armistizio, con la firma del conte Pettiti Bagliani di Roreto per l’Italia e del barone Karl Möring per l’Austria.

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Cormons, la villa dove fu firmato l’Armistizio

Una delle clausole dell’armistizio prevedeva che tra Austria e Italia non vi fossero contatti per il trasferimento del Veneto, cosa che renderà necessario il tramite francese. La convenzione franco-austriaca per la cessione del Veneto a Napoleone III fu siglata il 24 agosto 1866. Essa prevedeva che la cessione fosse fatta da un commissario austriaco nelle mani di un suo omologo francese, e da lì verso un ulteriore commissario italiano, solo dopo, però, aver effettuato un plebiscito nelle province da annettere: quest’ultimo si terrà il 21 ed il 22 di ottobre e avrà un’affluenza del 85 % degli aventi diritto, con un esito positivo del 99.9%.

La pace e la cessione ufficiale

Le trattative di pace andarono avanti a Vienna fino al 3 ottobre, quando fu firmato definitivamente il Trattato, che sostanzialmente confermò ciò che si era deciso a Cormons.

La cessione del Veneto dalla Francia all’Italia avvenne nell’Hotel Europa di Venezia il 19 ottobre 1866. Il re arrivò sul Canal Grande il 7 novembre 1866, sancendo definitivamente il passaggio di buona parte del Nord-Est della penisola al Regno d’Italia.

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Entrata di Vittorio Emanuele II a Venezia il 7 novembre 1866 (Girolamo Induno)

Il solo vantaggio che Napoleone III trasse da questa lunga mediazione fu un parziale recupero della sua calante popolarità.

Bilancio totale della guerra austro-italo-prussiana: 57.000 uomini tra morti e feriti.

Santena, 24 marzo 2021