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Donne e Risorgimento


di Natalina Vaschetti

Come più volte detto nei nostri incontri, la storia, oltre che scritta dai vincitori, è quasi sempre declinata al maschile: conosciamo quasi tutti dai libri di storia o dalle letture personali, i nomi più importanti degli eroi, positivi, ma anche negativi, che hanno popolato la Storia degli ultimi secoli e financo dei tempi della dominazione romana.

Quasi mai incontriamo nomi di donne se non come spose, sorelle, madri che piangono i loro eroi morti o, qualche volta come nel caso di Anita Garibaldi, ne condividono le battaglie.

In pochi, credo, conoscono i nomi delle nobildonne, ma anche delle donne del popolo che hanno contribuito attivamente alla causa risorgimentale. È un argomento per così dire “di nicchia” anche se negli anni diversi autori, e autrici, si sono cimentati a raccontare di questo universo femminile che ha contribuito a vari livelli alla causa risorgimentale.

La relazione di questa sera si basa in particolar modo sul libro “Donne del Risorgimento” (1) di Bruna Bertolo, giornalista e ricercatrice storica che ha focalizzato la sua attenzione sulla storia dell’800. Il libro, uscito nel 2011 in occasione del 150 dell’Unità d’Italia, come si dice nella prefazione a cura di Antonio Saitta, in allora Presidente della Provincia di Torino, è costato all’autrice anni di ricerche minuziose. Il risultato è un affresco a tutto tondo delle tipologie di donne e di impegno che queste hanno profuso per la causa risorgimentale.

Nel libro vengono presentate più di 40 figure femminili, suddivise per così dire per “ruolo”: le giardiniere, le signore dei salotti, le intellettuali, le battagliere in prima linea. Ci sono poi alcuni approfondimenti su alcune donne particolari come Cristina di Belgioioso, Adelaide Ristori, la Contessa di Castiglione ma anche Clotilde di Savoia che con il suo sacrificio (non credo si possa usare altri termini per il matrimonio con Plon Plon) favorì l’alleanza con Napoleone III.

Non sarebbe possibile per motivi di tempo, parlare di ognuna di loro, ho scelto pertanto di presentarvi le Giardiniere, alcune delle “salonnières” e la figura di Cristina di Belgiojoso, che da sola vale una delle nostre serate.

Ma andiamo con ordine e partiamo dalle “Giardiniere”

Come sappiamo la Restaurazione aveva azzerato gli anni che andavano dalla Rivoluzione Francese all’avventura napoleonica, ma se sulla carta è abbastanza facile cancellare anni di storia e ritornare ad un precedente status quo, non è così semplice cancellare dalla memoria dei cittadini le libertà di cui avevano goduto durante l’impero Napoleonico. Non erano soltanto i giovani studenti o gli ex militari ad opporsi al sistema reazionario, anche la borghesia non era più disposta a tollerare il ritorno agli antichi privilegi dell’aristocrazia. Era ovvio però che non si poteva discutere pubblicamente di tali argomenti, pena il carcere o la morte. Nascono così le prime sette o società segrete che contribuirono alla diffusione delle idee liberali. La più famosa fu certamente la Carboneria nata nell’Italia meridionale, ma che si diffuse in Piemonte congiuntamente con l’Adelfia. Le donne che entravano a far parte della Carboneria venivano denominate “Giardiniere”, in quanto, anziché radunarsi nelle “vendite” (riservate agli uomini), si incontravano nei loro giardini.

Come per la parte maschile anche per le Giardiniere vigeva una severa organizzazione gerarchica e venivano usati motti diversi a seconda del grado di appartenenza: “Costanza e perseveranza” era il motto d’ordine delle Giardiniere di primo grado, “onore, virtù, probità” era invece quello che si scambiavano le Giardiniere del 2°.

Ogni raggruppamento era formato da 9 donne e ovviamente per entrare a farvi parte occorreva superare un lungo periodo di indagine e di apprendistato (da qui il motto costanza e perseveranza). Dopo un lungo periodo di tirocinio si poteva arrivare al titolo di “Maestra giardiniera” il cui motto era “Onore e virtù”. Alle maestre giardiniere era concesso di portare lo stiletto inserito tra calza e giarrettiera.

L’opera delle giardiniere all’inizio non venne presa troppo sul serio, d’altra parte in un contesto, inizi 800, in cui il ruolo della donna era unicamente quello di madre, sposa, amante, era abbastanza ardito immaginare un consesso di donne dedito a pratiche segrete! Le Giardiniere cominciarono ad agire nel periodo che precede il Marzo 1821 e proseguirono dopo. Nel settembre del 1823 il governo austriaco comincia a preoccuparsi di questa società segreta e in un rapporto degli atti della Polizia Segreta e della Censura il presidente Plenciz scrive che, seppure negli atti della Commissione non si trovi nulla riguardo a tale setta, secondo i rilievi della Commissione stessa si deve presumere che alcune donne presero parte alla congiura del ’21. E cita le donne che appaiono sospette: Camilla Fé, Matilde Dembowsky, Bianca Milesi, la contessa Frecavalli e la contessa Confalonieri. Le case di tutte queste signore erano luogo di ritrovo dei più decisi liberali ed esse erano intime amiche di questi congiurati. A questo punto il Ministro della polizia, conte Seldnitzsky, chiese al governatore della Lombardia (conte Strassoldo) un controllo serrato e la sorveglianza delle Giardiniere sopra citate a cui aggiunse la vedova Teresa Agazzini.

Inutile aggiungere che tutte le signore citate erano tra loro conoscenti e spesso amiche. Furono tutte interrogate, anche con modalità decisamente barbare (la contessa Frecavali rimase per tre giorni in poltrona perché 3 agenti si erano appostati nella sua camera da letto), poste spesso agli arresti domiciliari, ma neppure una rivelò alcunché alla polizia.

Il libro della Bertolo si sofferma su 6 nobildonne “giardiniere”, vediamole insieme.

Teresa Casati Confalonieri

Teresa Casati Confalonieri

Teresa Casati Confalonieri che chiama “la moglie del Risorgimento” per la costanza e l’impegno che profuse a difesa del marito, il conte Federico Confalonieri che, come sappiamo dai libri di storia, fini i suoi giorni nella fortezza dello Spielberg. Forse il personaggio più conosciuto di questo gruppo.

Metilde Viscontini Dembowsky

Metilde Viscontini Dembowsky

Metilde Viscontini Dembowsky: amica devota della contessa Confalonieri sposata con un generale napoleonico Jan Dembowsky. Matrimonio infelice, si separerà con molta fatica dal marito (è pur sempre un militare); ebbe molte amicizie, molto chiacchierate, tra le quali Ugo Foscolo e soprattutto Henry Beyle, ovvero Stendhal, che si innamorerà di lei. Cugina di Bianca Milesi, di cui parleremo dopo, in vista dei moti del 1821 cominciò ad impegnarsi nell’attività di Maestra Giardiniera, svolgendo con tenacia i suoi compiti: sostenne psicologicamente i congiurati, permise tra loro contatti epistolari ed economici. In seguito a ciò fu arrestata e messa poi agli arresti domiciliari, dato che erano state rinvenute nella sua abitazione lettere che rivelavano il suo coinvolgimento nei fatti.

La pettinatura di Maria Gambrana Frecavalli

La pettinatura di Maria Gambrana Frecavalli

Maria Gambarana in Frecavalli; Nasce nel 1789 a Pavia da nobile famiglia. Dopo essere rimasta vedova del marito, il cavaliere Venceslao Frecavalli, si dedica all'amministrazione delle sue terre e all'educazione dei figli, ma si occupa anche attivamente di politica utilizzando le proprietà familiari. Avendo alcuni possedimenti in Piemonte può facilmente passare il confine e fare da tramite tra i liberali lombardi e piemontesi. Le guardie la tengono d’occhio e lei escogita un sistema ingegnoso per portare i dispacci: li nasconde tra le trecce della sua capigliatura! E’, ovviamente, amica di Teresa Confalonieri e di Matilde Viscontini, sarà molto attiva nei moti del 1821 ma rimarrà purtroppo coinvolta nella repressione austriaca.

Camilla Fé: donna bellissima ci dice la Bertolo (di cui purtroppo non ho trovato immagini) che fu sospettata dalla polizia per una presunta relazione con Emanuele Marliani, liberale e cospiratore. In realtà pare che il rapporto fra i due fosse di natura diversa, la Fé aveva preso contatti con il Marliani, che era consigliere di legazione a Torino, per negoziare un’azione simultanea in Piemonte e in Lombardia. In ogni caso la Fé subì una perquisizione durissima e dopo di questa divenne più cauta; passò però il suo ardore alla figlia Carmelita che fuggì di casa per sposare lo studente Luciano Manara che trovò poi la morte, a soli 24 anni, a villa Spada.

Teresa Sopransi

Teresa Sopransi

Teresa Sopransi, anch’essa amica dei Confalonieri, affiliata alle giardiniere venne convocata dalla polizia austriaca con accuse terribili da cui si difese, ma venne scagionata forse grazie all’intervento del barone austriaco Ludwig Von Welden, innamorato di lei. Il barone l’aveva conosciuta ad Ameno e si era invaghito di lei ed era rimasto affascinato dalla vista che da Ameno si ha del Monte Rosa, tanto da scalarne una delle punte, punta Ludovica, che a lui deve il nome. (2)

La Sopransi sposerà il barone nel 1829 a Trieste.

Bianca Milesi

Bianca Milesi

E infine Bianca Milesi sulla quale voglio soffermarmi per sottolineare, oltre al coraggio, anche l’incredibile intraprendenza di queste donne. Bianca viene ricordata per essere stata l’ideatrice della “carta frastagliata” che i congiurati utilizzavano per comunicare fra di loro. La carta frastagliata, detta anche cartolina à jour o crittografico della grata, era una griglia che si sovrapponeva alle lettere dei cospiratori in modo da lasciar leggere soltanto il messaggio segreto. Bianca fece però anche molto di più: con il conte Federico Confalonieri e il conte Giuseppe Pecchio fondò le Scuole di Mutuo Insegnamento, il cui obiettivo era diffondere una comune coscienza nazionale e culturale tra gli italiani. Le scuole furono subito chiuse, anche su pressione della Chiesa che deteneva all’epoca il monopolio dell’istruzione.

Bianca era la più giovane e la più intraprendente delle 5 sorelle Milesi. Era nata il 22 maggio 1790 da Giovan Battista Milesi e da Elena Marliani, Famiglia benestante che consente a Bianca di studiare prima a Firenze e poi a Milano. Il suo sogno è di dedicarsi alla pittura e per questo studia con accanimento e viaggia molto, trascorre molto tempo a Roma dove conosce Antonio Canova. Fu allieva di Francesco Hayez che in seguito avrebbe introdotto nella buona società milanese attraverso il proprio salotto. Aveva un carattere fortissimo e una spiccata personalità, amica di Cristina di Belgioioso, si faceva notare anche per l’aspetto stravagante; non nascondeva di essere femminista e anche questo, nella Milano provinciale di allora, era motivo di scandalo. Finì che fu scoperta perché il carbonaro Carlo Castillia la denunciò, sia per il codice cifrato sia perché aveva dipinto il tricolore sullo stendardo degli studenti di Pavia del battaglione Minerva. Nonostante gli interrogatori brutali non parlò mai, ma venne schedata come “rivoluzionaria”. Dovette riparare all’estero ma non smise mai di cospirare e di dedicarsi alle cause sociali e tra queste agli asili infantili. La polizia, che la teneva d’occhio, la chiamava: la “giovane energumena”. Divenne amica di Giuseppe Mazzini e la sua casa fu il punto di approdo di molti patrioti lombardi. Si narra che al momento della morte le sue ultime parole siano state: «Dite a mio figlio che ami sempre il suo dovere». E quel dovere era lottare per la libertà. (3)

Il ruolo dei salotti

Anche se oggi non si usa più tanto (forse dovremmo dire chiacchiere da social...) la locuzione “chiacchiere da salotto” rimanda immediatamente all’immagine di signore di buona estrazione sociale impegnate a dissertare di moda e pettegolezzi di vario genere. Anche nell’800 la frase rimandava a dame intente a bere the e spettegolare eppure …

Il Secolo XIX nel 2003 pubblicò un articolo dal titolo significativo “I salotti in cui si fece l’Italia”. L’articolo si riferiva in particolare ai salotti genovesi dell’800, ma è indubbio il ruolo dei salotti nella costruzione del Risorgimento italiano.

Nella società ottocentesca i salotti rappresentavano una forma di aggregazione sociale (forse l’unica) concessa alle donne al di fuori del loro ruolo di mogli e madre, era l’unico luogo in cui alle donne era riconosciuta completa libertà di azione, ma è stato forse sottovalutato il ruolo che questi hanno avuto nell’emancipazione femminile e nella diffusione delle idee risorgimentali all’interno della cerchia femminile e non solo.

Ruolo fondamentale di questa lenta evoluzione è quello delle “Salonnières” donne dell’aristocrazia o dell’alta borghesia, che raccoglievano nei loro salotti soprattutto donne, ma anche esuli e politici per discutere soprattutto di politica.

Non vi erano norme scritte nei salotti, solo regole, però ferree, dettate dal “bon ton” e la partecipazione era spesso (o meglio, quasi sempre) legata al censo della salonnières. Salotto quindi come momento di incontro, di scambio di idee, con una certa tolleranza circa le posizioni politiche e ideologiche dei presenti, perché le differenze e le dispute servivano a rendere più vivo il dibattito. La linea politica prevalente fra le dame dei salotti era un moderato liberismo, anche se alcuni salotti fanno eccezione come quello di Giuditta Sidoli, apertamente mazziniano, o quelli milanesi del 1848 decisamente antiaustriaci.

La Bertolo ci dice che l’età d’oro dei salotti si può collocare tra gli anni ’20 e 30 fino a 20 anni dopo l’unità d’Italia, con alcune eccezioni: a Genova finirono negli anni ’50 e a Torino entrano in crisi con il trasferimento della capitale a Firenze. Sicuramente gli anni di maggior successo furono quelli dal 1846/48 e per i 10 anni successivi, il cosiddetto decennio di preparazione.

La politica, pur non essendo l’unico argomento di conversazione, è un argomento molto trattato, soprattutto la politica di opposizione. C’è poi la lettura di poesie, il commento ai libri, la cronaca locale e, ovviamente, il pettegolezzo o gossip. I personaggi più discussi: Maria Rattazzi, la Contessa di Castiglione, Cristina di Belgioioso.

Il salotto è aperto solo ad una precisa élite di persone, legate al censo della salonnière, a conferma di quanto sopra basti dire che Costantino Nigra, sicuramente personaggio di spicco del periodo Cavouriano e anche successivo, aveva scarso accesso ai salotti in quanto “solo” figlio di un cerusico.

Figura centrale del salotto era ovviamente la padrona di casa, unica vera autorità in quel consesso, che si è preparata per anni all’arte di ricevere, di ascoltare e anche di accostare personaggi diversi tra loro, facendone rispettare le diversità di opinione.

I salotti sono quasi sempre retti da una donna, pochissimi i salotti “al maschile” nel corso dell’800.

La Bertolo ci parla, anche diffusamente, di 8 Salonnières distribuite tra Milano, Firenze, Torino, Napoli, Roma e Venezia che furono le sedi dei salotti più importanti.

Cerchiamo di citarne almeno alcune note per le loro imprese particolari:

Clara Maffei nel ritratto di Francesco Hayez

Clara Maffei nel ritratto di Francesco Hayez

Clara Carrara Spinelli in Maffei: tenne salotto a Milano per circa mezzo secolo e la lapide posta sulla sua casa la ricorda dicendo “in questa casa dimorò per trentasei anni e morì il 13 luglio 1886 la Contessa Clara Maffei il cui salotto, abituale ritrovo di insigni personalità dell’arte, della letteratura e della musica, fu pure tra il 1850 e il 1859 cenacolo di ardenti patrioti, tenaci assertori della indipendenza e della Unità d’Italia”. Direi che la lapide ci riassume benissimo la vita di questa donna. Separata dal marito sarà compagna di Carlo Tenca, uno dei protagonisti delle Cinque giornate di Milano. E a proposito delle 5 giornate dobbiamo aggiungere che molti dei frequentatori del salotto della Maffei parteciparono attivamente, sostenuti moralmente e finanziariamente dalla Maffei che accoglierà sotto il suo tetto la principessa Cristina di Belgioioso arrivata a Milano alla testa di un’armata di volontari napoletani.

Teresa Berra Kramer

Teresa Berra Kramer

Teresa Berra Kramer: il salotto della Kramer viene definito dalla Bertolo “salotto mazziniano”. Teresa Berra nacque a Milano nel 1804 dall’avvocato Berra e da Carolina Frapolli che in gioventù era stata una giardiniera militante tra le più attive. La Berra sposa Carlo Kramer, figlio di un industriale tedesco che si era però stabilito a Milano e si occupava di industria tessile. Donna molto bella visse per molti periodi all’estero, Svizzera, Francia, Inghilterra, dove svolse la sua attività patriottica a favore degli esuli italiani, utilizzando spesso il cognome del marito per mascherare la propria identità. Nel 1826 torno a Milano dove visse fino al 1851 e aprì un salotto di chiare tendenze mazziniane e repubblicane. Il suo nome è legato ad un “Album” che raccoglieva le firme, dediche, pensieri e versi di tutti i personaggi che entravano nella sua cerchia e che rappresentava, ovviamente, un grosso rischio se fosse caduto in mani austriache.

Dopo la morte dell’unico figlio Edoardo rischio di impazzire; Giuseppe Mazzini le scrisse una lettera il 31 agosto 1869 dove, oltre alle condoglianze, la invitava a superare il dolore dedicandosi al bene comune. Teresa accettò il consiglio e si dedicò ad opere benefiche, destinò le sue sostanze alla creazione della “Pia Fondazione Edoardo Kramer” – tuttora attiva (4) – finalizzata al sostegno degli invalidi del lavoro, sostenne le società di mutuo soccorso Lombarde e istituì due asili per l’infanzia a Cremella e Tramezzo. Morì nel 1879 quando l’Italia era “fatta” ma non la Repubblica come lei avrebbe voluto.

Bianca Rebizzo

Bianca Rebizzo

Altro salotto mazziniano fu quello di Bianca Rebizzo, giovane donna di origini modeste nata a Milano che sposa un ricco genovese Lazzaro Rebizzo, uomo dalle idee liberali, che negli anni ’30 era vicino agli ideali mazziniani. Quando nel 1835 si stabiliscono a Genova nasce il salotto Rebizzo, frequentato da mazziniani affiliati alla “Giovine Italia” ed esuli provenienti da tutta Italia.

Nel salotto Rebizzo, aperto a Palazzo Doria, passarono nomi come Mamiani, Bixio, Mameli, il marchese Pareto, Gioberti; ma vi erano anche artisti e letterati come Niccolò Barabino, Aleardo Aleardi, Niccolò Paganini.

Volendo fare un po’ di gossip la nostra Bianca ebbe un amore vero per l’armatore Raffaele Rubattino e un rapporto di facciata con il marito che viveva nel rimpianto di un amore perduto, quello per una nostra vecchia conoscenza la marchesa Nina Giustiniani. Anche la vita di Bianca meriterebbe ulteriori righe, ma il tempo a disposizione non ci consente ulteriori approfondimenti.

Tralascio volutamente il salotto della marchesa Giustiniani e quello di Giulia Colbert Falletti di Barolo di cui abbiamo già parlato.

Ci restano altre 3 o 4 “salonnières” citate dalla Bertolo, di una, Olimpia Rossi Savio, ci corre l’obbligo di sapere qualcosa, se non altro perché morì a Torino il 2 novembre 1889 a Palazzo Cavour, abitato dai Savio dal 1878, nella stessa camera dove morì Camillo Benso, «uomo immenso nella sua piccola mole» come lei lo descrisse.

Ma non è l’unico punto di contatto della Rossi con Cavour.

Olimpia Savio, ritratto della pittrice Beatrice Morgari Vezzetti

Olimpia Savio, ritratto della pittrice Beatrice Morgari Vezzetti

Nasce a Torino il 22 luglio 1815 dal nobile ligure Giovan Battista Rossi, direttore del Collegio Reale delle Province di Torino, e dalla biellese Joséphine Ferrer. Bella, vivace lettrice accanita (il suo romanzo preferito sono I promessi sposi) debutta giovanissima in società nel 1830, in occasione della festa per la principessa Maria Cristina di Savoia, futura sposa del re di Napoli Ferdinando II. A ventun anni, il 24 maggio 1836, Olimpia sposò l’avvocato Andrea Savio, giovane barone piemontese con una grande passione verso il settore agrario come Camillo Cavour di cui è amico e consigliere. Sarà, finalmente, un matrimonio felice da cui nascono 4 figli.

Il salotto della Rossi Savio era chiamato “Millerose” dal nome della residenza estiva della famiglia, posta all’inizio della collina torinese.

Donna colta, di idee liberali, la Rossi è anche scrittrice. Nel suo “Diario” fa rivivere la Torino ottocentesca e le sue curiosità. La baronessa intrattenne rapporti con i grandi personaggi politici dell’epoca: Costantino Nigra, Cesare Balbo, Massimo D’Azeglio… con cui scambiava lettere e che ospitava nel suo salotto. Importanti anche le lettere che scambiava con i due figli, Alfredo ed Emilio, capitani dell’esercito regio, che danno un resoconto degli avvenimenti militari vissuti dai due giovani che troveranno la morte sui campi di battaglia. Nel suo salotto, che durò fino allo spostamento della capitale da Torino a Firenze, passeranno settimanalmente, oltre ai politici, anche artisti e letterati quali Giovanni Prati, Angelo Brofferio, Luigi Mercantini, Niccolò Tommaseo.

Molto altro ci sarebbe da raccontare su questa “salonnière” così particolare ma per esigenze di brevità vi rimando al libro della Bertolo che a Olimpia Rossi Savio dedica ben 28 pagine.

Un altro salotto un po’ particolare è il salotto di Caroline Crane Marsh

Caroline Marsh

Caroline Marsh

moglie dell’ambasciatore americano a Torino, che arriva in città proprio il giorno del funerale di Camillo Cavour e del quale darà una descrizione attenta e partecipe nel Diario che teneva. Il diario che la Marsh detta alla nipote Carrie è interamente dedicato agli anni che la Marsh risiede a Torino ed è composto di ben 17 quaderni, scritti fittamente. Un terzo di questi quaderni verrà utilizzato per il libro “Un’americana alla corte dei Savoia” curato da David Lowenthal e Luisa Quatermaine

La Marsh guarda al mondo torinese e alle vicissitudini del nuovo Stato (ricordiamo che è arrivata nel 1861) con occhio benevolo ma disincantato: è curiosa della realtà di questo nuovo paese, sa stupirsi e ascoltare le varie voci che si incrociano nel suo salotto senza mai scendere nel pettegolezzo che, anche o soprattutto in quel periodo, aveva un ruolo importante nella vita di società.

La Marsh, donna aperta e liberale, aveva però particolare ammirazione per Vittorio Emanuele fin dal primo incontro che questi ha con il marito ambasciatore, per il modo semplice e franco con il quale il re accoglie il nuovo ambasciatore.

Anche le pagine dedicate alla Marsh sono una lettura gradevole.

La Bertolo chiude il capitolo delle salonnières con Costanza Trotti Bentivoglio, sposata con il marchese Giuseppe Arconati Visconti.

Costanza Trotti Bentivoglio

Costanza Trotti Bentivoglio

Ma il suo potremmo definirlo un salotto errante in quanto dopo i moti del ’21 a cui aveva partecipato il marito, amico d’infanzia di Confalonieri, la coppia si trasferisce all’estero e farà ritorno in Italia solo nel 1838 quando il governo austriaco concesse un’amnistia. Entrambi ricchissimi, soprattutto il marchese, hanno entrambi ideali carbonari che perseguono anche durante il loro errare per l’Europa. Costanza viene definita da alcuni siti “cronista culturale”, poiché presente e attiva nella società delle varie città in cui abitarono (vissero in Germania, Belgio, Francia) affiancava a questo presenzialismo un’intensa attività di messaggera dei patrioti. Portava infatti a destinazione i dispacci dei carbonari, in Francia, in Belgio, in Germania, dovunque. Quando torna in Italia si stabilisce a Pisa città dove un gruppo di intellettuali, capeggiato da Giuseppe Giusti e Giuseppe Montanelli, sta conducendo forti azioni antiaustriache. Dal 1849 al 1859 visse a Torino e casa Arconati raccolse l’élite torinese ma anche gli esuli. In questo periodo gli Arconati appoggiarono l’attività politica di Cavour e il loro figlio Gian Martino veniva spesso incaricato da Cavour di missioni delicate.

Giovanni Berchet fu profondamente innamorato di lei e la seguì nelle sue peregrinazioni europee in qualità di precettore del figlio.

La grave malattia del figlio la sconvolge e ne spegne l’ingegno e pian piano la vita. Muore a Vienna, città in cui era nata, e dove si trovava per aver portato il figlio in una casa di cura, e per ironia della sorte la morte la coglie in un edificio adiacente alla reggia di Francesco Giuseppe, l’imperatore che, con il suo odio per l’Italia, ne ha profondamente segnato l’esistenza.

Sarebbero ancora molte le donne di cui raccontare, ad esempio le intellettuali come Margaret Fuller Ossoli o Costanza d’Azelio, Enrichetta Caracciolo o Giuditta Sellerio Sidoli, ma ciò richiederebbe almeno un altro incontro data la mole di informazioni che la Bertolo ci dà su ognuna di queste donne.

E non dimentichiamo che finora abbiamo parlato solo delle nobili che grazie al loro censo e alla loro ricchezza poterono aiutare la causa risorgimentale con denaro, interventi e scritti. Ma non possiamo chiudere un incontro sulle donne che hanno segnato il risorgimento senza parlare di Cristina di Belgioioso che la Bertolo definisce la rivoluzionaria intellettuale.

Cristina di Belgioioso, ritratta da Francesco Hayez

Cristina di Belgioioso, ritratta da Francesco Hayez

Su Cristina di Belgioioso, la sua vita, la sua personalità sono stati scritti libri, saggi e articoli nei più grandi giornali. Se digitate il suo nome in internet troverete decine di risultati, a fronte dei 2/3 che vi potranno dare le altre donne di cui abbiamo parlato, tra cui un sito interamente dedicato alla sua figura e alla sua storia. (5)

Ma andiamo con ordine cercando di conoscere più da vicino questo personaggio così particolare, celebrata nel 2021 dalla città di Milano con una statua posta in piazza Belgioioso (tra l’altro unica statua dedicata dalla città ad una donna …) in occasione del 150enario della nascita.

Personaggio controverso: esaltata ma anche odiata, portata ad esempio ma anche additata come persona estremamente negativa, Cristina riusciva a catalizzare su di lei emozioni e sentimenti contrapposti, a creare vere e proprie fazioni.

Cristina, battezzata con ben dodici nomi, (Maria Cristina Beatrice Teresa Barbara Leopolda Clotilde Melchiora Camilla Giulia Margherita Laura Trivulzio) nacque a Milano nel 1808. Sia il padre che la madre appartenevano a illustri famiglie aristocratiche milanesi. Girolamo, il padre è ciambellano di Eugenio Beauharnais, viceré del Regno d’Italia, dopo essere stato nominato conte della corona ferrea da Napoleone. Cristina è una bambina gracile e timida, un po’ malaticcia e delicata che soffre già da giovanissima di una leggera forma di epilessia. Rimane orfana di padre a 4 anni e la madre, rimasta vedova a soli 21 anni, si risposa con Alessandro Visconti d’Aragona, spirito progressista attratto dalla scienza che ha tra i suoi amici Federico Confalonieri con il quale si impegna a costruire il primo battello sul Po, ma col quale intesse anche cospirazioni patriottiche.

La Milano in cui nasce la Belgioioso è una città vivace che Arrigo Petacco definisce “una delle città più moderne ed emancipate d’Europa” La sua aristocrazia è operosa e pragmatica e guarda più al modello britannico che non a quello asburgico; accanto a questa vi è una borghesia industriale progredita e vivace che fa emergere nuovi ceti.

Cresciuta in questo ambiente cosmopolita e con un patrigno che la avvicina alle idee liberali, Cristina riceve una educazione varia e raffinata a cui si assommano i viaggi, sempre affiancata da precettori privati, che spesso la mettono in contatto con la borghesia intellettuale. Grazie alla sua insegnante di disegno, Ernesta Bisi, entra in contatto con il mondo delle cospirazioni politiche. Nel 1824, a soli 16 anni, dopo aver rifiutato il matrimonio con un noioso cugino, sposa Emilio Barbiano di Belgiojoso, giovane e bello, acquisendo così il titolo di principessa. Ma il bel Emilio è un libertino, malato di sifilide, interessato soprattutto al notevole patrimonio di Cristina che gli porta in dote 400.000 lire austriache, che potrebbero corrispondere più o meno a 4 milioni di euro odierni. Il principe di Belgioioso era un bon vivant, amante di Lord Byron, di cui aveva acquistato la carrozza, che all’occasione usava come alcova. Pare facesse parte della “compagnia della teppa”, gruppi di giovani mascalzoni che movimentavano le notti di Milano, anche con manifestazioni patriottiche e antiaustriache, che erano però più goliardate che vero credo patriottico. In ogni caso i due giovani, che dopo il matrimonio si trasferiscono nella villa Belgioioso di Merate, vengono guardati con sospetto dalla polizia austriaca per la loro fede patriottica, che è forse l’unico elemento ad accumularli.

Nella villa di Merate Cristina è spesso sola e fa amicizia con Teresa Casati Confalonieri, Metilde Viscontini Dembowsky e Bianca Milesi che, come abbiamo già visto, erano accese patriote affiliate alle “giardiniere”. Soprattutto Bianca Milesi diventerà molto amica della Belgioioso, unite dalla fede patriottica, ma anche dall’odio verso le convenzioni sociali.

Pochi anni più tardi Cristina scopre i tradimenti del marito, ma anche di essere stata da lui infettata dalla sifilide, Incurante delle convenzioni che la vorrebbero sopportare pazientemente le corna maritali, Cristina si separa da Emilio, pur senza farlo con carte bollate, e si impegna a pagare i numerosi debiti che questi aveva contratto, scrivendo all’amica Ernesta Bisi che se il marito volesse costringerla a fare qualcosa che lei non vuole potrà sempre bloccare il pagamento dei debiti.

Dopo la fine del suo matrimonio si sposta a Genova e sarà ospite presso i Pallavicini, i Doria, i Durazzo. Siamo nel 1828, Genova è una città politicamente impegnata e darà ricetto in pochi anni ad alcune delle figure di spicco del risorgimento italiano: un giovane ufficiale del genio piemontese, Camillo Cavour, troverà il grande amore della sua vita in Anna Giustiniani e forse anche la sua passione politica, un giovane dottore in legge, Giuseppe Mazzini, si iscrive alla Carboneria, e infine, ma siamo già nel 1834, un marinaio di nome Giuseppe Garibaldi, diserta la marina sarda dopo un tentativo di insurrezione.

La Belgioioso si fermerà poco a Genova, ma il breve periodo basterà perché un agente provocatore austriaco, tale Raimondo Doria, la denunci alla polizia austriaca quale affiliata alle “Giardiniere”. A questo punto comincia la sua fuga, prima per l’Italia e poi all’estero. Andrà ad Ischia per curarsi, a Roma, Firenze frequentando i migliori salotti delle varie città e ricominciando a vivere dopo la fine del matrimonio, pur lottando con la salute malferma e con la polizia austriaca che non vuole rinnovarle il passaporto. Grazie alla sua posizione di principessa riesce a farsi rinnovare il passaporto dai diplomatici austriaci che tengono in considerazione il suo censo, ma si inimicherà ancor di più i burocrati della polizia milanese con i quali i rapporti peggioreranno nel tempo.

Andrà in Svizzera, a Lugano, per raggiungere la madre e utilizzerà lo storico diritto dei Trivulzio alla cittadinanza ticinese per ottenere la cittadinanza Elvetica e sottrarsi così alle forti pressioni della polizia austriaca che vuole farla rimpatriare. Cerca di tornare a Genova ma non è il momento più opportuno: siamo nel 1830 e a Genova vengono arrestati diversi cospiratori, tra cui lo stesso Mazzini. Non solo, la polizia austriaca è sulle sue tracce, lo stesso Metternich chiede di catturare la “fuggitiva” che vedrebbe bene “chiusa in un convento”. Riparò in Francia dove visse momenti di ristrettezze economiche anche perché nel 1831 viene emanato un decreto che prevede «la confisca di tutte le sue proprietà, al momento dichiarate sotto rigoroso sequestro». Tutte le sue biografie ci dicono che imparò a cucinarsi i pasti da sola e a guadagnarsi da vivere cucendo pizzi e coccarde, dando lezioni di disegno.

Ma è pur sempre la più famosa principessa del tempo, se non più la più ricca, e quindi riesce, grazie a conoscenze quali Augustin Thierry, storico francese che gli fu amico per tutta la vita, a Francois Mignet, direttore degli archivi del ministero degli esteri, e soprattutto al marchese Lafayette, a ritornare in auge e ad accrescere la propria popolarità al punto di essere invitata a pronunciare un discorso alla Camera, discorso con il quale chiese aiuto per gli esuli e per chi era rinchiuso nelle carceri austriache. Grazie a Lafayette, anziano ma ancora molto potente, riuscì a sfuggire ad un processo per “alto tradimento” che la magistratura di Milano aveva intentato contro di lei, e soprattutto nel 1835 a rientrare in possesso di parte dei suoi beni.

Appena recuperati i suoi beni affitta un appartamento nel centro di Parigi, apre un salotto dove s’incontrano gli esuli italiani: Mamiani, Porro, Poerio, Pepe, Amari, Pepoli, Gioberti e Sirtori e molti dei rappresentanti dell’intellighenzia parigina, Stendhal, Balzac, Hugo, Dumas, Didier, Guizot, Toqueville, Coeur, Fauriel, Meyerbeer, de Sinner, Cousin e tanti altri. Stringe amicizia con Heinrich Heine, Liszt, De Musset, ed è sempre in contatto con il Générale La Fayette.

Si concede alcune relazioni sentimentali e non potrebbe essere altrimenti: è bella, alta, di carnagione chiarissima ha capelli corvini, molto ammirata è sicuramente una donna affascinante. Mentre è a Parigi concepisce la sua unica figlia Maria,[1] senza mai rivelare il nome del padre, possiamo solo immaginare quale scandalo! La Bertolo nulla ci dice sulla paternità della figlia, spiegando che nel suo libro indaga le gesta delle donne e non la loro vita privata. Però dal curatore del sito www.cristinabelgiojoso.it, Sandro Fortunati, apprendiamo che per molti anni si credette che il padre della piccola fosse Francois Mignet, ma che in realtà il vero padre possa essere stato il pianista Teodoro Dohler. Ma torniamo a parlare di Cristina: scrive articoli per vari quotidiani, d’altronde è convinta dell’importanza e della potenza della stampa, paga di tasca sua giornali patriottici, aiuta numerosi fuorusciti italiani, finanzia addirittura un tentativo di colpo di stato mazziniano in Sardegna.

Tornata a Locate negli anni Quaranta, si dedicò ai problemi sociali aprendo asili e scuole per figli e figlie del popolo e trasformando il suo palazzo in un centro di comunità, attività che non erano certamente viste di buon occhio dalla buona società la battuta che girava era “se mandiamo i contadini a scuola chi coltiverà i nostri campi? A partire dal 1848 assume un ruolo di protagonista: come sappiamo partì da Napoli raggiungendo Milano per le cinque giornate alla guida della “Divisione Belgiojoso”, composta da 200 volontari da lei reclutati e trasportati al nord; fu a Roma nei mesi della Repubblica mazziniana, con Mazzini negli ultimi anni era nato un buon rapporto con scambi di lettere dove condividevano l’ideale di un Italia libera e unita.

A Roma viene incaricata della direzione degli ospedali durante l’assedio della città.

Raffaello Barbiera, il suo primo biografo, descrive anche l’attenzione e la cura amorevole di Cristina per i feriti che giungevano presso l’ospedale della Trinità dei Pellegrini dove lei prestava la sua opera di volontariato. Faceva arrivare farmaci, i cibi che mancavano, soprattutto latte, bende, lenzuola, letti, a sue spese, o girando direttamente per le vie di Roma e chiedendo aiuto alla gente,

Riuscì ad organizzare, con il Comitato di Soccorso, ben dodici ospedali militari per assistere soldati, e, facendo appello alle donne romane, riuscì ad arruolare un vero e proprio corpo di infermiere volontarie. Ma anche questo gesto umanitario diede in seguito il via a polemiche ed ironie, in quanto si disse che aveva assoldato anche numerose ragazze procaci e di facili costumi.

All’appello alle donne romane perché accorressero ad assistere i feriti della Repubblica avevano risposto tantissime donne, senza distinzione di origine e classe, romane e forestiere, aristocratiche e popolane.

Lo slancio patriottico coinvolse sia oneste “matrone” sia prostitute di professione. Vennero impiegate 300 donne e per la loro scelta venne fatta un’attenta selezione; naturalmente la presenza di ragazze dai “dubbi precedenti” venne sfruttata dai soliti “benpensanti”. Vi fu una vera campagna d’odio e di sospetto verso la Belgioioso, cosa che la spinse ad abbandonare l’Italia, lasciando alle spalle anche l’impegno politico, la sua passione dominante per tanti anni. Ma, prima di partire, con l’ironia di sempre, scrisse una lettera al papa Pio IX, indirizzata però anche ai giornali per difendere la scelta delle sue infermiere e collaboratrici: “Santo Padre – scriveva Cristina – non sosterrò che tra la moltitudine di donne che, durante il maggio e il giugno del 1849, si dedicarono alla cura dei feriti non ve ne fosse neppure una di costumi reprensibili: Vostra Santità si degnerà sicuramente di considerare che non disponevo della Polizia Sacerdotale per indagare nei segreti delle loro famiglie, o meglio ancora dei loro cuori. Mi accadde, l’ammetto, di venire informata che l’una o l’altra delle aiutanti dell’ospedale fosse nota per aver esercitato in precedenza una professione disonesta. Se quell’avvertimento mi fosse arrivato prima, indubbiamente le avrei escluse, ma tale non era il caso. Le donne che mi venivano denunciate erano state per giorni e giorni a vigilare al capezzale dei feriti; non si ritraevano dinanzi alle fatiche più estenuanti, né agli spettacoli o alle funzioni più ripugnanti, né dinanzi al pericolo, dato che gli ospedali erano bersaglio delle bombe francesi. Nessuno poteva rimproverare a quelle donne una parola o un gesto meno che decoroso e casto. Ciò nonostante, forse avrei potuto ugualmente espellerle se non avessi io adorato il precetto di quel Dio che, in sembianza umana, non disdegnò che una donna di perversi costumi gli ungesse i piedi e glieli asciugasse con le sue lunghe trecce …”.

Tutti sappiamo che è stato attribuito a Florence Nightingale il merito di aver fondato il corpo delle “crocerossine” nel 1854 in occasione della guerra di Crimea, ma in fondo la Belgioioso realizzò la stessa cosa alcuni anni prima, senza che questo le fosse riconosciuto, anzi!

Come detto, amareggiata per la campagna contro di lei lasciò l’Italia e ci dice la Bertolo da quel momento è difficile riuscire a seguire tutti i suoi spostamenti. Dapprima, insieme alla figlia che aveva ormai 10 anni, raggiunse Malta, poi Atene, sbarco a Costantinopoli e si fermò infine in Turchia, dove comprò una proprietà in Cappadocia e fondò una colonia agricola che purtroppo non diede il risultato sperato.

Tornò a partire viaggiando attraverso l’Anatolia, la Siria, il Libano e la Palestina; di questo viaggio tenne un diario in cui smontava con realismo i miti romantici dell’Oriente esotico, fastoso ed opulento, mettendo invece in evidenza le miserie della società che incontrava. Tornò finalmente a Locate nel 1856 e li si spense il 5 luglio 1871, all’età di 63 anni, continuando fino alla fine a scrivere per migliorare la condizione della società del suo tempo, e soprattutto della donna, e a proclamare il suo credo patriota.

Sarà ricordata come “una personalità d’eccezione” in cui la passione patriottica si salda con un forte impegno civile e una spiccata vocazione intellettuale.

Credo che questa frase, tratta da un articolo di Marguerite de Merode Pratesi, dia la giusta immagine della Belgiojoso “Fu una donna originale in un’epoca in cui soltanto le eroine della finzione letteraria avevano diritto d’esserlo”. (6)

Ci avviamo verso la fine anche se le donne da ricordare sarebbero ancora molte: le intellettuali e le popolane, quelle in prima linea, come le chiama la Bertolo (Eleonora De Fonseca Pimentel, Antonietta De Pace), le donne delle 5 giornate di Milano, Rose Montmasson Crispi, unica donna nella spedizione dei Mille per seguire il suo grande amore Francesco, quelle che si travestivano da uomo tagliandosi i capelli per poter combattere ecc. ecc.

A ricordo del loro impegno mi piace indicare questo bel quadro di Odoardo Borrani sulle donne che cuciono le camicie rosse per i garibaldini.

Le cucitrici delle camicie rosse, di Odoardo Borrani

Le cucitrici delle camicie rosse, di Odoardo Borrani

Ma prima di chiudere ancora due parole su una giovanissima donna, Clotilde di Savoia, che al Risorgimento sacrificò il suo futuro.

Il principe Napoleone e la principessa Clotilde di  Savoia, Archivio Alessandro Bima

Il principe Napoleone e la principessa Clotilde di Savoia, Archivio Alessandro Bima

La Bertolo dedica alla giovane principessa di Savoia diverse pagine del suo libro alle quali vi rimando per una lettura approfondita. Ma alcune chicche mi pare doveroso riportarle.

Pare che Vittorio Emanuele fosse molto in ambasce per questo matrimonio, e non certo solo per la differenza di età tra i due (15 anni lei, 36 il principe Napoleone) ma soprattutto perché la “Kechina” è la sua preferita e non vorrebbe davvero sacrificarla.

Il Re passò alla figlia le carte avute dal Cavour con il decalogo imposto da Napoleone III e Clotilde scrisse a Cavour che avrebbe pensato a questo progetto, che così tanto la coinvolgeva. Chiusa nel castello di Casotto arrivo a prendere la sua decisione, possiamo immaginare con quale animo.

Non potevano esserci due persone più differenti: estremamente religiosa Clotilde, un libertino senza Dio il Plon Plon. Il matrimonio si fece e per descrivere il novello sposo basti dire che per due volte il celebrante dovette richiamarlo all’attenzione: al momento dello scambio della promessa e degli anelli. Plon Plon era più interessato ai mosaici della cappella reale che alla cerimonia che si stava svolgendo!

Eppure, all’inizio il matrimonio funzionò, la principessa si inserì bene alla corte francese, aveva un vero affetto per il suocero, poi alcuni viaggi e la nascita dei figli contribuirono alla serenità della coppia. Ma dopo un po’ Plon Plon tornò alle sue abitudini da libertino e si arrivò alla separazione nel 1878.

Ma nonostante i tradimenti quando nel 1891 il marito si ammala gravemente sarà lei a correre al suo capezzale.

Clotilde tornerà al Castello di Moncalieri, dove si dedicò all’assistenza dei poveri e degli ammalati, come peraltro aveva fatto nel suo periodo parigino.

Muore a Moncalieri il 25 giugno 1911, compianta in Italia ma anche nella Francia “napoleonica”: per i poveri di Torino, Moncalieri, e anche della stessa Parigi, moriva una persona di grande cuore e carità. Non a casa viene definita “la santa di Moncalieri”. Vittorio Giglio, nel suo libro “Donne celebri” descrivendo il funerale di Clotilde scrive “al passaggio della salma le donne si inginocchiavano e le preghiere e le invocazioni salivano al cielo” aggiungendo che lo spettacolo della folla che assistette alle esequie sulle gradinate della chiesa della Gran Madre era impressionante, “un vero mare di teste”.

Con Clotilde di Savoia chiudiamo la nostra carrellata di eroine risorgimentali, diverse certamente l’una dall’altra, ma accomunate dal desiderio di libertà, dallo straniero in primis, ma anche da pregiudizi e giudizi di una società ancora chiusa e retriva nei confronti delle donne, desiderio a cui hanno sacrificato beni, affetti e per alcune anche la vita.

Santena, 5 marzo 2024

Note:

(1) Bruna Bertolo “Donne del Risorgimento – Le eroine invisibili dell’unità d’Italia” – Anankè

(2) https://www.amenoquadriborgo.it/i-fantastici-4-di-ameno

(3) www.enciclopediadelledonne.it/biografie

(4) https://www.piafondazione-edoardokramer.org/

(5) https://www.cristinabelgiojoso.it

(6) https://www.lalampadina.net/magazine/tag/cristina-trivulzio-di-belgioioso/

Bibliografia:

Bruna Bertolo, “Donne del Risorgimento – Le eroine invisibili dell’unità d’Italia” – Ananke Edizioni

https://www.amenoquadriborgo.it/i-fantastici-4-di-ameno/

http://www.donneconoscenzastorica.it/vecchio/testi/trame/giardiniere.htm

https://www.letteratu.it/2011/03/15/

https://medium.com/cyber-scuola

https://www.biblioteca.montepulciano.si.it/il-libro-della-settimana-dal-30-maggio-al-4-giugno-2011

http://www.donneconoscenzastorica.it

https://www.lalampadina.net/magazine/2018/10/cultura-cristina-di-belgioioso/

www.storicang.it/a/cristina-trivulzio-di-belgioioso-principessa-che-costrui-litalia