Incontri Cavouriani

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STORIA E STORIE DELLA SCUOLA ITALIANA


Parte seconda: dalla Legge Casati 1859 alla Legge Coppino 1877

di Carla Eandi

“L’educazione è l’arma più potente per cambiare il mondo”
Nelson Mandela

Il Regio Decreto n. 3726 del Regno di Sardegna datato 13 novembre 1859, noto come Legge Casati, venne emanato a Torino in piena guerra e in regime di pieni poteri del re durante il governo La Marmora. Ebbe pieno vigore nel Regno di Sardegna e in Lombardia, tranne a Mantova. Le firme erano quelle del Re Vittorio Emanuele II, del ministro dell’Istruzione Gabrio Casati che aveva elaborato la legge ancor prima delle dimissioni del secondo governo Cavour (19 luglio 1859) e del Guardasigilli Urbano Rattazzi.

In seguito, furono apportate alcune modifiche alla legge (Legge Coppino e Legge Orlando) che, tuttavia, rimase in vigore quasi integralmente fino al 1923, quando venne emanata la riforma Gentile. La legge Casati nacque da un contesto storico caratterizzato dalle sdegnate dimissioni di Camillo Cavour dopo l’armistizio di Villafranca.

Il suo successore, Alfonso Ferrero La Marmora, volle nominare, come Ministro dell’Istruzione, un milanese in una compagine tutta piemontese: il Marchese Gabrio Casati, emigrato da vent’anni in Piemonte, che fu anche ministro per sei mesi dal luglio 1859 al gennaio 1860. Il ministro Casati assunse questo incarico con molta serietà. Era un incarico che Cavour non gli avrebbe mai affidato perché non lo stimava (lo aveva definito “un asino molesto”).

Chi era Gabrio Casati? Nacque a Milano nel 1798. Era cognato di Federico Confalonieri. Avvocato, a soli 27 anni fu preside del Liceo di Sant’Alessandro di Milano. Successivamente divenne senatore nel 1853.Quando fu raggiunto dal telegramma con la nomina a ministro dell’Istruzione del nuovo governo, Casati stava prestando servizio ausiliario come infermiere al fronte. Fu presidente del Senato del Regno d’Italia per quasi due anni, dal 1865 al 1867, morì a Milano nel 1873.

Nonostante in quel periodo ci fosse un dibattito acceso sull’istruzione popolare, nella legge Casati si pose l’accento soprattutto sull’istruzione secondaria. Casati non ha lasciato nessun scritto sulle sue idee rispetto alla scuola, tranne la legge che porta il suo nome.

La legge Casati

La Legge Casati entrò in vigore nel 1861 e fu estesa, con l'unificazione nazionale, a tutta Italia (Regio decreto 28 novembre 1861, n. 347).

La legge, che prese il nome dal ministro della pubblica istruzione Gabrio Francesco Casati e che fece seguito alle leggi Boncompagni del 1848 e Lanza del 1857, riformò in modo organico l'intero ordinamento scolastico, dall'amministrazione all'articolazione per ordini e gradi e alle materie di insegnamento. Confermò la volontà dello Stato di farsi carico del diritto-dovere di intervenire in materia scolastica a fianco e in sostituzione della Chiesa cattolica, che da secoli era l'unica ad occuparsi dell'istruzione, introducendo l'obbligo scolastico nel Regno.

La legge si ispirò al modello prussiano sia nell'impianto generale che nel sistema organizzativo molto gerarchizzato e centralizzato. Si propose, inoltre, di contemperare diversi principi quali il riconoscimento dell'autorità paterna, l'intervento statale e l'iniziativa privata. A tal proposito, la legge sancì il ruolo normativo generale dello Stato e la gestione diretta delle scuole statali, così come la libertà dei privati di aprirne e gestirne di proprie, pur riservando alla scuola pubblica la possibilità di rilasciare diplomi e licenze.

La legge era ispirata ad una concezione dell'educazione essenzialmente elitaria, in cui veniva dato ampio spazio all'istruzione secondaria e superiore (universitaria), ma scarso risalto a quella primaria, non a caso la legge iniziava con la disciplina dell'istruzione superiore e non, come sarebbe stato più logico, con quella dell'istruzione elementare. Tracciava inoltre una netta separazione tra la formazione tecnica, volta a formare la classe operaia specializzata, da quella classica, di stampo umanistico, volta a formare le classi dirigenti. Riconosceva, però, una certa parità fra i due sessi riguardo alle esigenze dell'educazione.

La legge Casati era costituita da 380 articoli ordinati in cinque titoli:

  • il Titolo I "Dell'Ordinamento della Pubblica Istruzione" definiva l'organizzazione della scuola a livello centrale e locale, stabilendo le attribuzioni di ogni organo e istituendo a livello centrale il Consiglio superiore della pubblica istruzione;
  • il Titolo II "Dell'Istruzione Superiore" dettava norme in materia di studi universitari e accademici;
  • il Titolo III "Dell'Istruzione Secondaria Classica" istituiva e regolava il ginnasio e il liceo;
  • il Titolo IV "Dell'Istruzione Tecnica" istituiva e regolava le scuole tecniche e gli istituti tecnici;
  • il Titolo V "Dell'Istruzione Elementare" istituiva e regolava le scuole elementari.

Riguardo all’amministrazione della Pubblica Istruzione la legge impose una gerarchizzazione centralistica, al suo apice venne posto il Ministro della Pubblica Istruzione, seguivano, in ordine di importanza, il Consiglio superiore della Pubblica Istruzione e i vari ispettori generali degli ordini scolastici. Soltanto le scuole nautiche e quelle militari si sottrassero al Ministro della P.I, queste ultime facevano capo al Ministero della Marina le prime e al Ministero della Guerra le seconde. L’amministrazione periferica prevedeva l’istituzione di cariche quali: il rettore per l’Università, il regio provveditore per le province, gli ispettori di circondario e il Consiglio provinciale per le scuole.

L’ordinamento generale del sistema scolastico viene ben rappresentato in questo schema

Ordinamento della legge Casati

L'istruzione elementare, a carico dei comuni, era articolata in due cicli: un ciclo inferiore biennale, obbligatorio e gratuito, istituito nei luoghi dove ci fossero almeno cinquanta alunni in età di frequenza, e un ciclo superiore, anch'esso biennale, presente solo nei comuni sede di istituti secondari o con popolazione superiore a 4 000 abitanti. Le scuole elementari erano divise tra femminili e maschili. Il numero di allievi per scuole con una sola classe era fissato a 70.

Le discipline che formavano i programmi della scuola elementare

Le discipline che formavano i programmi della scuola elementare

L'istruzione secondaria classica era l'unica che consentiva l'accesso a tutte le facoltà universitarie, era presente in ogni capoluogo di provincia ed era articolata nel ginnasio, di cinque anni, suddiviso in ginnasio inferiore di 3 anni (sostituiva l’attuale scuola media) e ginnasio superiore di due anni, a carico dei comuni, seguito dal liceo, di tre anni, a carico dello Stato.

Le discipline della scuola secondaria classica

Le discipline della scuola secondaria classica

L'istruzione secondaria tecnica era invece articolata nella scuola tecnica, di tre anni, gratuita e a carico dei comuni, seguita dall'istituto tecnico, di tre anni, a carico dello Stato; l'istituto tecnico era diviso in sezioni, una delle quali, la sezione fisico-matematica, consentiva l'iscrizione alla facoltà di scienze matematiche, fisiche e naturali

Le discipline della scuola secondaria tecnica

Le discipline della scuola secondaria tecnica

La L. Casati fu poi integrata successivamente con il R.D. del 15/09/1860 che approvò i programmi per la scuola primaria e con la successiva C.M. del 26/11/1860 che titolava Istruzioni ai maestri delle scuole primarie sul modo di svolgere i programmi Per la formazione dei maestri elementari furono istituite le scuole normali (quelle pubbliche erano 18, 9 maschili e 9 femminili) di durata triennale, alle quali si accedeva a 15 anni per le femmine e a 16 per i maschi. A quel tempo si calcolava che servissero 60.000 maestri, in realtà si poteva contare soltanto su 17.000 maestri adeguatamente formati.

L’idoneità all’insegnamento veniva rilasciata per i due livelli, previo superamento di un esame. Ogni semestre i maestri e le maestre venivano sottoposti ad un esame catechistico ad opera del parroco che valutava in base ai livelli di apprendimento raggiunti dagli allievi. Inoltre i maestri e le maestre erano sottoposti alle visite dei regi ispettori e dei sorveglianti delle commissioni d’ispezione comunale.

Le discipline della scuola normale

Le discipline della scuola normale

Il reclutamento dei maestri elementari, demandato ai comuni, spesso privi di adeguate risorse finanziarie e destinatari di disposizioni di legge che la stessa legge non sanzionava, sarebbe risultato uno dei punti deboli in sede di attuazione della legge, tanto che sovente la preparazione dei maestri lasciava molto a desiderare.

Anche per questo motivo, oltre che per una mentalità che le portava a mantenere le distanze dalle altre classi sociali, le famiglie delle classi più agiate disdegnarono la scuola elementare, preferendo istruire privatamente i loro figli come, del resto, la legge consentiva: era la cosiddetta scuola paterna, in cui l'insegnamento era impartito dagli stessi genitori o dal precettore incaricato dalla famiglia; l'allievo doveva poi sostenere un esame di Stato.

L’Università

Quanto all'università, alle tre facoltà di origine medioevale - teologia (soppressa nel 1873), giurisprudenza, medicina - se ne aggiunsero due nuove: lettere e filosofia e scienze fisiche, matematiche e naturali; a quest'ultima venne annessa la scuola di applicazione per la formazione degli ingegneri, della durata di tre anni, alla quale si accedeva dopo aver frequentato il biennio della facoltà.

Insegnamento della religione

Tra le materie degli ordini scolastici era prevista la "dottrina religiosa" il cui insegnamento era affidato nelle scuole elementari al maestro sotto il controllo del parroco, nelle scuole secondarie tecniche e classiche ad un direttore spirituale nominato dal vescovo (abolito nel 1877) e nelle scuole normali, dove costituiva materia d'esame, ad un docente titolare di cattedra (norme abolite nel 1880); fu però data alle famiglie la possibilità di chiederne l'esonero.

Obbligo scolastico

La legge sancì l'obbligatorietà e la gratuità del primo biennio dell'istruzione elementare; peraltro, pur minacciando pene a coloro che trasgredivano tale obbligo, non specificò quali fossero, né lo fece il codice penale, con il risultato che le disposizioni sull'obbligo scolastico furono ampiamente disattese in un paese in cui l'evasione scolastica era molto diffusa, soprattutto nelle regioni meridionali (secondo i dati ISTAT, nel 1861 l'analfabetismo maschile era del 74% e quello femminile dell'84%, con punte del 95% nell'Italia meridionale). Per una prima effettiva sanzione dell'obbligo scolastico si dovrà attendere il 1877, con la legge Coppino, che elevò la durata del grado superiore dell'istruzione elementare a tre anni e sancì l'obbligo dai sei ai nove anni di età.

Un’ondata di critiche… “Fuoco amico” sulla riforma

Benché sancisse l’unitarietà, la gratuità dell’istruzione scolastica e l’obbligatorietà dei primi due anni della scuola primaria, la legge fu molto criticata dallo stesso Partito liberale. Le principali obiezioni riguardavano:

  • il ruolo di Cenerentola della scuola elementare, che era stata considerata ultima dalla legge
  • il forte centralismo ministeriale e il controllo eccessivo
  • il disinteresse per la rivoluzione industriale e l’incomunicabilità fra cultura classico-umanistica e tecnico-scientifica. Al paese serviva una preparazione tecnica per favorire la crescita industriale e servivano anche professionalità in ambito bancario e nel terziario in genere
  • il silenzio sulla scuola dell’infanzia
  • Il silenzio sull’istruzione artistica
  • il trattamento feudale dei maestri

Fondamentalmente la L Casati ignora i veri interessi della nascente borghesia imprenditoriale e industriale, una legge conservatrice, rigida e dedicata a conservare rigidamente le differenze tra classi sociali.

L’inchiesta sulle condizioni della pubblica istruzione nel Regno d’Italia, proposta nel 1864 da Carlo Matteucci, vicepresidente del Consiglio superiore della pubblica istruzione, confermò il sostanziale fallimento della legge Casati nella lotta all’analfabetismo soprattutto nel Mezzogiorno: i bambini disertavano la scuola perché lavoravano nei campi, i comuni non avevano i mezzi per fornire libri e quaderni ai più poveri, i maestri insegnavano in classi sovraffollate, che arrivavano a contare anche 70 allievi, di età diverse e diversi livelli di apprendimento, ed erano spesso precari e sottopagati, costretti a fare altri lavori per mantenersi.

Legge Coppino

La legge 5 luglio 1877 n. 3961, detta anche legge Coppino dal nome del ministro proponente Michele Coppino, fu una legge del Regno d'Italia emanata durante il periodo di governo della Sinistra storica, con a capo Agostino Depretis.

Collaborò al testo della legge anche Aristide Gabelli, pedagogista seguace del positivismo, che si occupò di redigere i programmi scolastici favorevole ad affiancare educazione (indurre l’alunno a pensare in maniera autonoma e razionale) e formazione (orientata alla particolare realtà sociale).

Essa portava a cinque anni le classi della scuola elementare, rendeva gratuita la frequenza scolastica, ma soprattutto elevava l'obbligo scolastico a tre anni. Sebbene fosse possibile svolgere il programma in soli due: l'obbligo effettivo di tre anni è di qualche anno più tardi. Introduceva inoltre sanzioni per chi lo disattendeva (le sanzioni non erano previste nella precedente legge Casati). Ben presto, però, le multe divennero una vera e propria tassa pagata dai più poveri per finanziare l’educazione dei ragazzi più abbienti, quindi venne poi modificata immettendo il denaro delle multe in materiale scolastico per i più poveri. Un altro punto fondamentale della legge fu l’insegnamento della religione, questione spinosa in tutta Europa, ma particolarmente rilevante in Italia per la presenza dello Stato pontificio.

La legge Casati aveva reso obbligatorio l’insegnamento di religione e la legge Coppino dispose che venissero inserite nel piano didattico la ginnastica e una sorta di educazione civica; il problema, però, risiedeva nella formulazione della legge: data l’ambiguità sintattica, non era chiaro se queste materie dovessero venire integrate a religione o in sostituzione. La questione si risolse nel 1908: la religione venne elargita a carico della scuola solo a coloro che ne volessero usufruire; una soluzione che chiaramente scontentava sia i cattolici che i laici, ma che fu efficace nel funzionamento.

Le spese per il mantenimento delle scuole rimasero, però, a carico dei singoli comuni, i quali, nella maggior parte dei casi, non erano in grado di sostenerle e dunque la legge non fu mai attuata pienamente. Ciononostante, la legge Coppino ebbe una rilevante importanza e contribuì in buona misura ad una diminuzione sempre più consistente dell'analfabetismo nell'Italia di fine Ottocento.

L’anno successivo alla legge Coppino, nel 1878, vennero distribuiti fondi per la costruzione di nuove scuole e venne istituito il fondo pensionistico per i maestri, già previsto dalla legge Casati, ma mai attuato fino ad allora.

Progresso e critiche

Questa legge servì soprattutto per formare i nuovi cittadini: oltre ad imparare a leggere, a scrivere e a far di conto, agli alunni veniva insegnata educazione civica in modo da introdurre i giovani nella società. Venne dato anche molto spazio alle materie scientifiche e venne cambiata la metodologia di insegnamento, passando da un rigido dogmatismo alla concretezza, poiché questa legge fu influenzata dalla filosofia positivista del momento. Infatti nella seconda metà dell’‘800 si afferma, in Europa, il POSITIVISMO, una corrente di pensiero che nasce da una impostazione filosofica antispiritualistica e pragmatistica. I positivisti fondano la pedagogia su una solida base scientifica e la collegano con le altre scienze umane, facendone un veicolo di miglioramento sociale.

Questo modello educativo, nello sfondo della società tecnico-industriale, basa il proprio criterio nella categoria “dell’utile”, dove è possibile assegnare “valori” diversi a diversi saperi, a seconda della loro utilità. Tale impostazione viene condivisa anche dal positivismo italiano che deve, tuttavia, confrontarsi con il grave analfabetismo e con la questione sociale.

Tuttavia, i cattolici criticarono ampiamente la legge, dato che essa aveva uno spiccato taglio laico, dovuto all'influenza positivista e alla decisione di abolire i direttori spirituali. I maestri, legittimati con la legge Casati, non poterono più insegnare il catechismo e la storia sacra. Perciò, molti figli di cattolici intransigenti vennero mandati nelle scuole private, le quali erano in parte gestite dalla Chiesa cattolica

Chi era Michele Coppino?

Michele Coppino nacque ad Alba il 1º aprile 1822 da una famiglia di origini modeste. Malgrado gli scarsi mezzi economici famigliari, Michele riuscì ad intraprendere gli studi nel seminario della sua città natale, dove fu uno studente brillante. In tal modo, per meriti scolastici, ottenne un posto gratuito nel Palazzo del Collegio delle Province di Torino, grazie al quale poté iscriversi all'ateneo torinese, laureandosi in lettere nel 1844, a 22 anni.

Subito dopo la laurea, Coppino esercitò la professione di insegnante in diverse scuole del Piemonte. Nel 1850, venne nominato professore alla cattedra universitaria di letteratura italiana all'Università di Torino e fu anche Rettore della stessa università dal 1868 al 1870.

Contemporaneamente all'attività accademica, Coppino iniziò ad affiancare un sempre più intenso impegno politico. Accostatosi alla Sinistra storica di Urbano Rattazzi, fu candidato alla Camera per la prima volta alle elezioni del 15 novembre 1857 nel collegio di Alba, ma venne sconfitto al ballottaggio dal marchese Carlo Alfieri di Sostegno.

Infine, ripresentatosi alla tornata elettorale, nel 1861 riuscì finalmente a vincere. Da allora fece parte del Parlamento quasi ininterrottamente per quarant'anni, e fu più volte Presidente della Camera dei deputati. Nel 1876 Coppino fu infine chiamato a far parte del primo e successivamente del secondo governo Depretis come Ministro della pubblica istruzione, in virtù della sua esperienza al Consiglio superiore della pubblica istruzione.

La legge Coppino del 15 luglio 1877

La legge Coppino del 15 luglio 1877

La Legge Coppino, pur con tutti i suoi limiti, fu una delle più innovative e progressiste riforme sociali varate dalla Sinistra storica durante il governo del Regno d'Italia, dato che il substrato di fondo era quello di rendere le masse popolari più consapevoli dei propri diritti e dei propri doveri e avvicinarli così progressivamente alla gestione della cosa pubblica.

Le sventure della maestra Italia Donati

Nacque a Cintolese (ora frazione di Monsummano Terme), figlia del fabbricante di spazzole Gaspero Donati. Dimostrò un'attitudine allo studio sufficiente per aspirare a un posto da insegnante elementare, e, nel 1882, al secondo tentativo, superò l'esame di abilitazione. Fu assegnata a una frazione del comune di Lamporecchio, il paesino di Porciano, che distava una decina di chilometri da Cintolese, dove la donna prese servizio nel settembre 1883.

Giunta nel borgo, fu subito sottoposta alle pressioni del sindaco, Raffaello Torrigiani, suo datore di lavoro secondo la Legge Coppino del 1877, e si sistemò in una delle sue abitazioni, subendo pesanti avances, alle quali riuscì tuttavia a sottrarsi. Ben presto si trovò a dover fare i conti con l'ostilità della comunità dalla quale, priva di qualsiasi difesa, dovette subire accuse oltraggiose, additata come una poco di buono.

Nell'estate 1884, un magistrato di Pistoia si vide recapitare una lettera anonima che accusava la donna di aver abortito illegalmente con l'aiuto del sindaco. Torrigiani fu costretto a dimettersi, ma per Italia Donati le conseguenze furono devastanti. Malgrado la polizia non trovasse alcuna prova contro di lei e lei medesima si fosse offerta ad accertamenti medici che potessero confermare la sua castità, questi non le vennero concessi e l'ostilità nei suoi confronti non ebbe più freni.

Mentre la sua salute risentiva della tensione, si diffuse la voce che era di nuovo incinta: lo provavano, per gli accusatori, il pallore e i sudori. Chiese di essere trasferita in un'altra scuola della zona, cosa a cui l'amministrazione comunale acconsentì nella primavera del 1886. Ma la cattiva fama l'aveva preceduta, e la nuova comunità non celò la sua irritazione nel vedersi imporre la presenza di una donna così svergognata.

La sera del 31 maggio 1886 Italia Donati scrisse un breve biglietto d'addio, destinato ai genitori, in cui si discolpava e si difendeva. Al fratello, Italiano Donati, scrisse le seguenti parole: «[…] sono innocentissima di tutte le cose fattemi […] A te, unico fratello, a te mi raccomando con tutto il cuore, e a mani giunte, di far quello che occorrerà per far risorgere l'onor mio. Non ti spaventi la mia morte, ma ti tranquillizzi pensando che con quella ritorna l'onore della nostra famiglia. Sono vittima dell'infame pubblico e non cesserò di essere perseguita che con la morte. Prendi il mio corpo cadavere, e dietro sezione e visita medico-sanitaria fai luce a questo mistero. Sia la mia innocenza giustificata […]» (Carlo Paladini, Le sventure di Italia Donati, in Corriere della Sera, 10-11 giugno 1886.)

Camminò nel buio fino alla gora del vecchio mulino ad acqua sul fiume Rimaggio, poco fuori dal paese, fermò le sottane con due spille da balia (voleva scongiurare l'umiliazione di venire trovata con le gambe scoperte), e si lanciò nelle acque con un salto. L'autopsia confermò che era morta vergine.

Nel biglietto Italia chiedeva di essere seppellita nel paese in cui era nata e non a Porciano: «Chiedo questo perché le ragazze che mi hanno odiata e biasimata in vita non vengano a burlarsi ancora di me per la via del sepolcro».

Tuttavia, la sua famiglia non poteva permettersi il trasferimento della salma e fu dunque organizzato un modesto funerale. Essendo morta suicida, il parroco era tenuto a farla seppellire fuori dal cimitero, cosa che non fece per rispetto alla famiglia. Italia Donati venne seppellita nell'angolo più lontano del cimitero, vicino al muro di cinta, con solo le iniziali sulla croce.

Tuttavia, quando la popolazione di Cintolese venne informata della verginità e dell'innocenza di Italia, promosse una sottoscrizione per coprire le spese di trasferimento.

Il Corriere della Sera mandò un reporter, Carlo Paladini, a indagare. La storia suscitò scalpore e spronò Matilde Serao a pubblicare un articolo in cui denunciava la terribile condizione delle maestre di scuola, mentre il Corriere della Sera documentava le lettere di solidarietà alla giovane donna che pervenivano da tanti insegnanti elementari. Fu lanciata una sottoscrizione per coprire le spese del trasporto della salma e della tumulazione a Cintolese, che superò la cifra inizialmente prevista e venne donata alla famiglia in segno di risarcimento. Il 4 luglio si compì la cerimonia, con tanto di dignitari e una folla di popolo.

Santena, 21 febbraio 2024