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Gli ultimi anni di vita di Mazzini e le vicissitudini della sua salma


di Andrea Serani

Anche negli ultimi anni di vita Mazzini, sebbene il suo stato di salute si mostrasse sempre più precario (soffriva di cronici problemi bronco-polmonari e di una lesione gastrica), non cessò la sua attività cospirativa. Egli riteneva che la monarchia italiana, costituitasi nel marzo 1861, si trovasse in uno stato di debolezza superiore alla effettiva realtà.

Giudicava pericolosa la politica estera del re Vittorio Emanuele, che, secondo il genovese, era troppo filofrancese, e quindi temeva una guerra contro la Prussia che avrebbe distratto il governo di Firenze (dal 1869 presieduto da Giovanni Lanza con Emilio Visconti Venosta agli esteri) dalla presa di Roma.

Mazzini cercò inutilmente di contattare Garibaldi che ormai da tempo lo aveva abbandonato ritenendo che le idee del genovese fossero troppo astratte e irrealizzabili. Inoltre l’Eroe dei due Mondi ormai si stava avvicinando alle idee socialiste da cui si manteneva decisamente distaccato Mazzini.

Il capo del governo Lanza, nel marzo del 1870, riteneva che Mazzini fosse all’estero, mentre in realtà si trovava a Genova. Vi furono alcuni moti repubblicani di scarsa entità e male organizzati; in uno di questi, avvenuto in una caserma pavese, fu fucilato il caporale Pietro Barsanti. Infine nell’agosto del 1870 Mazzini in incognito da Genova si imbarcò per la Sicilia sperando che da essa partisse un forte moto insurrezionale verso Roma. Mazzini giunse nell’isola il 14 di agosto, ma ormai il governo italiano era al corrente dei suoi spostamenti. Il prefetto Giacomo Medici, antico mazziniano e poi successivamente collaboratore di Garibaldi nella spedizione dei Mille, ora al servizio della monarchia italiana, lo fece subito arrestare prima che il genovese scendesse a terra.

Mazzini trascorse il periodo carcerario, durato circa due mesi, nel penitenziario di Gaeta. Qui, viste le sue condizioni di salute, poté godere di un regime carcerario benevolo. Aveva modo di leggere, scrivere e suonare la sua inseparabile chitarra. Il 20 settembre1870 fu liberata Roma, grazie alla sconfitta, ad opera dei prussiani, di Napoleone III a Sedan e alla conseguente proclamazione in Francia della repubblica. A seguito di un’amnistia per questo fatto relativo a Roma, Mazzini fu liberato e posto in piena libertà.

Tuttavia, essendo rimasto fedele alle sue idee repubblicane, l’Italia monarchica, con Roma capitale, era lontanissima da ciò a cui aveva aspirato. Preferì quindi prendere nuovamente, di sua esclusiva volontà, la via dell’esilio per Londra, dove aveva già vissuto una gran parte della sua vita. Prima di raggiungere la capitale inglese si fermò in Svizzera, a Lugano, ospite della sua intima amica Sara Nathan. Qui le sue condizioni di salute ebbero un peggioramento e Mazzini pertanto ritardò la ripartenza. Tuttavia poté festeggiare a Londra l’inizio del nuovo anno con la famiglia Ashurst. Rivide anche lo strettissimo amico filosofo Thomas Carlyle, con il quale si incontrò per l’ultima volta nel febbraio del 1871.

Ormai Mazzini sentiva avvicinarsi la fine e quindi era cosciente che non sarebbe più ritornato in Gran Bretagna dal momento che voleva morire in Italia. Pertanto il 7 febbraio 1871 lasciò l’isola per raggiungere di nuovo la Svizzera non prima di aver scritto un melanconico messaggio di commiato (vedasi Denis MacK Smith, Mazzini l’uomo, il pensatore, il rivoluzionario, Rizzoli, Milano, 1993, pag. 302):

“ Sul punto di lasciare, forse per l’ultima volta, il paese che ho imparato ad amare come una seconda patria, al fine di proseguire in maniera più efficace l’apostolato repubblicano a cui intendo dedicare quanto mi resta da vivere, desidero riassumere, per i miei amici inglesi il cui affetto mi ha consolato più di ogni altra cosa della mancanza di quella casa che mi è stata negata nel mio paese natale, i motivi della mia incrollabile fede repubblicana; del compito che ora mi spinge a rinunciare alle consolazioni della vecchiaia, così come ho rinunciato alle gioie della giovinezza , per servire l’unità repubblicana dell’Italia, che è stato il sogno profetico della mia adolescenza e la fede religiosa della mia maturità “

Mazzini in tutto era stato a Londra circa 25 anni e là si era conquistato numerose amicizie.

Per raggiungere Lugano il genovese fece una pericolosa traversata invernale del passo del Gottardo su una slitta trainata da cavalli. Suo compagno di viaggio fu il giovane filosofo Friedrich Nietzsche il quale ebbe così occasione di conoscere e di conversare piacevolmente a lungo con il genovese.

Raggiunta Lugano fu di nuovo ospite di Sara Nathan. Essa lo consigliò di recarsi presso sua figlia Janet Nathan che viveva a Pisa insieme al marito Pellegrino Rosselli, antenato dei fratelli Carlo e Nello Rosselli, nella loro casa di Via della Maddalena 38. La città godeva di un buon clima che avrebbe potuto giovare alla salute di Mazzini; pertanto questi fece come gli era stato proposto e raggiunse Pisa l’11 marzo 1871, in incognito, temendo fastidi dalle autorità di polizia, sebbene non avesse ormai più nulla da temere dal momento che era stato graziato da ogni reato l’anno precedente. A questo punto ritengo necessario chiarire che alcuni storici sostengono, incorrendo in errore, la tesi opposta.

Dalle sue lettere private si deduce che le sue condizioni di salute non miglioravano affatto, anzi il genovese dovette sopportare il caldo afoso di quell’estate pisana (vedasi “Gli ultimi giorni di Mazzini a Pisa”, di Giacomo Adami, pag. 5 in “Il rintocco del campano”, Pisa, gennaio-aprile 1995, ETS), ma la sua attività politica non cessò. Poco prima del suo arrivo a Pisa aveva fondato quello che fu il suo ultimo periodico, il settimanale “La Roma del popolo”, diretto dall’amico Giuseppe Petroni. Dalle colonne di questo settimanale svolse quella che fu la sua ultima battaglia politica, diretta contro la Comune di Parigi, un movimento di natura anarco-socialista che governò la città di Parigi dal 18 marzo al 28 maggio 1871, quando fu repressa dal governo repubblicano conservatore francese di Adolphe Thiers. Mazzini, a differenza di alcuni suoi amici repubblicani che guardarono con simpatia a questo movimento parigino (non escluso Garibaldi), condannò decisamente l’operato della Comune senza però arrivare ad approvare la repressione effettuata dal governo francese. Come ci dice Giovanni Belardelli (“Mazzini”, il Mulino, Bologna, 2010, pag.224) Mazzini riteneva che dietro l’insurrezione parigina vi fosse l’Internazionale e ciò lo spinse ad attaccare quest’ultima con durezza.

<<Così in luglio, nell’articolo “Agli operai italiani”, denunciava le tre negazioni che minavano i princìpi dell’Internazionale. La negazione di Dio avrebbe lasciato gli uomini privi di una legge morale in balia dell’interesse egoistico, avrebbe reso impossibile il sacrificio e ove necessario il martirio, cancellato “la possibilità d’una legge di progresso, d’un disegno intelligente regolatore della vita dell’Umanità”. La negazione della nazione – cui l’Internazionale sostituiva “il Comune indipendente, chiamato a governarsi da sé” – avrebbe impedito il compimento della missione data da Dio, avrebbe fatto rinascere “tutti i piccoli egoismi locali” e addirittura “ridotta la vita Italiana a povera gretta esistenza vegetativa”. Infine, la negazione della proprietà individuale, sostituendo a questa la proprietà collettiva, avrebbe eliminato ogni stimolo al lavoro; invece della progressiva instaurazione di un regime fondato sulla associazione, vi sarebbe stata la sottomissione di tutti al “sistema del salario” e avrebbe reso permanenti i mali del capitalismo.>>

Mazzini temeva che le violenze degli insorti parigini e l’esaltazione dei conflitti sociali effettuata dall’Internazionale provocassero il panico nel ceto medio. È da tenere presente che la negazione della lotta di classe era un punto fondamentale della dottrina del genovese che comunque riteneva positive l’emancipazione del mondo operaio e la collaborazione fra le varie forze sociali.

In questo primo soggiorno pisano Mazzini seppe trovare la maniera di riservare una parte del suo tempo alla letteratura vernacola. Come ricorda Giacomo Adami (art. cit., pag.5) sul finire di maggio era capitato infatti fra le mani del genovese, da Firenze, un fascicolo della “Nuova Antologia”, rivista erede di quell’”Antologia” del Vieusseux pubblicata tra il 1821 e il 1832 (poi soppressa dal governo granducale) in cui il giovane Mazzini aveva già scritto parlando dell’amor patrio di Dante. In questo fascicolo egli aveva posto la propria attenzione sui sonetti in vernacolo pisano di Renato Fucini, un poeta nato nel grossetano e laureatosi all’università di Pisa. Quei sonetti furono l’esordio letterario di questo poeta e prosatore. Mazzini, scrivendo ad un’amica inglese, riteneva il Fucini paragonabile al poeta Giuseppe Giusti “se avesse un fine che temo non abbia” (Adami, art. cit., pag.6).

I sei mesi della prima permanenza pisana di Mazzini (dall’11 marzo al 13 settembre 1871) non furono comunque mesi felici perché era tormentato dai soliti problemi di salute. Scriveva così ad una delle sorelle Ashurst (vedasi Adami, art. cit., pag.6): <<“passo le mie giornate scrivendo”, confidava ad Emilia, e aggiungeva: “mi alzo ogni quarto d’ora e cammino su e giù per le stanze [...]. Fumo senza interruzione [...] Scrivo senza voglia per un senso di puro dovere, senza una scintilla d’entusiasmo, e il fumare è una pura diversione per la nebbia dell’anima che si appesantisce sulla mia testa come una cappa di piombo.”>>.

L’afosa estate pisana del 1871 non fu poi favorevole alle sue precarie condizioni di salute. Benché comunque in questo suo soggiorno pisano non fosse stato importunato da alcuno, a settembre decise di tornare a Lugano, ma dopo poco tempo sentì la nostalgia dell’Italia. In questo periodo Mazzini avvertì anche l’isolamento politico, dal momento che diversi suoi amici, temendo gli eccessi della Comune di Parigi, si erano avvicinati alla monarchia sabauda, mentre altri, all’opposto, sentivano il fascino dell’Internazionale. Nel novembre del 1871 il genovese cercò di arginare tutte queste defezioni organizzando un congresso nazionale, svoltosi a Roma, delle cooperative e delle unioni operaie che però non ebbe il successo sperato.

L’inizio dell’anno nuovo fu da lui trascorso ancora a Lugano in condizioni di salute sempre più precarie. Rimessosi soltanto in minima parte, Mazzini pensò a ritornare in Italia e giunse di nuovo a Pisa il 6 febbraio 1872. Dalla Svizzera prese tuttavia contatti con sua sorella Antonietta che viveva a Genova e che aveva perso suo marito da non molto tempo. Essa però, non condividendo le idee del fratello in materia religiosa, avendo una frequentazione molto stretta con il mondo ecclesiastico cattolico, si rifiutò di incontrarlo.

Mazzini cercò pure un contatto con Garibaldi nel tentativo di una riconciliazione con lui, ma l’Eroe dei due Mondi respinse sdegnosamente la proposta e finì addirittura per accusare il genovese di aver osteggiato nel 1860 la liberazione della Sicilia.

Ritornato in Italia, fu nuovamente ospite di Janet Nathan e del marito Pellegrino Rosselli. Sebbene, come già detto, non avesse conti in sospeso con le autorità, preferì, anche stavolta, venire in incognito e farsi passare per il dottor George Brown. Solo gli amici intimi sapevano chi era e dove risiedeva. Appena arrivato a Pisa, forse per la stanchezza del viaggio, i vecchi mali riaffiorarono immediatamente e il genovese per poco non ne fu sopraffatto.

I coniugi Rosselli, allarmati, chiamarono prontamente il medico Giovanni Rossini, il quale

(Adami, art. cit., pag. 9)

<< così espone, nei suoi “Appunti”, quanto gli fu dato di constatare nella casa di Via della Maddalena: “Entrava nella stanza e adagiato sopra un sofà trovava un vecchio tanto venerato nell’aspetto, quanto era garbato nei modi ricevendomi. Giudicava dovesse essere più sui settanta che al di sotto […]. Pallido, e più che pallido direi terreo il volto, avea il crine e la barba quasi canuta […]. Gli occhi erano vivi con prunelle castagne; vi erano occhiaie al di sotto assai pronunziate […]. La bocca […] con i labbri di un colore rosso smorto” Per quanto attiene allo specifico quadro patologico, così continuano gli “Appunti”: “Un medico avrebbe detto a prima giunta trattarsi di persona nelle quali le potenze organiche erano gravemente infralite. Le rughe del volto, il colorito, le guance, il pallore delle labbra, la macilenza indicavano senza dubbio un uomo che avea dovuto soffrire fisicamente e moralmente”>>.

A seguito delle cure del dottor Rossini, Mazzini manifestò qualche miglioramento e poté fare anche qualche passeggiata nelle vie adiacenti alla casa Rosselli. Era però cosciente del suo stato di salute ma, nonostante ciò, continuava a preoccuparsi dell’attività politica, come riportato in questa lettera a Giorgina Saffi, moglie di Aurelio Saffi, uno dei triumviri della Repubblica Romana del 1849. (Vedasi G. Mazzini, “Scritti scelti”, a cura di Adolfo Omodeo, Mondadori, Milano 1941, pagg. 214, 215)

“Pisa, 20 febbraio 1872

Cara Nina,

miglioravo, come sapete, ma ho voluto viaggiare, e il viaggio, pare, era prematuro. Giunto appena, fui colto da vomito la prima sera; poi da una costrizione spasmodica dell’esofago che mi lasciò cinquantasei ore senza poter inghiottire, e con grande stento, altro che poche gocce di brodo; poi dalla solita benedizione di tosse, muco, rantolo, brevità di respiro, e tutti i caratteri, che s’erano mitigati, della bronchite cronica. Ora, dopo vescicanti al petto e altro, son mitigati nuovamente, ma minacciano sempre. La notte mi procaccia il rantolo; il parlare un po’ più del solito, l’abbassamento della voce e così via. Tempo e temperatura più calda; e del resto, o andrà via la malattia o andrò via io. Il dilemma è consolante in ogni modo”

e più oltre:

“La Roma [del popolo] ha due piaghe: un deficit e pochi collaboratori. Abbiamo il pareggio con tremila sottoscrittori, e ne abbiamo duemila. La lite coi materialisti ci ha levato una cifra dai 400 ai 500. Bisognerebbe che l’apostolato si stendesse a trovare sottoscrittori, non solamente nelle grandi, ma nelle piccole località. Quanto ai collaboratori, son pochi e tremo sempre nel numero e scrivo, come Dio non vuole, quando i dolori e le noie non mi dissestano la mente.”

Lo sperato miglioramento delle condizioni di salute di Mazzini non si verificò e all’inizio di marzo la sua situazione clinica peggiorò definitivamente: il genovese non si muoveva quasi più dal letto, anche se continuava ad essere lucido di mente. Furono avvertiti tutti gli amici più intimi e in particolare Sara Nathan che da Lugano si affrettò a raggiungere Pisa in tempo per vederlo morire. Tutti questi movimenti nell’ambito politico repubblicano fecero capire definitivamente alle autorità di polizia, che già in passato avevano avuto qualche sospetto, che sotto le vesti del dottor George Brown si nascondeva Giuseppe Mazzini. Fu nuovamente chiamato il dottor Rossini, anch’egli probabilmente insospettito, dalla parlata italiana fluente del malato, sulla sua vera identità. Accorse a Pisa anche un altro fedele amico, Felice Dagnino, mentre altri intimi amici, ossia Maurizio Quadrio, Aurelio Saffi e Agostino Bertani, giunsero in città quando ormai il genovese era spirato. <<Il trapasso è così registrato dal dottor Rossini: “All’una e mezzo, prese le sue mani fra le mie, il Signore Giuseppe Mazzini, da me conosciuto per il Sig. Giorgio Brown, cessava di vivere nella pienezza delle sue facoltà intellettuali”>>. (Vedasi G. Adami, art. cit. pag. 15). Era domenica 10 marzo 1872.

In brevissimo tempo si diffuse la notizia che l’illustre scomparso era Giuseppe Mazzini. Il giorno dopo, ossia lunedì 11, alla Camera dei deputati fu approvato un voto unanime di condoglianze, ma il presidente di essa, il deputato della Destra Giuseppe Biancheri, evitò ogni discussione, come invece avrebbero voluto alcuni deputati della Sinistra.

A Pisa praticamente nessuno, prima della morte, eccezion fatta delle autorità della polizia, che comunque avevano saputo con certezza della presenza di Mazzini pochi giorni prima il 10 marzo, si era accorto della vera identità dell’ospite di casa Rosselli-Nathan.

Ferdinando Martini, futuro governatore dell’Eritrea e futuro ministro della pubblica istruzione nel primo governo Giolitti nonché delle colonie sotto quello di Salandra, che allora era a Pisa come insegnante nella Scuola Normale Superiore, aveva più volte visto nei paraggi della residenza di via della Maddalena Giuseppe Mazzini senza averlo riconosciuto. L’11 marzo, come egli stesso ci racconta, “trovò la scuola in subbuglio” (vedasi G. Adami, art. cit., pag. 17) perché gli studenti volevano disertare le lezioni in segno di lutto per la morte di quell’illustre personaggio.

<<Il Martini, nel mentre, non senza darsi in cuor suo dell’ “imbecille”, si rammaricava di non aver saputo collegare le poche notizie che sul vecchietto “macilento e stanco” aveva avuto dal dottor Rossini, così da intuirne l’identità, trovò il modo più intelligente per contenere le esuberanze giovanili dei suoi allievi, che, come i loro colleghi universitari, avrebbero voluto disertare la scuola e dimostrare pubblicamente per strada il loro cordoglio: salì in cattedra e “parlò per un’ora e mezzo, col cuore in mano, e tra la commozione dei giovani, dell’opera letteraria di Mazzini”. Concluse la sua estemporanea lezione tra gli applausi di un uditorio intensamente commosso, e poi corse in via della Maddalena per inginocchiarsi davanti al “gran morto”.

“Mazzini dormiva sereno il suo ultimo sonno, avvolto nella coperta di lana a quadrettini bianchi e neri che era stata di Carlo Cattaneo, così come appare nella celebre tela di Silvestro Lega: aveva un nastro tricolore sul petto e un serto d’alloro sulla testa.”>> (Vedasi Adami, art. cit., pag. 18).

A questo punto si potrebbe pensare che Mazzini sia stato sepolto con un semplice funerale come egli stesso aveva sempre richiesto; invece è ora che iniziano le vicissitudini della sua salma.

Avvenne che un gruppo di suoi fedelissimi pensò di mummificare il corpo del genovese e il principale sostenitore di questa idea fu Agostino Bertani, valente medico e sostenitore sia di Garibaldi, che aveva accompagnato nella spedizione dei Mille, che di Mazzini. Bertani, che era affiliato alla massoneria, riteneva che la mummia di Mazzini avrebbe avuto lo scopo di affermare i valori della cultura laica e repubblicana, in contrapposizione ai valori della chiesa cattolica e della monarchia sabauda. Pertanto egli, giunto a Pisa il giorno 11 marzo, pensò di rivolgersi per l’operazione di imbalsamazione allo scienziato lodigiano Paolo Gorini, anch’egli massone. Quest’ultimo giunse quindi a Pisa il giorno 12 marzo quando il corpo di Mazzini dava già segni di decomposizione. (Vedasi, a tal proposito, Sergio Luzzatto, La mummia della repubblica, Einaudi, Torino 2011, pag. 17). Gorini, come dice Luzzatto, era un esperto della tecnica imbalsamatoria conosciuta come pietrificazione, consistente nella sostituzione dei liquidi organici presenti nei tessuti con sali minerali che li rendono duri. Tale tecnica richiedeva però un lavoro lungo alcuni mesi, mentre l’imbalsamazione tradizionale poteva essere effettuata in poche ore. La tecnica della pietrificazione consentiva però una illimitata conservazione del corpo (vedasi Luzzatto, op. cit., pag. 17-18). Bertani era d’accordo nell’effettuare la tecnica goriniana e di esporre al popolo la salma il giorno 12 stesso. Tuttavia a queste idee si contrapponevano Sara Nathan e la sua famiglia, che volevano tener fede alle volontà espresse da Mazzini di evitare ogni manipolazione del suo corpo. Pertanto si decise di mettere ai voti la proposta di Bertani e Gorini, che fu approvata a maggioranza. Questi ultimi cominciarono quindi a lavorare sulla salma del genovese, che doveva poi essere accompagnata al cimitero monumentale di Staglieno in Genova.

Il governo era piuttosto preoccupato sul percorso che la salma avrebbe dovuto effettuare per arrivare a destinazione, e preferiva di gran lunga, per evitare eventuali manifestazioni, l’itinerario più breve, ossia la strada ferroviaria litoranea Pisa-Genova, che però non era ancora stata del tutto conclusa. Forti di ciò, i capi repubblicani chiesero ed ottennero, con la promessa di evitare manifestazioni antigovernative, il percorso più lungo che prevedeva il passaggio da Pistoia, dall’Appennino, da Bologna, da Alessandria, per poi arrivare a Genova. Negli ambienti governativi si temeva pure l’arrivo di Garibaldi che però preferì mandare a rappresentarlo ai funerali il genero Stefano Canzio. Inoltre i capi del movimento repubblicano erano preoccupati dalla possibile presenza di bandiere rosse al funerale, cosa che non avvenne.

Intanto il giorno 12 la salma di Mazzini fu esposta al piano terra della casa Nathan-Rosselli. Fonti di polizia e mazziniane sono d’accordo nel descrivere come numerose le persone che recarono omaggio alla salma. La partenza per Genova, inizialmente prevista per mercoledì 13 marzo, per evitare che il convoglio funebre arrivasse a destinazione il 14, genetliaco del re Vittorio Emanuele II, fu rinviata di un giorno. Nel pomeriggio del 14 marzo una folla numerosa, stimata in 20000 persone (Vedasi Luzzatto, op. cit., pag. 19), accompagnò il feretro del genovese da via della Maddalena alla stazione di San Rossore. Il Luzzatto (op. cit., pag 24) descrive le stazioni di Lucca, Pescia, Pistoia, Bologna, ecc., attraversate tra il 14 e il 15, come piene di gente, con oratori che volevano prendere la parola e numerose bande musicali. A Bologna, poi, Giosuè Carducci, professore di quella università, e non ancora convertito alla causa monarchica, scrisse la seguente epigrafe:

PER IL PASSAGGIO DELLA SALMA
DI GIUSEPPE MAZZINI

L’ULTIMO

DEI GRANDI ITALIANI ANTICHI

E IL PRIMO DEI MODERNI

IL PENSATORE

CHE DE’ ROMANI EBBE LA FORZA

DE’ COMUNI LA FEDE

DE’ TEMPI NUOVI IL CONCETTO

IL POLITICO

CHE PENSO’ E VOLLE E FECE UNA LA NAZIONE

IRRIDENTI AL PROPOSITO GRANDE I MOLTI

CHE ORA L’OPERA SUA ABUSANO

IL CITTADINO

CHE TARDI ASCOLTATO NEL MDCCCXLVIII

RINNEGATO E OBLIATO NEL MDCCCLX

LASCIATO PRIGIONE NEL MDCCCLXX

SEMPRE E SU TUTTO DILESSE LA PATRIA ITALIANA

L’UOMO

CHE TUTTO SACRIFICO’

CHE AMO’ TANTO

E MOLTO COMPATI’ E NON ODIO’ MAI

GIUSEPPE MAZZINI

DOPO QUARANT’ANNI D’ESILIO

PASSA LIBERO PER TERRA ITALIANA

OGGI CHE È MORTO

O ITALIA

QUANTA GLORIA E QUANTA BASSEZZA

E QUANTO DEBITO PER L’AVVENIRE

Domenica 17 marzo 1872, una folla di circa 15000 persone (stima delle autorità di polizia) partecipò al corteo funebre, al quale presenziarono anche molte signore vestite a lutto.

Quel giorno i partecipanti al funerale non ebbero modo di vedere la salma imbalsamata di Mazzini, in quanto la tecnica utilizzata da Gorini richiedeva un lungo lasso di tempo per raggiungere gli obiettivi prefissati. Del resto Agostino Bertani stesso aveva promesso che l’ostensione del genovese sarebbe stata possibile solo ad un anno dalla morte, ossia il 10 marzo 1873.

Dopo le esequie del genovese del 17 marzo, il cadavere di Mazzini fu lasciato nella camera mortuaria del cimitero di Staglieno per permettere a Gorini di completare il suo lavoro.

“Lunedì 10 marzo 1873, al cimitero di Staglieno, ebbe luogo quanto Bertani e i leader mazziniani avevano promesso un anno prima: la salma pietrificata di Mazzini fu esposta al pubblico, esibita alla curiosità più o meno devota della cittadinanza genovese. Dopo tante fatiche di Gorini, dopo le polemiche fra inglesi e italiani, dopo tante voci contraddittorie sull’imbalsamazione riuscita o fallita, la mummia della repubblica era finalmente sotto gli occhi di tutti. Scena memorabile, destinata a fissarsi per sempre nella mente di quanti vi assistettero.” (Luzzatto, op.cit., pag. 48/49).

Per quattro giorni la salma di Mazzini fu esposta alla presenza di numerose persone ivi accorse, ma fu chiaro che risultava impossibile un’esibizione permanente.

Nel marzo del 1874 la salma fu ancora esposta, ma apparve chiaro che il processo di pietrificazione non aveva avuto il successo sperato e pertanto il corpo di Mazzini dovette essere messo nel suo sepolcro di Staglieno, costruito nel frattempo.

Tuttavia la salma del patriota genovese non ebbe ancora pace: nel giugno del 1946, pochissimo tempo dopo la vittoria della repubblica sulla monarchia, si pensò ad una nuova ostensione delle spoglie. Essa venne effettuata domenica 23 giugno di quell’anno, esattamente tre settimane dopo la vittoria della repubblica allo scopo di celebrarla degnamente. Fu un’ostensione che Luzzatto (op. cit., pag. 107/10) definisce “un piazzale Loreto alla rovescia”. Numerosi furono i commenti e le polemiche sulla stampa nazionale. Poi finalmente la salma venne tumulata e di ostensioni non si parlò più.

Ritengo infine opportuno spendere qualche parola sulla sorte della casa in cui morì Mazzini situata in via della Maddalena 38, oggi via Mazzini 71. La casa fu donata dalla famiglia Rosselli – Nathan allo Stato Italiano e venne dichiarata Monumento Nazionale il 20 aprile 1910. Il 31 agosto 1943, durante un bombardamento alleato che interessò la parte sud-ovest della città, in particolare la stazione centrale, la casa in questione fu distrutta e con essa la quasi totalità degli arredi. Si salvarono solo gli scritti e gli oggetti personali di Mazzini che erano stati messi preventivamente al sicuro in previsione di un bombardamento. Nel dopoguerra l’edificio fu ricostruito sulle ceneri della casa Rosselli- Nathan e prese il nome di Domus Mazziniana. Essa fu inaugurata nel 1952 dall’allora presidente della repubblica Luigi Einaudi. In seguito fu anche visitata dall’allora presidente della Camera dei Deputati Giovanni Gronchi (più tardi divenuto presidente della repubblica) e dai presidenti della repubblica Carlo Azeglio Ciampi e Giorgio Napolitano.

NEL 2011 l’architetto Annalaura Spalla rinnovò completamente l’edificio. Esso ora ospita una biblioteca di quasi 40000 volumi riguardanti soprattutto scritti e studi mazziniani. In alcune sale sono esposti cimeli e testimonianze del Risorgimento, tra cui un busto di Mazzini ad opera dello scultore livornese Giulio Guiggi, indumenti e la maschera funebre di Mazzini, nonché la sua chitarra, già appartenuta alla madre Maria Drago. Sulla facciata rivolta verso l’attuale Via d’Azeglio sono scolpite in carattere metallico le lettere del giuramento degli adepti alla Giovine Italia. L’originale di tale giuramento è invece conservato all’interno dell’edificio, ovviamente in forma cartacea. La Domus è visitabile dal pubblico ed i suoi libri sono consultabili in loco. Molte sono le scolaresche, cittadine e non, che si recano a visitarla.

Il presidente attuale della Domus Mazziniana è il professor Paolo Maria Mancarella, già rettore dell’università di Pisa, scelto dal ministero dei beni culturali da una terna di nomi proposta dal Consiglio di Amministrazione.

Pisa, 8 febbraio 2023