Santena


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Uno spirito aleggia sulla città

Mica male la posizione di Santena. 

Siamo nel Nord-Ovest d'Italia. Praticamente alla soglia di Torino. Sulla Tangenziale, in direzione di Piacenza, lungo linee ferroviarie che la collegano al sistema autostradale e ferroviario metropolitano, regionale, nazionale, internazionale. Al centro di un triangolo con Chieri, Moncalieri, Carmagnola ai vertici. Da una parte la collina torinese, dall'altra il Po.

Questa è la “porta sud” della Provincia. Da qui si passa per andare nell'Astigiano, nell'Albese, nel Cuneese, nel Monferrato, nelle Langhe, nel Roero.

Siamo sul confine tra la conurbazione torinese e l'agro poirinese.

Agricoltura, industria, commercio, servizi sono le principali attività.

Santena vista dall'alto si caratterizza per la grande area verde del parco Cavour, per il magnifico Castello, per la superba chiesa che domina la piazza centrale. Il centro storico è attorniato da palazzi, ville, cascine e frazioni.

Verso la periferia le case si intervallano con capannoni artigianali ed industriali, orti, serre, campi coltivati a mais, grano, pioppeti e asparagi.

L'insieme, che si intuisce avvezzo all'innovazione, è attraente, vivace, dinamico, industrioso.

Famosa per la capacità di preparare succulente portate di asparagi di cui i ristoranti e i Santenesi conservano gelosamente le ricette, Santena è ancora più nota per essere la città che custodisce orgogliosamente le memorie di Camillo Benso di Cavour, il principale artefice dell'Unità d'Italia.

Santena è un crocevia di traffico, di attività, di tradizioni, di storia, di cultura su cui aleggia il suo spirito. 

Chi vuole investire, chi vuole intraprendere, chi vuole conoscere più da vicino il contesto in cui si formò la personalità del Grande Statista farebbe bene a dedicare un po' della sua attenzione a questa speciale città.

La città di Camillo Benso di Cavour

A Santena riposano le spoglie del grande Statista, accanto a suoi famigliari, nel luogo dei suoi affetti più intimi.

Della intensa ma breve vita - Torino 10 agosto 1810, 6 giugno 1861 - terminata pochi giorni dopo la proclamazione dell'Unità d'Italia, dell'opera da Lui realizzata è noto quasi tutto ciò che è necessario sapere. Man mano alcuni fatti sono diventati più evidenti, altri sono passati nell'ombra. Taluni continuano ad essere in penombra.

Nonostante sia passato un secolo e mezzo, quando si vuole approfondire qualche importante problema nazionale, Cavour ritorna al centro dell'attenzione. Trattando di collegamenti ferroviari internazionali, rapporti tra Stato e Chiesa, dimensione europea della politica, separazione dei poteri, ruolo del leader, politica internazionale, acume giornalistico, stile di vita, rispuntano suggestioni e riferimenti che dimostrano l'attualità della sua azione. Egli fa parte di quella categoria di persone che, abili nell'elaborare grandi idee e progetti, ne curano anche i dettagli e si preoccupano della modalità di esecuzione, attenti alla forma ma ancor più alla sostanza. Tra i personaggi del Risorgimento, Cavour è quello che mantiene più freschezza ed attualità per la forza, l'originalità, la praticità, la lungimiranza delle proposizioni. 

Santena, oltre ad essere il luogo in cui è sepolto, è la città che conserva, promuove, valorizza, mantiene viva la sua memoria. Qui opera l'Associazione Amici di Camillo Cavour, qui ha sede la Fondazione C. Cavour. Visitando il Castello, il Museo cavouriano, il Parco, la Torre Viscontea, la Tomba dei Benso, la Chiesa monumentale, si ripercorrono episodi significativi, si incontrano i personaggi principali del Risorgimento e i famigliari che vissero accanto all'artefice dell'Unità d'Italia.

Il 6 giugno, ogni anno, la città ricorda, con una suggestiva cerimonia, la sua figura.

È un appuntamento, unico a livello nazionale, che permette ai numerosi estimatori di incontrarsi. Chi vuole rinfrescare la propria memoria, chi desidera rendere omaggio all'uomo, chi è curioso di conoscere meglio la persona è accolto con piacere e professionalità in questa piccola città, che ha la grande fortuna di ospitare un sito storico tra i più importanti d'Italia, tra i più significativi d'Europa.

Nel 2011, centocinquantenario dell'Unità d'Italia, Santena, Torino, il Piemonte e lo Stato hanno il dovere di rendere omaggio e di commemorare l'azione e l'opera di Camillo Cavour e di tutti coloro che contribuirono all'unificazione nazionale.

Il riallestimento del Museo cavouriano, la realizzazione di un percorso dei luoghi risorgimentali del Piemonte, saldando e collegando la storia piemontese alla storia nazionale ed europea, saranno il naturale completamento dell'operazione avviata con le Residenze Sabaude.

Leggere le forme della città

I luoghi si trasformano, adottano caratteristiche nuove. Per fattori naturali ed artificiali, cambiano fisionomia, fino ad assumere forme diverse. E' un dato inevitabile, conseguente al trascorrere del tempo, alle scelte della società civile, al progresso scientifico e tecnologico, alla particolare collocazione fisica e geografica del territorio.

Santena è un tipico esempio di questo fenomeno.

La pianura è regolare, verde, fertile. La Banna, col suo grande bacino, il Tepice, che scende dalla collina chierese, gli altri fossi scolatori scorrono lenti e limacciosi verso il Po. Una fila sinuosa di alberi segna il loro flemmatico passaggio che diventa pesante, in autunno ed in primavera, quando ci sono periodi di pioggia eccezionali. L'acqua, fonte primaria di energia, lega indissolubilmente Santena ai torrenti che l'attraversano.

Nei secoli i cambiamenti sono stati lenti. A metà dell'Ottocento la ferrovia incise in profondità l'ambiente, imprimendo un'accelerazione alla sua trasformazione. Ma è nella seconda metà del Novecento che i mutamenti si sono fatti sentire con tutta la loro forza di impatto.

Opere pubbliche, colture agricole, capannoni industriali, palazzi e case private hanno marcato il territorio di questa piccola, prosperosa e storica città del Nord-Ovest.

L'autostrada, la Tangenziale, le linee ferroviarie direttrici nazionali ed internazionali verso Genova, Piacenza, Torino, il Frejus, Aosta e il Bianco, Savona, Milano sono elementi attraenti di questa singolare città.

Nella campagna spiccano le serre degli orticoltori. Svettano i pioppeti sui campi coltivati ad orto, seminati a grano e mais, intervallati con quelli erbivi.

Terra significa lavoro e ricchezza. Qui si coltivano gli asparagi più apprezzati dai buongustai che, da marzo a giugno, affollano ristoranti e trattorie, dai nomi storici ed altisonanti. Dalle loro cucine escono decine di piatti. Ricette elaborate, custodite gelosamente, presentano ai palati il gustoso turrione santenese.

Ogni famiglia ha il suo segreto. La specialità di Santena è il saper fare nella preparazione delle portate di asparagi. Il primo estimatore è stato Camillo Benso di Cavour, il Santenese per eccellenza. Qui c'è la sua casa, qui Egli riposa.

Santena era un luogo ameno, adesso è un crocevia di traffico.

Ad est, verso Poirino, lungo la statale 29, su entrambi i lati, c'è una lunga fila di capannoni industriali, simbolo della recente industrializzazione.

A sud, verso Villastellone, le fabbriche costruite dalla Fiat, all'inizio degli anni Sessanta, ricordano la grande epopea dell'auto, delle produzioni fordiste, del boom economico.

Ad ovest, verso la ferrovia Cuneo-Savona, lo sguardo giunge alla catena delle Alpi, con a sinistra il Monviso, al centro la Sacra di San Michele e la Val Susa, a destra le Valli di Lanzo e, più in fondo, il Monte Rosa.

A nord la magnifica corona della collina torinese e chierese, sovrastata dalla basilica di Superga, delimita l'orizzonte. Santena è la “porta sud” della Provincia protesa verso l'Italia, il Mediterraneo, la Francia e l'Europa, passaggio obbligato per chi vuol andare nell'Astigiano, nell'Albese, nel Cuneese.

Santena non è solo un punto sulla carta geografica dislocato sul 45° parallelo. È una potenziale piattaforma logistica per il trasporto di persone e di merci verso le produttive aree del Nord-Ovest e di Torino.

Santena è un crocevia di cultura e di storia perché conserva e custodisce le memorie del principale artefice dell'Unità d'Italia.

Economia, territorio, infrastrutture, paesaggio, storia e cultura creano un contesto che rende speciale questa cittadina.

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Al centro della città c'è una grande macchia verde. Il parco Cavour visto dall'alto e dal basso è impressionante. I pluricentenari e monumentali platani dispiegano le loro gigantesche fronde su un'area che ospita centinaia di varietà arboree e floreali. Un orto botanico inaspettato e quindi più suggestivo. Sotto la sua ombra il piccolo Camillo Cavour organizzava giochi con i ragazzini del borgo.

Singolare è la processione che percorre il parco, per fermarsi davanti la porta principale della casa di Cavour, il 10 agosto, san Lorenzo, festa patronale e anniversario della nascita di Camillo.

Il Castello, una splendida villa del Settecento con arredi del diciassettesimo, diciottesimo, diciannovesimo secolo; la Sala Diplomatica decorata di stucchi che riportano segni della massoneria; la Torre viscontea, con le corone del funerale di Camillo e l'ulivo di Mussolini; le scuderie, sede del museo cavouriano; l'asilo infantile Visconti Venosta, oggi adibito a centro di vita culturale e sociale, ricordano i fasti di una famiglia che ha avuto un ruolo primario nella storia nazionale, prima, durante e dopo l'Unificazione, e fino a dopo la IIª guerra mondiale.

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Accanto e speculare al complesso cavouriano c'è la Chiesa parrocchiale che ingloba la cappella dei Benso e la tomba di famiglia. L'altissimo campanile, sormontato dai quattro evangelisti, si staglia sulla suggestiva facciata neobarocca che sovrasta e caratterizza la piazza principale della città. Le statue dei santi Pietro e Paolo e del patrono San Lorenzo e il bassorilievo del Sacro Cuore di Gesù intervallano le linee ammalianti disegnate dal progettista Giuseppe Gallo. La chiesa è del 1922, anno della marcia su Roma e dell'elevazione al soglio pontificio di Pio XI. Data, simboli e segni, come in uno specchio, si riflettono sul Castello ribaltando la prospettiva.

L'insieme costituisce un percorso storico e architettonico che merita di essere conosciuto e scoperto.

In chiesa, a sinistra dell'altare, un ritratto di San Francesco di Sales ricorda il santo della Controriforma, vescovo di Ginevra, molto venerato dalla famiglia Benso perché antenato della nonna paterna di Cavour: Filippina di Sales. Il quadro evoca Ginevra, città repubblicana e di calvinisti, da cui veniva la mamma di Camillo: Adele de Sellon, convertita al cattolicesimo nel 1811, un anno dopo la nascita del futuro Tessitore.

Richiama quella impronta, cristiana nella religione e laica nelle istituzioni, caratteristica del Cavour propugnatore della separazione dei poteri.

Sulla navata principale spicca la figura di San Giovanni Bosco, contemporaneo di Cavour, che costituì i Salesiani ispirandosi alla figura di San Francesco di Sales. Dentro la chiesa gli affreschi di Luigi Morgari ricordano il periodo in cui, “superata” la separazione tra lo Stato e la Chiesa, si apriva la stagione del Concordato. Pio IX e l'Immacolata Concezione, Leone XIII e il Sacro Cuore di Gesù, Pio X e la condanna del Modernismo, Benedetto XV e il Buon Pastore, Pio XI e i controversi Patti Lateranensi spiccano nei dipinti che adornano la navata richiamando alla memoria le ultime tentazioni neotemporali. Sopra il presbiterio l'arco trionfale illustra la Chiesa missionaria, la Conciliazione tra Chiesa e Stato, su cui sovrasta la figura del Cristo Re.

Risalta l'immagine di una Chiesa ancora Tridentina che vedrà il suo rinnovamento solo nel Concilio Vaticano II, di Giovanni XXIII e di Paolo VI.

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La Parrocchiale fu inaugurata nel 1930, un anno dopo i Patti Lateranensi.

Di Santena e del suo principale personaggio si faceva, come sempre, un gran parlare. Erano gli anni del regime fascista, dell'Impero, del corporativismo, del nazionalismo che pescava a piene mani nell'epopea risorgimentale e nel patriottismo scaturito dalla Grande guerra. Il neutralismo, la denuncia della “orrenda carneficina che disonora l'Europa”, il pacifismo di Benedetto XV erano ormai sommersi dall'aggressiva propaganda del regime. Fagocitata dal liberalismo, terrificata dal socialismo, la Chiesa non condannava il fascismo.

Nel 1929 vennero Federzoni e il ministro Rocco: portavano un ramo d'ulivo sulla tomba di Camillo. L'ulivo non simbolo di pace, spiegavano i gerarchi, ma emblema della pace romana.

Nel 1939, decennale del Concordato, Mussolini, “uomo della provvidenza”, si presentò a Santena. Romanamente salutò affacciandosi dal grande scalone della chiesa. Sognava il cattolicesimo nazionale, la Chiesa sembrava essersi piegata al suo volere.

Non era così, però faceva comodo pensarlo.

Davanti al Castello, il discendente di Camillo, Giovanni Visconti Venosta, antifascista e aventiniano, faceva gli onori di casa, ma in camicia bianca. Cavour veniva usato per glorificare il regime che vantava la chiusura della ferita aperta, il 20 settembre 1870, con la presa di Porta Pia. Bistrattato, strumentalizzato, in quei frangenti, pochi ricordavano le sue parole “Amico quant'altri mai della libertà religiosa la più estesa, io desidero ardentemente di veder giungere il tempo in cui sarà possibile praticarla da noi, quale essa esiste in America, mercè l'assoluta separazione che io reputo essere una conseguenti inevitabile del progresso e della civiltà e condizione indispensabile al buon andamento delle società rette dal principio di libertà”. C'erano la Costituzione americana e l'Alexis de Tocqueville de “La democrazia in America” e nulla dell'Illuminismo e del Giacobinismo.

I guasti e gli eccessi del nazionalismo segnavano drammaticamente la storia e molte personalità del primo Novecento. Sbagliava, di molto, il modernista don Romolo Murri, accusando Cavour di amare l'ideale della libertà, anziché l'ideale della nazione.

Quelli non erano tempi per certe sottigliezze. Solo a pronunciare la parola America si rischiava, al minimo, l'olio di ricino. Criticare la Chiesa era possibile. In particolare, quella parte minoritaria che guardava alla Chiesa universale, che non accettava l'avvilimento delle associazioni cattoliche e che osava disapprovare le leggi antiebraiche adottate nel 1938. L'Italia era fascista, gli Italiani dovevano essere fascisti prima che cattolici. Bisognava credere, ubbidire e combattere per la Patria fascista.

Il Duce, al culmine della popolarità, festeggiava gli straordinari risultati raggiunti.

Da lì a pochi mesi sarebbe iniziata l'orrenda avventura guerresca, sfociata nella divisione in due dell'Italia e culminata nella fine della dittatura, grazie alla lotta di Liberazione e all'intervento delle potenze straniere. Oggi, a ricordo di quel periodo, resta quel ramo d'ulivo fissato su una lastra di pietra serena. Impolverato e quasi dimenticato, in una stanza della Torre Viscontea, giace insieme alle corone che accompagnarono il funerale del più grande scomunicato della storia nazionale: Camillo Benso di Cavour.

A Santena, Stato e Chiesa sono separati ma vicini, legati ma distinti. Qui l'ideale di “Libera Chiesa, in libero Stato” è palpabile e visibile in tutta la sua complessa ricchezza ed attualità. Una sola porta, quasi nascosta, collega il castello alla chiesa. La chiave da decenni non gira più nella toppa.

Santena non finisce qui.

Dall'altra parte della piazza, in faccia alla chiesa, ci sono le scuole elementari “Camillo Cavour”. Sulla destra l'oratorio San Luigi, di impianto salesiano, racchiude un vasto cortile delimitato da una lunga costruzione su due piani, dotata di numerosi locali per l’attività associativa e di un comodo porticato. Lo completano il bar, il teatro parrocchiale, la palestra e i campi sportivi. A fianco, la scuola materna retta dalle suore. Un Oratorio imponente, tanto da poter ospitare per anni le classi della nascente scuola media statale, in attesa dell'edificazione della sede di via Tetti Agostino. Verso ovest il campo di calcio confina con l'Opera Pia Giuseppe Forchino, solida struttura socio-assistenziale in cui sono ricoverati un centinaio di anziani.

Dal campanile si vede la frazione di Tetti Giro. Più oltre le antiche cascine Broglia e Broglietta. Ancora più in là, il Gallè. Ainardo, il bistrattato nipote di Camillo, lo donò alla città di Torino perché istituisse un corso serale gratuito per gli operai della nascente industria chimica.

Tetti Giro, Avataneo, Gamenario sono terre di coltivatori, orticoltori per eccellenza.

Lì ci sono i ruderi del castello intorno al quale fu combattuta la battaglia tra ghibellini e guelfi, nel 1345. 

Volgendo lo sguardo verso sud, ecco la Trinità. I nuovi impianti sportivi confinano con i palazzi che incombono su spendide dimore private, settecentesche e ottocentesche, circondate dal borgo vecchio, tra il ponte e il quartiere.

Accanto c'è la Carolina, altra terra di coltivatori e di vecchi cascinali. Qui si allevano ancora le pioppelle che nel primo Novecento finivano sul mercato nazionale.

Tetti Busso porta all'aperta campagna, alle cascine di Luserna e all'ormai diroccata Lai. Da queste parti vive e si riproduce il rospo, Pelobate Fosco, specie anfibia protetta dall'Unione Europea.

Sulla circonvallazione troviamo, a sinistra, la scuola media e lo stadio comunale, a destra, Tetti Agostino e più oltre il castello di San Salva, con i suoi tre stagni allineati ed incastonati nel superbo parco.

Tornando sulla statale 29, la Torre dei Ponticelli osserva i milioni di passeggeri che all'anno transitano sulla Tangenziale. Pochi sanno che li riposò il Papa, Pio VII, nel suo viaggio verso Parigi per l'incoronazione imperiale di Napoleone I a Notre Dame.

Il Còrso tolse la Corona dalle mani del Papa e se la pose sulla testa, segnando la sua supremazia sul rappresentante della Chiesa Cattolica Romana.

Dopo i Ponticelli ecco la stazione di Cambiano-Santena, sulla grande linea cavouriana che collega Genova al Frejus e, soprattutto, il canale di Suez e il Mediterraneo al Nord Europa. Cavour, gettando lo sguardo dal finestrino, ricordava agli amici che li c'erano i suoi ricordi, che lì voleva essere sepolto.           

Ritornando verso Santena, s'incontrano Taggia e la sua storica chiesa, un tempo circondata dal cimitero.

Sulla piazza del mercato incombe il più imponente dei platani cavouriani, di una bellezza solida, simile ad una roccia incorruttibile nel tempo.

Case Nuove, sulla via Torino, è l'ingresso principale della città. Una scritta ricorda il passaggio del Duce.

Un tempo, poche case indicavano ai visitatori la tomba di Cavour al termine della discesa del Vignasso che conduce al centro città.

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Questa è Santena vista esteriormente.

Dentro le sue case, nei palazzi, nelle strade, sulle piazze vive una comunità in continua trasformazione.

Prima l'economia e la società erano agricole, poi si formò una forte componente commerciale. I suoi commercianti contavano parecchio nel mercato generale di Torino. Negli anni Sessanta del Novecento, l'industrializzazione cambiò radicalmente la società.

La comunità è solida, equilibrata, determinata. Intensa è la presenza di associazioni di volontariato, segno di un forte senso solidaristico e civico delle persone.

Nel Sessanta c'erano quattromila e poco più abitanti. Negli anni Settanta fu superata la soglia dei diecimila. Oggi, se si contano anche i non residenti, si tocca quota undicimila. Negli anni Cinquanta arrivarono i Veneti. Molti erano Friulani, alcuni Istriani fuggiti, anzi scacciati, nel clima di Guerra Fredda, dalla Jugoslavia di Tito. Negli anni Sessanta fu la volta dei Meridionali. L'Italia Unita si toccava con mano. Non erano i commilitoni del servizio militare di cui parlavano i soldati. Erano donne, uomini e bambini che arrivavano per lavorare, per studiare, per abitare, per costruire il loro futuro. Siciliani, Pugliesi, Lucani, Campani, Abruzzesi, Molisani, Sardi, Calabresi si stabilivano spinti dalla necessità, alla ricerca di sicurezza economica, attratti dalla Fiat e da quello che ci stava intorno.

Nel 1961 Santena visse giornate gloriose. Fu inaugurato il Museo cavouriano, allestito e curato dalla professoressa Maria Avetta. Il Castello, rimesso a nuovo, fu aperto al pubblico. Migliaia di persone, ogni mese, visitavano questi luoghi storici. I ristoranti erano colmi di avventori. Il commercio e i servizi erano in piena espansione. Ricorreva il centenario dell'Unità d'Italia.

Intorno crescevano grandi aziende che avrebbero creato migliaia di posti di lavoro.

Il boom che, insieme alla crescita, modificava il territorio, stravolgeva le abitudini, cambiava gli usi, i costumi, i tempi di vita.

Si costruiva l'autostrada Torino-Piacenza, bisognava anche completare in fretta la Tangenziale. Santena avrebbe avuto il suo svincolo sul crocevia.

I nuovi arrivati dovevano integrarsi nel contesto cittadino e comunitario. Erano gli anni delle Olimpiadi di Roma, di Italia 61, di Giovanni XXIII, di Kennedy, della Seicento, di Gagarin, di Togliattigrad, dei Beatles, dei Rolling Stones, della C.E.E., degli scioperi di massa, dello Statuto dei lavoratori, della minigonna, dei capelloni, della estesa scolarizzazione. L'uguaglianza sostituiva la tolleranza.

Nelle grandi imprese si lavorava l'uno accanto all'altro. La comunità aprì nuovi servizi, altri furono ampliati. Il progresso si sposava con la libertà e l'individualismo. La scuola svolse un ruolo primario. I costumi e i dialetti si fondevano ed integravano in un unico linguaggio creando una nuova musica. Le associazioni aprirono le porte ai nuovi arrivati inserendoli nelle loro attività solidaristiche. La Chiesa rese disponibile nell'oratorio, centro pulsante della sua attività, alla comunità più numerosa, i Calabresi, una cappella per la devozione dei santi Cosma e Damiano. L'oratorio, da allora, mantiene il suo carattere aperto, dinamico, inclusivo. La società lavorava per l'integrazione che si realizzava nelle famiglie, nel lavoro, nel volontariato, nei servizi, nelle istituzioni, nei partiti, nei sindacati, nei momenti di festa, nei sentimenti.

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Per questi motivi la comunità non ha una sola identità. Le molteplici identità formano un contesto ricco ed articolato frutto di somme, aggiunte, sottrazioni e cuciture scaturite dalle dinamiche economiche e sociali e dagli incontri e scambi succedutisi nel tempo. Una dote utile per affrontare le trasformazioni in corso.

Santena è sempre in travaglio, vivace, mai rinchiusa nel localismo, sempre protesa verso l'esterno. Oggi essa fa i conti con l'integrazione, in una situazione più complessa, di nuovi arrivati provenienti questa volta da altri Paesi e Continenti. Religioni e lingue diverse, usi e costumi differenti, status sociale ed economico destano interesse, curiosità ma anche allarme ed insicurezza. I luoghi e i momenti di integrazione sono più difficili e complicati da costruire. Più lentamente rispetto al passato, il sommovimento della inclusione si è comunque messo in moto, nell'ambito dell'economia domestica, nel settore delle costruzioni, in altre attività produttive, nei sentimenti, a livello culturale, politico e sociale.

E' storia recente, nella quale si fanno i conti con il processo di mondializzazione dell'economia, della politica e delle religioni.

Ridimensionate o scomparse le grandi imprese, restano aziende solide di medie dimensioni che operano nei settori dell'alimentare, dei laterizi, dell'auto, della meccanica, della chimica, del terziario accanto a numerose e operose piccole aziende.

L'agricoltura, sempre più specializzata, svolge ancora un ruolo attivo nel sistema dell'economia locale.

Santena è sempre più un crocevia percorso da forze dinamiche. Collocata, in un avamposto, tra l'area della metropoli torinese che avanza, e la campagna dell'agro poirinese ormai investita da fenomeni di conurbazione, è come sospesa, in attesa di ciò che accadrà. Essa avverte l'esigenza di qualificare il suo microcosmo per definirne i confini e per orientare le proprie scelte, cosciente che molto dipende da se stessa e tanto da altri fenomeni che da sola non può governare.

La città e la sua comunità stanno transitando da una fase in cui i fenomeni succeduti hanno costruito una forma compiuta, verso un periodo in cui dovranno ridefinire una nuova forma. Da qui deriva il suo costante interrogarsi.

La città deve fare i conti con un traffico che da una parte crea problemi, ma dall'altra porta nuove energie e risorse.

La vocazione industriale, commerciale, agricola, favorite dalla collocazione geografica, fanno sperare in un futuro all'insegna dello sviluppo e del benessere. La vocazione turistica, affermata negli anni Sessanta del Novecento, oggi può essere riproposta su nuove basi legando il patrimonio storico, artistico, paesaggistico, gastronomico all'interesse culturale di questo sito di interesse internazionale.

Santena è ad un bivio della sua storia.          

Oggi, in piena mondializzazione, essa affronta il futuro poggiando su ciò che è stato costruito nel recente passato. La comunità dovrà definire, per quanto possibile, la propria sorte mettendo in gioco le vere risorse di cui dispone: il territorio, la cultura, la storia, la società, l'economia e le istituzioni.

Sulla base della sua collocazione nella geografia economica e sociale dell'area, Santena deve decidere qual è il migliore impiego della porzione di terra di cui dispone.

Le future generazioni valuteranno se le caratteristiche e la forma assunta saranno accettabili o meno. I posteri, fotografando e leggendo il luogo in cui vivranno, emetteranno il giudizio su ciò che è stato loro trasmesso.


Tratto da: "Santena" di Carlo Avataneo (testi di Gino Anchisi), 2006

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