Ginevra


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“… la considero come una seconda Patria…” scriveva Camillo Cavour al Professor Michele Ferrucci nell’agosto del 1836[1]. In realtà era ben di più. Provava un amore smisurato per la città in cui erano nate la mamma, Adele de Sellon e le zie Vittoria e Enrichetta, in cui viveva lo zio Jean Jacques, il pacifista e filantropo estimatore di Cesare Beccaria. Qui risiedevano i cugini De La Rive, Augusto e suo figlio William, l’autore di “Le Comte de Cavour” uscito a puntate, nel 1862, poco dopo la scomparsa del Contadino-Tessitore, sulla “Bibliothèque Universelle”[2]. Camillo era ben introdotto nella società. Con amici e parenti tenne continui rapporti epistolari e personali discutendo dei cambiamenti in corso nella società svizzera, italiana, europea e mondiale. Lunghi e frequenti sono stati i suoi soggiorni. Appena si presentava l’occasione, come dopo la Pace di Villafranca e le conseguenti dimissioni da Primo Ministro, Cavour si recò, dopo aver soggiornato a Leri, nell’adorata Ginevra, dove attese l’inevitabile richiamo di Re Vittorio Emanuele II.

Essere mezzo ginevrino, di famiglia calvinista, fin da bambino l’aveva proiettato nella dimensione continentale che ha caratterizzato la sua azione politica. La città di Calvino era la palestra che teneva allenata la sua mente. Un moderno laboratorio politico-culturale in cui agivano nuovi interessi, sostenuti dai ceti emergenti capaci di modificare la società. Il luogo di una libertà sconosciuta a Torino che l’aiutò a superare i pregiudizi religiosi tra cattolici, calvinisti, ebrei e protestanti. La terra aldilà della barriera alpina che si raggiungeva dal Passo del Gran San Bernardo su scomode, lente, pericolose carrozze. O dal Sempione, da cui passò, in incognito, nel luglio 1858 per raggiungere Napoleone III a Plombières Les Bains, dove fu decisa l’alleanza contro l’Austria.

Ginevra era il ponte proiettato sull’Europa, collegato direttamente con Parigi e le capitali del Nord. I signori Circourt, Adolphe e Anastasie, residenti a Ginevra e Parigi, erano il tramite diretto tra Camillo Cavour e Alexis de Tocqueville, l’autore de ”la Democrazia in America”.

Straordinario il rapporto con lo zio Jean Jacques. Per gli stimoli intellettuali e per le referenze che questo filantropo, impegnato contro la pena di morte e la tortura e fondatore della Società della Pace[3], era in grado di fornirgli per rendere più fruttuosi i suoi viaggio di studio all’estero. L’ambiente culturale, famigliare e sociale permise al cadetto della famiglia Benso di confrontarsi apertamente con suggestioni illuministe, reazionarie, progressiste, conservatrici, innovatrici, monarchiche, repubblicane, calviniste, cattoliche, filantropiche e cosmopolite che caratterizzarono il periodo Napoleonico, la Restaurazione e il Risorgimento.

Questo coacervo di sollecitazioni è alla base della personalità di colui che, insieme ai suoi contemporanei, ha dato il più alto contributo al processo culminato con l’Unità d’Italia e all’inserimento della Penisola nella politica internazionale.

Autore Gino Anchisi

[1] Epistolario (1815-1840), Volume Primo, pag. 266. l.150.

[2] William De La Rive. Il Conte di Cavour, racconti e memorie con introduzione di Carlo Pischedda. Riedizione a cura dell’Associazione Amici della Fondazione Camillo cavour di Santena. 2003.

[3] Oggi ONU con sede a Ginevra.