Tesi di di MATTEO BONIELLO - La mobilitazione reazionaria e il processo anticlericale nel Regno di Sardegna di metà ʼ800


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Scuola di Scienze umanistiche

Dipartimento di Studi Storici

Corso di Laurea in Scienze Storiche

Tesi di Laurea

La mobilitazione reazionaria e il processo anticlericale nel Regno di Sardegna di metà ʼ800

Relatore: Prof. Pierangelo Gentile

Candidato: Matteo Boniello

Matricola: 898429

Anno accademico 2022/2023

divisore 4

Indice

Introduzione

Il contesto politico all’interno del Piemonte di metà ʼ800 e la lotta culturale

Il Piemonte e la politica religiosa: le leggi Siccardi e l’inizio dello scontro.

Cavour, la sua idea di religione e i punti di contatto con il liberalismo subalpino.

La galassia reazionaria: la difesa della religione al primo posto.

L’obiettivo del matrimonio civile

L’accoglienza della proposta di legge.

Lo scontro politico e dottrinario, la mobilitazione reazionaria contro il progetto laicistico.

L’intervento di Pio IX e la battuta d’arresto dei laicisti.

La legge sui conventi, il punto di svolta

Le distinte posizioni.

La battaglia culturale e la controffensiva clericale.

Gli ostruzionismi finali, gli strascichi con le istituzioni e la sconfitta politica dei tradizionalisti.

Conclusioni

Fonti

Sitografia

Bibliografia

divisore 4

Introduzione

Obiettivo del presente lavoro è quello di fornire un quadro complessivo e documentato del processo di maturazione anticlericale svoltosi all’interno del Regno di Sardegna alla metà del XIX secolo e, in modo, particolare, di quella che è stata la mobilitazione culturale, politica e sociale del variegato fronte tradizionalista che subì e si oppose a tale fenomeno. L’interesse del sottoscritto nell’affrontare una tale tematica nasce dal fatto che, per quanto non siano mancate con il passare degli anni le trattazioni scientifiche sul contesto reazionario degli Stati italiani preunitari, l’area culturale, politica e sociale tradizionalista piemontese abbia ricevuto un’attenzione inferiore ad altre componenti politiche che segnarono la realtà sabauda della metà del XIX secolo. Siccome il fronte clericale e anti-liberale, secondo l’autore della presente ricerca, non può essere ridotto alla sua rappresentanza politica e parlamentare, che pure è da tenere certamente in considerazione, si è cercato di approfondire anche la sua realtà culturale e giornalistica, prendendo in analisi la produzione dell’«Armonia» e della «Campana» (dal 1854 la denominazione del foglio mutò in «Campanone»), che furono in prima linea nella difesa delle consuetudini giurisdizionali del Regno sabaudo. Inoltre, la presente trattazione ha tentato di fornire un quadro complessivo della mobilitazione del clero subalpino, dell’episcopato in particolar modo, che subì il processo politico iniziato nel 1848, con la concessione dello Statuto e la promulgazione della legge antigesuitica proposta dal parlamentare Sineo, e che mise in atto una controffensiva nei confronti della classe dirigente liberale del Regno di Sardegna. Si approfitta dello spazio introduttivo per specificare che i termini «reazionario», «tradizionalista» e «clericale» sono stati utilizzati sempre come sinonimi in questo lavoro.

In ogni caso, per quanto sia stata posta una particolare attenzione su quella che nella presente trattazione è stata definita la «galassia» reazionaria, non è stato escluso un approfondimento sulle posizioni in merito della stampa liberal-progressista, analizzando la produzione giornalistica della «Gazzetta del Popolo», la quale svolse un ruolo da vero e proprio pungolo circa il processo anticlericale portato avanti dalla classe dirigente post-1848. Inoltre, è stato dedicato un ampio spazio alle posizioni del conte Camillo Benso di Cavour - anche in relazione con i punti di vista di altre figure del liberalismo subalpino come Giuseppe Siccardi e Massimo d’Azeglio, in merito alla tematica religiosa e alla politica ecclesiastica - in quanto la figura del conte è stata indubbiamente la più rappresentativa del liberalismo piemontese. Non per questo tale lavoro, invero, ha l’intenzione di sminuire il ruolo che ebbero le altre personalità del liberalismo del Regno di Sardegna nel fornire sviluppo al processo anticlericale di metà Ottocento, ma si è voluto dedicare un’importante parte del lavoro al profilo politico-religioso del conte perché fu la sua figura che apparse, con un livello variabile, nelle varie tappe e nei diversi momenti di questo fenomeno politico e che si rivelò più abile nel sapersi destreggiare nelle frastagliate intelaiature e crisi governative che si presentarono nel corso degli anni. In particolare, questa scelta metodologica è stata fatta per sottolineare, per contro, come la galassia reazionaria, se riuscì sì ad esprimere personalità di notevole livello culturale e dottrinario, giornalisti dotati di una penna pungente e incisiva ed ecclesiastici capaci di utilizzare le proprie relazioni istituzionali al fine di influenzare il percorso politico sabaudo, non riuscì, però, a partorire una figura politica di un livello tale da influenzare il corso politico del Regno di Sardegna quanto fece, invece, Camillo Cavour.

Il percorso anticlericale che si sviluppò nei territori sabaudi iniziò fra il 1848 e il 1850. In questo arco di tempo fu proclamato lo Statuto albertino - che sanciva varie concessioni giuridiche a valdesi ed ebrei - approvata la legge Sineo - che sopprimeva l’ordine gesuita nei territori del Regno - promulgate le leggi Siccardi, le quali andarono a erodere la secolare autonomia della Chiesa cattolica subalpina. Già nel 1850, invero, il contesto reazionario subalpino mise in campo le proprie energie per contrastare il progetto separatistico, che pur presentava notevoli influenze di carattere giurisdizionalistico, della classe dirigente liberale. Il punto di riferimento della mobilitazione reazionaria fu l’arcivescovo di Torino Luigi Fransoni, il quale, invero, aveva avuto modo di scontrarsi con le autorità civili già in occasione della soppressione dell’ordine gesuita nei territori del Regno di Sardegna nel 1848. Due anni dopo, nel 1850, come testé riportato, Fransoni dovette cimentarsi nuovamente con la politica ecclesiastica dei liberali subalpini e l’arcivescovo dette indicazioni al clero di non rispettare le disposizioni delle leggi Siccardi, andando incontro all’arresto. All’arcivescovo tale esperienza toccò ancora qualche tempo dopo, il 7 agosto 1850, per essersi rifiutato di autorizzare il sacramento dell’estrema unzione al morente ministro liberale Pietro De Rossi di Santarosa. Dopo quest’arresto seguirono la traduzione del religioso a Fenestrelle e, in seguito, l’espulsione dai territori sabaudi.

Lo scontro con il contesto cattolico e reazionario proseguì con la battaglia politica relativa all’introduzione del matrimonio civile nel 1852, che si concluse con il voto contrario del Senato e, di conseguenza, il suo affossamento. I tradizionalisti, d’altra parte, criticarono aspramente il governo liberale per il fatto di andare a intaccare un importante sacramento cristiano come il matrimonio, nel momento in cui lo Statuto promulgato nel 1848 considerava il cattolicesimo la religione di Stato del Regno di Sardegna. I fatti del 1852, con la caduta del governo presieduto da Massimo d’Azeglio, e l’intervento diretto di papa Pio IX, segnarono l’interruzione del processo anticlericale, ma, al tempo stesso, contribuirono ad acutizzare e inasprire il clima politico già molto polarizzato. Il lavoro, infine, si conclude con un’analisi degli eventi legati alla legge sui conventi presentata alla Camera nel novembre del 1854. La legge, che prevedeva la soppressione di varie corporazioni religiose, fu duramente avversata dai politici reazionari, dai fogli tradizionalisti e dall’episcopato cattolico. Nella percezione della galassia reazionaria era sempre più consolidata l’idea che ciò che stava avvenendo all’interno dei territori sabaudi fosse un vero e proprio attacco nei confronti dei vari corpi organizzati del cattolicesimo. La legge, nonostante i tentennamenti del monarca, fu poi promulgata e segnò la conclusione di questo processo politico sviluppato dalla classe dirigente liberale del Regno. Oltre al lavoro sulle fonti giornalistiche già accennate, nello svolgimento della ricerca è stata visionata e analizzata la documentazione presente nel fondo «Carte Ghilardi», situato all’interno dell’Archivio diocesano di Mondovì. Tale fonte archivistica si è rivelata particolarmente importante per analizzare il ruolo del vescovo Ghilardi di oppositore al processo liberale e anticlericale e la mobilitazione a difesa del ruolo pubblico della Chiesa cattolica della rete episcopale subalpina. La maggior parte delle informazioni reperite all’Archivio diocesano di Mondovì sono situate nell’ultima parte della ricerca.

divisore 4
Il contesto politico all’interno del Piemonte di metà ʼ800 e la lotta culturale

Il Piemonte e la politica religiosa: le leggi Siccardi e l’inizio dello scontro

Il ritorno dei Savoia a Torino, in seguito alla fine della vicenda napoleonica, significò anche una significativa ripresa delle attività del cattolicesimo locale, che vide il ritorno del casato reale come un segno divino1. Inoltre, con l’età carloalbertina (1831-1849)2 si verificò anche una dilatazione del sacro nella cultura cittadina della capitale3. Ciò, ad esempio, è dimostrato dal moltiplicarsi dell’iconografia religiosa all’interno dei contesti domestici, tant’è vero che a pittori come Pietro Ayres e Francesco Gonin venivano commissionati quadri a soggetto religioso da parte di membri della corte e del patriziato4, mentre famiglie borghesi e artigiane acquistavano quadretti ad olio che rappresentavano la Consolata, l’Addolorata, san Michele arcangelo, san Rocco, l’Angelo custode, sant’Anna, la Sacra Famiglia e san Giuseppe5. Aspetto che dal punto di vista religioso e sociale caratterizzò l’età carloalbertina fu, d’altra parte, il tentativo di riportare all’efficienza passata le confraternite di arti e mestieri aventi finalità devozionali e assistenziali6. Tale rivitalizzazione, però, stentò a decollare, poiché il mondo dei mestieri ormai proseguiva sempre più verso una secolarizzazione delle sue forme organizzative, procedeva con il privatizzare o, comunque, con lo accantonare i sentimenti religiosi personali; a loro volta gli scopi assistenziali, già propri

1 Cfr. U. Levra, (a cura di), Storia di Torino VI. La città nel Risorgimento (1798-1864), Einaudi, Torino 2000, pp. 493-495.

2 Carlo Alberto (1798-1849) fu il monarca del Regno di Sardegna che successe nel 1831 a Carlo Felice. Cfr. G. Talamo, Carlo Alberto, re di Sardegna, Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 20, 1977, https://www.treccani.it/enciclopedia/carlo-alberto-re-di- sardegna_%28Dizionario-Biografico%29/.

3 Cfr. U. Levra, (a cura di), Storia di Torino VI cit., p. 504; per un maggiore approfondimento dell’età carloalbertina si veda: N. Nada, Storia del Regno di Carlo Alberto dal 1831 al 1848: dallo stato assoluto allo stato costituzionale, Comitato di Torino dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, Torino 1980.

4 Cfr. U. Levra, (a cura di), Storia di Torino VI cit., p. 504.

5 Ibid.

6 Ivi, p. 505.

delle confraternite e corporazioni, vennero assorbiti dalle società di mutuo soccorso; finalità residua rimase quella devozionale che, in quest’epoca di religiosità più universalistica, tese a diluire l’importanza data un tempo al proprio santo protettore7. Infine, non mancava nemmeno un notevole infoltimento del clero, a cui contribuì l’arrivo a Torino di religiosi e religiose provenienti in particolar modo dalla Francia, come le Suore della carità, le Giuseppine, le Suore della Provvidenza e di Sant’Anna, quelle del Buon Pastore e le altre dell’Adorazione perpetua, i Fratelli delle scuole cristiane8. Questo contesto di rilievo del clero cattolico, a dimostrazione con l’esempio della diffusione del sacro nella realtà torinese, iniziò, però, a mutare profondamente con il 1848, anno che, attraverso la promulgazione dello Statuto albertino e la successiva legislazione di quell’anno, rappresentò l’inizio dell’importante cambiamento istituzionale, politico, culturale e, se si vuole, spirituale che avvenne all’interno del Regno di Sardegna.

Se è stato affermato che con la proclamazione dello Statuto, avvenuta l’8 febbraio 1848, si era comunque mantenuto il carattere confessionale dello Stato, seppur con la tolleranza degli altri culti, ciò non sembra poi così veritiero alla luce della successiva legislazione di quell’anno. Già il 17 febbraio, infatti, il sovrano concesse le Lettere Patenti n. 673, con cui vennero concessi ai Valdesi la totalità dei diritti civili e politici9, cominciando quindi a erodere quello spazio di importanza pubblica che veniva prima riservato al cattolicesimo. Questa tendenza a porre su un piano egualitario il peso pubblico delle varie realtà confessionali presenti nel Regno proseguì nella primavera di quell’anno. Infatti, il 29 marzo un regio decreto ammise gli ebrei al godimento dei diritti civili e alla possibilità di conseguire i gradi accademici; a ciò seguì, il 15 aprile, la loro ammissione alla leva militare10.

7 Ibid.

8 Ivi, p. 507.

9 Cfr. A. Pennini, La religione nello Stato. Aspetti della normativa in materia ecclesiastica dal Regno di Sardegna all’Unità d’Italia, in L. Scaraffia (a cura di), I cattolici che hanno fatto l’Italia. Religiosi e cattolici piemontesi di fronte all’unità d’Italia, Lindau, Torino 2011, p. 28; https://www.chiesavaldese.org/aria_cms.php?page=32.

10 Cfr. A. Pennini, La religione nello Stato cit., p. 28.

Questa tendenza, che si rifletteva, infatti, anche sul piano legislativo, veniva avvertita con particolare preoccupazione da parte della Chiesa, dall’episcopato in particolar modo. L’allora vescovo di Mondovì Giovanni Ghilardi11, ad esempio, si mostrava ampiamente preoccupato di questa dinamica, al punto da scrivere un promemoria in merito, risalente al 3 aprile 1848, diretto a Pio IX12. L’idea del vescovo monregalese era che la concessione dei diritti civili ai valdesi13 e agli ebrei fosse qualcosa di dannoso al cattolicesimo e, pertanto, riteneva che sarebbe stato proficuo che il pontefice intercedesse presso Carlo Alberto, allo scopo di far valere le ragioni del clero locale14. La posizione di Ghilardi in merito era che la giurisdizione ecclesiastica in Piemonte fosse notevolmente minacciata15.

Culmine di questo processo laicizzante fu, in giugno, la presentazione al parlamento subalpino e l’approvazione della legge per i diritti politici e civili dei non cattolici16, ad opera del deputato Riccardo Sineo17. L’obiettivo ben preciso della legge era quello di armonizzare le norme sull’elettorato con le disposizioni circa il godimento dei diritti politici da parte dei non cattolici18; la legge, alla fine, dopo essere stata approvata prima alla Camera e poi al Senato, venne emanata il 19 giugno:

Volendo togliere alcun dubbio sulla capacità civile e politica dei cittadini, che non professano la Religione cattolica, Il Senato, e la Camera dei Deputati hanno adottato,

11 Giovanni Ghilardi, in religione Tommaso, (1800-1873) fu vescovo della sede episcopale di Mondovì dal 1842 sino al 1873, anno della sua morte. Ghilardi, il cui nome ricomparirà ampiamente nel corso di questa trattazione, sosteneva tesi in aperto contrasto con il processo di secolarizzazione istituzionale portato avanti dal liberalismo piemontese. Cfr. G. Griseri, Giovanni Ghilardi, DBI, vol. 53, 2000, https://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-ghilardi_%28Dizionario-Biografico%29/.

12 Archivio della Diocesi di Mondovì, Carte Ghilardi, Cartella 31, Corrispondenza con il Papa 1843-1873, Promemoria di mons. Ghilardi al papa, 3 aprile 1848.

13 Nel promemoria di Ghilardi vengono definiti semplicemente “protestanti”.

14 ADM, Carte Ghilardi, Cartella 31, Corrispondenza con il Papa 1843-1873, Promemoria di mons. Ghilardi al papa, 3 aprile 1848, recto e verso.

15 Ivi, verso.

16 Cfr. A. Pennini, La religione nello Stato cit., p. 28.

17 Cfr. Frédéric Leva, Riccardo Sineo, DBI, vol. 92, 2018, https://www.treccani.it/enciclopedia/riccardo-sineo_%28Dizionario-Biografico%29/.

18 Cfr. A. Pennini, La religione nello Stato cit., p. 28.

Noi in virtù dell’autorità delegataci abbiamo ordinato quanto segue:

Art. unico. La differenza di culto non forma eccezione al godimento di diritti civili e politici, ed all’ammissibilità alle cariche civili e militari19.

La legge incoraggiava, dunque, un'interpretazione egualitaria, anche in materia religiosa, del diritto vigente, costituendo, così, un argine importante nei confronti di una lettura troppo estensiva della clausola della «sola religione dello Stato»20.

La classe dirigente piemontese dell’epoca, però, non si limitò a porre sullo stesso piano, per lo meno dal punto di vista legislativo, le varie confessioni religiose presenti nel Regno, ma cominciò ad intraprendere anche, sempre nel corso del 1848, un attacco diretto alla Chiesa cattolica. La legislazione ecclesiastica del Piemonte, infatti, arrivò a restringere lo spazio del cattolicesimo con il decreto legislativo del 25 agosto 1848 sulla soppressione della Compagnia del Gesù nei territori regi21. L’iter parlamentare era cominciato per iniziativa del deputato genovese Cesare Leopoldo Bixio22, che presentò l’8 giugno alla Camera il progetto di legge, composto di un solo articolo:

La Compagnia di Gesù, come incompatibile con gli attuali ordinamenti civili e politici, è dichiarata per sempre non ammissibile nello Stato23.

Nella visione del deputato genovese i gesuiti, infatti, venivano percepiti come un elemento di disturbo dell’ordine pubblico, oltre che realtà disgregatrice

19 Ivi, pp. 31-32.

20 Cfr. F. Campobello, Gli enti ecclesiastici nell’Italia liberale: strategie politiche e normativa tra “escalation” e tentativi di “riconciliazione”, in “Stato, Chiese e pluralismo confessionale”, 4 maggio 2015, p. 10.

21 Cfr. A. C. Jemolo, Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni, Einaudi, Torino 1952, p. 75.

22 Cesare Leopoldo Bixio (1799-1863) fu un politico genovese di idee progressiste e anticlericali, eletto deputato del parlamento subalpino in occasione della consultazione politica del 27 e 28 aprile del 1848. Cfr. B. Di Porto, Cesare Leopoldo Bixio, DBI, vol. 10, 1968, https://www.treccani.it/enciclopedia/cesare-leopoldo-bixio_%28Dizionario- Biografico%29/.

23 Cfr. A. Pennini, La religione nello Stato cit., p. 34.

della concordia statuale, in quanto difensori dell’ordine politico nato dalla Restaurazione.24 Pertanto, si può bene comprendere come lo scopo della soppressione, più che amministrativo ed economico, fosse soprattutto di carattere politico, per via dell’importante peso politico della Compagnia, dell’importante ruolo all’interno dell’amministrazione dello Stato e delle posizioni di rigorosa fedeltà al pontefice di Roma25. Sin da subito l’ala radicale del parlamento subalpino prese il sopravvento nel dibattito, tant’è che anche al conte Camillo Benso di Cavour, pur favorevole al provvedimento e ostile alla Compagnia, gli venne respinto un emendamento contro l’espulsione di alcuni gesuiti russi e polacchi condannati dall’imperatore russo26. L’iter legislativo proseguì e la legge venne approvata il 21 luglio alla Camera con una maggioranza schiacciante: 109 voti favorevoli e 24 contrari27. Tre giorni dopo la legge approdò al Senato, ma non venne mai discussa, poiché un mese più tardi, sotto la spinta dell’anticlericalismo piemontese, il luogotenente Eugenio di Savoia emanò il decreto di espulsione della Compagnia28. I beni dell’ordine vennero destinati all’istituzione ed alla manutenzione dei collegi nazionali; i gesuiti non regnicoli dovevano lasciare lo Stato entro quindici giorni, mentre i regnicoli avrebbero dovuto, negli otto giorni dalla pubblicazione della legge, fare di fronte all’autorità di polizia una dichiarazione di determinato e fisso domicilio29. La legge, tentando di eliminare una realtà ecclesiastica avvertita come un pericolo dalla classe dirigente sabauda, si andava a porre in contrasto con i principi di libertà associativa, di riunione e di proprietà che venivano difesi nei sistemi liberali30. I gesuiti difendevano apertamente l’ordine politico impresso dalla Restaurazione e le loro posizioni dottrinarie, a Torino,

24 Ibid.

25 Cfr. F. Campobello, Gli enti ecclesiastici nell’Italia liberale cit., p. 11.

26 Cfr. A. Pennini, La religione nello Stato cit., p. 35.

27 Ivi, p. 36.

28 Cfr. A. Pennini, La religione nello Stato cit., p. 36.

29 Cfr. A. C. Jemolo, Chiesa e Stato in Italia cit., p. 76.

30 Cfr. A. Pennini, La religione nello Stato cit., pp. 36-37.

collimavano con quelle sostenute dall’arcivescovo Luigi Fransoni31. Questi quell’anno aveva impedito ai seminaristi di portare la coccarda tricolore e di partecipare alle agitazioni patriottiche32. Nonostante queste indicazioni poste dall’arcivescovo, si verificarono comunque violazioni nel seminario e monsignor Fransoni fu costretto alla chiusura33. Queste posizioni presenti all’interno del clero avevano infatti provocato a Torino nel corso del 1848 manifestazioni di piazza contro i gesuiti, Luigi Fransoni e tutto quel contesto ecclesiastico schierato sulle medesime posizioni. Istanze antigesuitiche, pertanto, facevano breccia anche all’interno del mondo cattolico e una delle personalità che, dall’interno del cattolicesimo, portavano avanti la polemica antigesuitica era Vincenzo Gioberti. Il filosofo piemontese, infatti, con i testi

«Prolegomeni del Primato» (1845) e il «Gesuita moderno» (1846-1847) arrivava a intravedere nel gesuitismo, oltre che una categoria morale opposta al cattolicesimo, la vera e propria fonte di maggiore opposizione ai valori specifici della civiltà moderna34. L’abate piemontese, inoltre, riteneva che il cattolicesimo romano necessitasse di una vera e propria riforma religiosa, in modo che esso si potesse coniugare con i principi della modernità occidentale e, di conseguenza, fungesse da stimolo e da propulsore al processo di unificazione politica della penisola italiana35. Queste tesi di Vincenzo Gioberti, come fu autorevolmente rilevato dal padre gesuita Carlo Maria Curci36, allora in forte polemica con il religioso piemontese, si ponevano, di fatto, in sintonia con quelle di

31 Luigi Fransoni (1789-1862) fu arcivescovo di Torino fra il 1832 e il 1862. Cfr. G. Griseri, Luigi Fransoni, DBI, vol, 50, 1998, https://www.treccani.it/enciclopedia/luigi- fransoni_%28Dizionario-Biografico%29/.

32 Cfr. U. Levra, (a cura di), Storia di Torino VI cit., p. 512.

33 Cfr. T. Chiuso, La Chiesa in Piemonte dal 1797 ai giorni nostri, Vol. III, Tipografia Giulio Speirani e Figli, Torino 1888, pp. 222-226.

34 Cfr. F. Traniello, Religione cattolica e Stato nazionale. Dal Risorgimento al secondo dopoguerra, il Mulino, Bologna 2007, p. 77.

35 Cfr. Ivi, p. 78.

36 Carlo Maria Curci (1810-1891) fu un religioso gesuita e intorno alla metà del diciannovesimo secolo fu una voce autorevole che, nel dibattito teologico interno al cattolicesimo, si pose in contrasto con le tesi riformistiche di Gioberti. Infatti, già nel 1845 egli pubblicò a Imola «Fatti ed argomenti in risposta alle molte parole di Vincenzo Gioberti intorno ai Gesuiti». Cfr. G. Martina, Carlo Maria Curci, DBI, vol. 31, 1985, https://www.treccani.it/enciclopedia/carlo-maria-curci_%28Dizionario-Biografico%29/.

Sismondi37 circa la morale cattolica come causa della decadenza italiana38. Le tesi antigesuitiche di Gioberti, d’altra parte, avevano visto opporsi in prima linea anche la galassia del clero locale piemontese. Monsignor Tommaso Ghilardi, infatti, stilò un promemoria, datato al febbraio del 1848, da inviare al papa affinché costui prendesse una pubblica posizione contro le asserzioni giobertiane. Il vescovo di Mondovì, allora, era particolarmente preoccupato dagli effetti negativi che le opere dell’abate torinese avrebbero potuto produrre nei confronti della Compagnia del Gesù. Questi erano i concetti che monsignor Ghilardi voleva che Pio IX esponesse:

Che gli duole al cuore di vedere la Compagnia bersaglio di tanto odio, e sappia chiunque che chi ama il S. Padre deve amare necessariamente come il S. Collegio i Vescovi e tutto il Clero Secolare così pure tutti gli ordini regolari che egli ama teneramente, e che chi offende qualunque de’ Ministri d Dio offende e addolora il paterno Suo cuore39.

Inoltre, Ghilardi riteneva che fosse utile che a Roma si costituisse una commissione apposita, composta da personale cardinalizio, che contrastasse la propaganda antigesuitica:

Che a questo fine il S. Padre avrebbe creata una Commissione Speciale di Signori Cardinali persuaso che ciò mediante sarebbero cessate le persecuzioni e nessuno avrebbe più osato di prevenire il giudizio della S. Sede nel promuovere a danno della Compagnia e di qualunque altra religiosa Congregazione, spettando unicamente alla medesima che le approvò di emettere giudizio intorno alle loro utilità alle loro riforme40.

37 Jean Charles Léonard Simonde de Sismondi (1773-1842) fu uno storico, letterato ed economista svizzero. Cfr. Dizionario di Storia, 2011, Jenan Charles-Léonard Simonde de Sismondi, https://www.treccani.it/enciclopedia/jean-charles-leonard-simonde-de- sismondi_%28Dizionario-di-Storia%29/.

38 Cfr. F. Traniello, Religione cattolica e Stato nazionale cit., p. 78.

39 ADM, Carte Ghilardi, Cartella 31, Corrispondenza con il papa 1843-1873, Promemoria di mons. Ghilardi al papa affinché intervenga sui nefasti risultati che le opere del Gioberti hanno avuto nei confronti dei Gesuiti e si sottolinea l’importanza di far riferimento alla lettera scritta al papa dal generale dei Gesuiti, recto.

40 Ivi, verso.

Questi appunti del vescovo piemontese, di conseguenza, dimostrano come le posizioni filo-gesuitiche, in opposizione a quelle del piemontese Gioberti, non fossero estranee all’interno dell’episcopato subalpino. Dalle parole testé riportate è possibile intuire che Ghilardi, d’altra parte, già avvertisse il pericolo, che si sarebbe riproposto anche negli anni successivi, di debolezza delle congregazioni religiose all’interno del processo di laicizzazione.

Successivo capitolo, forse il più lacerante e imponente, che chiude questa prima fase di lacerazione fra la Chiesa e il Regno di Sardegna a metà ʼ800, è quello relativo all’istituzione nel 1850 delle leggi Siccardi.

Nel 1850 il contesto politico sabaudo inizia a presentare una polarizzazione politica che andrà in crescendo nel corso del tempo. Infatti, in seguito agli eventi legati alla Prima guerra d’indipendenza svoltasi fra il 1848 e il 184941, il grande bivio che si pose sulla strada della classe dirigente sabauda fu se portare avanti o interrompere il processo liberal-costituzionale iniziato con lo Statuto nel marzo del ʼ4842. La questione, inoltre, andava più nel particolare a comprendere anche i rapporti tanto con il clero locale quanto con la stessa Santa Sede. Infatti, per quanto concerneva la normativa in materia ecclesiastica, il governo liberale43 doveva confrontarsi per un lato con una sinistra dalle tendenze repubblicane che chiedeva con forza la rottura con Roma; per un altro versante il governo aveva il compito di fronteggiare una destra conservatrice che, se non desiderava necessariamente il ritiro dello Statuto, certamente presentava l’aspirazione a un ritorno al dettato costituzionale puro, puntando all’abrogazione delle leggi che erano state emanate successivamente in materia religiosa44. La presenza di ministri come Pietro Paleocapa

41 Cfr. G. Pécout, Il lungo Risorgimento. La nascita dell’Italia contemporanea (1770- 1922), Bruno Mondadori, Milano-Torino 1999, pp. 133-149.

42 Cfr. A. Pennini, La religione nello Stato cit., p. 37.

43 Presidente del consiglio nel 1850 era Massimo d’Azeglio (1798-1866), il quale ricoprì tale carica fra il 1849 e il 1852. Cfr. W. Maturi, Massimo Taparelli d’Azeglio, DBI, vol. 4, 1962, https://www.treccani.it/enciclopedia/massimo-taparelli-d-azeglio_%28Dizionario- Biografico%29/.

44 Cfr. A. Pennini, La religione nello Stato cit., p. 37.

e Pietro De Rossi di Santarosa garantì, comunque, un predominio politico della fazione politica liberale45.

Questo era il contesto politico nel quale dovette operare, fra l’altro, il nuovo sovrano del Regno di Sardegna Vittorio Emanuele II, re dal marzo del 1849. Vittorio Emanuele, dal punto di vista politico e dottrinario, era allora una figura distante dallo spirito del liberalismo ed aveva vissuto a stretto contatto con personalità per cui la persona del sovrano, non certamente lo Statuto, veniva considerata al di sopra di tutto46. Tali erano figure della corte sabauda degli anni ʼ40, come il marchese Costa de Beauregard, il conte di Bricherasio, il conte de Foras, il conte Lazari e il conte Robilant47. Come emerge da un colloquio tenutosi nel dicembre 1849 fra l’ambasciatore austriaco Apponyi e il sovrano, Vittorio Emanuele era in quel momento profondamente avverso ai rifugiati politici presenti sul territorio sabaudo e a tutto il contesto politico liberal-democratico48. Costoro venivano avvertiti come qualcosa di destabilizzante e nocivo per lo Stato, mentre le componenti sociali sulla cui devozione alla Casa Reale non c’era da dubitare erano il popolo delle campagne e l’esercito49. Se è difficile stabilire che il sovrano possedesse una volontà autonoma di pensiero contraria in toto ai principi liberali, è certo che all’interno del Regno vi fossero realtà che condizionavano in senso antiliberale la linea politica di Vittorio Emanuele50. Realtà soggette a spinte contrarie al nuovo indirizzo liberale del governo sabaudo erano la corte e i vertici dell’esercito, ma anche la diplomazia e l’alta magistratura51.

D’altra parte, nel 1849, all’inizio, pertanto, del regno di Vittorio Emanuele, vennero organizzate tutta una serie di missioni speciali presso la Santa Sede

45 Cfr. G. Pécout, Il lungo Risorgimento, cit., 150.

46 Cfr. P. Gentile, L’ombra del re. Vittorio Emanuele II e le politiche di corte, Comitato di Torino dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, Torino 2011, pp. 41-43.

47 Ivi, p. 43.

48 Ivi, p. 47.

49 Ibid.

50 Cfr. U. Levra, Vittorio Emanuele II, in M. Isnenghi (a cura di), I luoghi della memoria. Personaggi e date dell’Italia unita, Laterza, Roma-Bari pp. 47-64.

51 Cfr. P. Gentile, L’ombra del re cit., p. 49.

per risolvere le questioni pendenti fra questa e il Regno di Sardegna52. Il primo incarico svolto da Cesare Balbo a Roma fra il maggio e il luglio 1849, però, non ebbe un esito positivo53. Inviato ufficialmente a complimentare il papa, il politico piemontese, ex primo ministro, si trovò investito del difficile compito di guadagnare alla causa liberal-costituzionale la corte pontificia in esilio a Gaeta, la cui fiducia nel movimento costituzionale, ovviamente, non si riscontrò54. Della difficoltà di riuscire a trovare un accordo con Roma ne era ben consapevole lo stesso presidente del Consiglio Massimo d’Azeglio55. Miglior risultato, inoltre, non ebbe la successiva missione di Giuseppe Siccardi a Portici, che aveva l’obiettivo di riallacciare le relazioni per stipulare un concordato, di trovare un accordo circa l’affidamento della diocesi vacante di Genova e la rimozione dei vescovi Fransoni e Artico da Torino e Asti56. Secondo il noto giurista piemontese, al di là delle risposte evasive e pretestuose, le forti resistenze di Pio IX al governo sabaudo sembrava che fossero dettate dalla visione negativa del pontefice nei confronti del sistema politico che era venuto a delinearsi in Piemonte, al quale si faceva colpa delle posizioni accesamente anticlericali dei deputati e delle testate della stampa progressista: per Pio IX la mancanza di stima nella religione e la diffidenza nei riguardi della Santa Sede registrati in Piemonte erano la diretta conseguenza dell’operato di sfrontati demagoghi, neghittosi moderati ed inopportuni governi57.

Assodato il fatto che il governo sabaudo e quello pontificio non fossero in grado di rimediare allo spiacevole stallo che in cui si trovavano i rapporti fra la Chiesa e il Regno di Sardegna, il pontefice assunse la decisione di anticipare le mosse del ministero piemontese e intraprese un rapporto di

52 Ivi, p. 54.

53 Ibid.

54 Ibid.

55 Cfr. F. Mellano, La reazione dell’ambiente ecclesiastico alle leggi Siccardi, in G. Griseri e G. S. Pene Vidari (a cura di), Giuseppe Siccardi. Magistrato, giurista, ministro nel bicentenario della nascita, Società per gli studi storici, archeologici ed artistici della provincia di Cuneo, Cuneo 2005, p. 87.

56 Cfr. P. Gentile, L’ombra del re cit., p. 54.

57 Ibid.

mediazione diretto con Vittorio Emanuele, attraverso un canale privato. Questo modo di assecondare il massimo esponente di casa Savoia aveva lo scopo malcelato di porre in notevole difficoltà il governo subalpino: l’intenzione di Pio IX era di spostare la politica su un altro piano, quello di corte, cercando di giocare la carta diretta dell’alleanza tra il trono e l’altare senza alcun tipo di realtà intermediaria, né ministro, né parlamentare dai connotati più o meno liberali, tentando con il proprio credito e la propria autorità di essere, per un fedele cattolico, il vicario di Cristo in Terra di guadagnare alla causa reazionaria il giovane e inesperto re di Sardegna, alle strette con incertezze e difficoltà58. Il papa, a tal fine, tentò di utilizzare la figura di monsignor André Charvaz, ex precettore del sovrano sabaudo59. Charvaz poteva, effettivamente, essere l’uomo adatto al fine di trovare un canale diretto con il sovrano, in quanto uomo di sentimenti monarchici, personalmente affezionato a colui che era stato suo allievo, e, al tempo stesso, estremamente sensibile alle prerogative della Chiesa60. Charvaz, infatti, nel settembre del 1849 fu istruito dallo stesso pontefice sulle modalità con cui trattare con Vittorio Emanuele: l’obiettivo era quello di riuscire a porre il monarca in contrasto con le posizioni liberali dei suoi ministri61. Il sovrano, però, non fu vinto alla causa reazionaria, anche per via del fatto che il liberal- progressista Siccardi62 ritornò a Torino da Portici prima di quanto Charvaz poté essere a Torino e l’influenza liberale fu più forte di quella tradizionalista63. Ciò è dimostrato, fra l’altro, dalle stesse parole che Vittorio Emanuele scrisse a Pio IX in una lettera del 13 gennaio 1850. Se l’esponente di Casa Savoia comunicava che il suo governo

58 Ivi, p. 55.

59 André Charvaz (1793-1870) fu precettore di Vittorio Emanuele fra il 1825 e il 1833 e allora era il vescovo della diocesi di Pinerolo. Cfr. P. Guichonnet, Andrea Charvaz, DBI, vol. 24, 1980, https://www.treccani.it/enciclopedia/andrea-charvaz_%28Dizionario- Biografico%29/.

60 Cfr. P. Gentile, L’ombra del re cit., p. 55.

61 Ivi, pp. 54-55.

62 Giuseppe Siccardi (1802-1857) fu un magistrato e politico piemontese di tendenze liberal-progressiste e all’epoca era di ritorno da Portici. Cfr. M. Roscboch, Giuseppe Siccardi, DBI, vol. 92, 2018, https://www.treccani.it/enciclopedia/giuseppe- siccardi_%28Dizionario-Biografico%29/.

63 Cfr. P. Gentile, L’ombra del re cit., p. 57.

si poneva a difesa del bene della religione cattolica, al tempo stesso vi era contenuto un accenno negativo alla parola «reazione», con cui il Paese, secondo la visione del re, non si sarebbe certo rafforzato:

Ora avendo bene ponderato tutto, parlato particolarmente ed in consiglio coi Ministri, posso assicurare la Santità Vostra che io pel primo, ed il mio Governo, non abbiamo altro di mira che di promuovere in ogni maniera e sostenere con tutte le nostre forze la Religione ed il suo bene, procurando di accondiscendere ai desiderj della Santità Vostra, che troverà sempre in me e nei miei sudditi, quei figli affezionati e devoti alla Santa Sede, pronti se le circostanze dei tempi ce lo permettessero a difenderla anche con le nostre spade. […]

Il Paese intanto si fa qua [sic. quà] ogni giorno più forte, il senno rientra nelle teste umane, non colla reazione, né colla forza, ma colla persuasione e coll’amore. Avvertiti però che il Governo ed io pel primo, desideriamo amore dai sudditi, ma che sarà severamente represso chiunque oltrepassasse i limiti della savia libertà64.

Siccardi era stato nominato ministro guardasigilli del governo di Massimo d’Azeglio il 18 dicembre 1849 e, pertanto, nel 1850 poté fornire il proprio contributo al percorso di radicale cambiamento dell’ordinamento costituzionale dello Stato, venendo a modificare il regime della giurisdizione dei beni ecclesiastici65.

Il momento di elaborazione terminò il 25 febbraio del 1850, con la presentazione del progetto di legge alla Camera da parte del guardasigilli66. Con tali parole Giuseppe Siccardi terminava, fra gli applausi dell’aula, il suo discorso:

Le disposizioni che ho l’onore di proporvi, sono da tempo più o meno antico scritte nei codici di quasi tutti i popoli d’Europa, ed anzi alcune di esse già trovansi in vigore presso di noi in varie parti del regno; esse nulla tolgono alla condizione politica in cui le nostre novelle istituzioni pongono

64 Cfr. P. Pirri, Pio IX e Vittorio Emanuele II dal loro carteggio privato. La Laicizzazione dello Stato Sardo 1848-1856, Pontificia Università Gregoriana, Roma 1944, vol. I, pp. 51- 52, lettera di Vittorio Emanuele II a Pio IX, 13 gennaio 1850.

65 Cfr. M. Roscboch, Giuseppe Siccardi, DBI, vol. 92, 2018, https://www.treccani.it/enciclopedia/giuseppe-siccardi_%28Dizionario-Biografico%29/. 66 Cfr. A. Pennini, La religione nello Stato cit., p. 38.

66 Cfr. A. Pennini, La religione nello Stato cit., p. 38.

dirimpetto al potere civile la religione dello Stato, quella religione de’ nostri padri che sta profondamente a cuore a noi tutti, e che il governo del re, per intima convinzione, per affetto, come per dovere, è fermamente risoluto a difendere con tutti i suoi mezzi; che anzi sceverandola da privilegi che non sono in lei, ma contro di lei, divenuti da lungo tempo onerosi ai privilegiati stessi, e rivendicando alla sovranità civile quella giurisdizione sulle cose interne e temporali del regno che, appunto perché necessaria al bene della nazione, è assolutamente inalienabile, toglieranno di mezzo quella confusione di giurisdizioni e competenze che fu così spesso occasione e fomento di deplorabili conflitti, e varranno a rendere vieppiù stretta quell’unione della religione cattolica con la saggia e temperata libertà da cui sola possono essere assicurati il regolare svolgimento delle nostre instituzioni e l’avvenire del paese67.

Dalla presentazione operata da Giuseppe Siccardi, certamente, non emerge una dichiarata battaglia politica nei confronti del cattolicesimo. Per la verità, infatti, veniva rivendicato il ruolo del potere civile, in particolare del monarca, come «defensor fidei» e si lasciava trasparire, ancora per il momento, l’importanza della fede religiosa nella regolamentazione dei rapporti sociali. Nelle parole di Siccardi si intuivano gli echi di carattere giurisdizionalistico circa i rapporti fra Stato e Chiesa e, inoltre, può essere interessante far rilevare come l’idea, l’auspicio e la retorica di un vantaggio che la Chiesa cattolica avrebbe ottenuto da un ridimensionamento del suo peso pubblico e giuridico si sarebbero ritrovati anche nelle parole successive dei liberali piemontesi, non escluso il conte Camillo Benso di Cavour. Non estraneo al bagaglio culturale di Cavour, fra l’altro, era anche l’auspicio espresso da Giuseppe Siccardi di un incontro fra la religione cattolica e il principio di libertà, caro alla realtà liberale. Nonostante, quindi, il guardasigilli, perlomeno a parole, non ponesse le sue leggi in contrasto con il cattolicesimo, queste vennero a costituire il momento di avvio del processo di separazione dello Stato dalla Chiesa, contraendo in maniera drastica l’ambito di rilevanza civile della

67 Cfr. Legge Siccardi sull’abolizione del foro e delle immunità ecclesiastiche. Tornate del Parlamento Subalpino, Cugini Pomba e C. editori, Torino 1850, p. 7.

giurisdizione canonica, confinata all’interno di un ordine sempre più ristretto e inteso privatisticamente, sguarnito dall’ausilio del braccio secolare68.

Il progetto originario di legge prevedeva nove articoli, che furono poi ridotti a sette, poiché gli ultimi due furono stralciati dalla bozza originaria e votati a parte69.

I primi cinque articoli, che miravano all’abolizione del foro ecclesiastico, sono tutti ampiamente sintetizzati nel contenuto del primo:

Le cause civili fra ecclesiastici e laici od anche tra soli ecclesiastici, spettano alla giurisdizione civile, sia per le azioni personali, che per le reali o miste di qualunque sorta70.

Il privilegio del foro ecclesiastico era un istituto molto antico, che era stato introdotto nella legislazione dell’Impero romano dall’imperatore Giustiniano: in base ad esso un ecclesiastico poteva essere giudicato soltanto davanti agli appositi tribunali della Chiesa e non era, di conseguenza, soggetto alla giurisdizione dello Stato71. In forma più o meno ampia questo privilegio era ammesso nel diritto di molti Stati italiani pre-unitari: nel Regno di Sardegna, in modo particolare, era previsto che le cause civili in cui fosse convenuto un ecclesiastico potessero essere giudicate dai tribunali della Chiesa cattolica in stato di concorrenza con quelli del potere civile; le cause relative ai delitti, non, invece, quelle riguardanti crimini più gravi e contravvenzioni di minor peso, spettavano agli specifici tribunali ecclesiastici in via esclusiva, sempre che vi fosse imputato un appartenente al clero72.

Questa disposizione, però, non aboliva in sé il foro ecclesiastico o ne impediva il regolare svolgimento della propria attività, ma con questa legge le decisioni prese dai tribunali ecclesiastici non possedevano più alcuna

68 Cfr. F. Campobello, Gli enti ecclesiastici nell’Italia liberale cit., pp. 11-12.

69 Cfr. A. Pennini, La religione nello Stato, cit., p. 38.

70 Ivi, pp. 38-39

71 Cfr. S. Ferrari, La politica ecclesiastica subalpina e le leggi Siccardi, in G. Griseri e G.S. Pene Vidari (a cura di), Giuseppe Siccardi magistrato, giurista, ministro nel bicentenario della nascita, Società per gli studi storici, archeologici ed artistici della provincia di Cuneo, Cuneo 2005, p. 70.

72 Ibid.

validità di fronte all’ordinamento statale73. L’articolo sesto, invece, aveva l’obiettivo di eliminare qualsiasi immunità di carattere giuridico agli edifici sacri, ponendo fine, pertanto, al cosiddetto «diritto d’asilo», anche se veniva specificato che tutto ciò che avesse riguardato il culto non sarebbe stato turbato e che il sacerdote sarebbe stato avvisato in caso di arresto74.

Infine, parte integrante delle leggi Siccardi era l’articolo sette, che introduceva all’interno del Regno di Sardegna il dibattito circa il matrimonio civile:

Il governo del Re è incaricato di presentare al Parlamento un progetto di legge inteso a regolare il contratto di matrimonio nelle sue relazioni con la legge civile, le capacità dei contraenti la forma e gli effetti di tale contratto75.

L’area culturale e politica laicistica, infatti, sosteneva con vigore l’introduzione di questo strumento giuridico di chiara ispirazione francese, in modo da limitare il ruolo pubblico della Chiesa anche in questa materia76. Chiaramente, è l’ala tradizionalista del Parlamento Subalpino a opporsi a una legge che viene ritenuta lesiva delle libertà religiose, mentre vi è un’approvazione entusiasta da parte di liberali e progressisti; la legge venne approvata il 9 marzo alla Camera e il 9 aprile al Senato77.

Le opposizioni più vigorose a queste leggi vennero, chiaramente, dal mondo del clero locale piemontese. Infatti, la figura che si caratterizzò maggiormente per un contrasto acceso alle leggi fu l’arcivescovo di Torino Luigi Fransoni78. L’arcivescovo, infatti, era noto per la sua natura culturale intransigente e, inoltre, aveva in passato ricevuto alcune lettere anonime che lo accusavano,

73 Cfr. A. Pennini, La religione nello Stato, cit., p. 39.

74 Ibid.

75 Ibid.

76 Ibid.

77 Ivi, pp. 39-40.

78 Luigi Fransoni (1789-1862), proveniente da una nobile famiglia genovese, fu arcivescovo di Torino fra il 1832 e il 1862, ma dal 1850 esercitò la sua carica dall’esilio a Lione. Fu uno strenuo oppositore dell’anticlericalismo. Cfr. G. Griseri, Luigi Fransoni, DBI, vol. 50, 1998, https://www.treccani.it/enciclopedia/luigi-fransoni_%28Dizionario- Biografico%29/.

anche attraverso insulti, di essere eccessivamente legato all’ordine gesuita79. Nonostante ciò, prima del 1847 vi erano sì state da parte sua rimostranze nei confronti del potere civile sabaudo, ma avevano avuto per oggetto per lo più questioni di disciplina ecclesiastica o private80. I primi due scontri con le autorità civili erano avvenuti rispettivamente nel 1840 e nel 1844. Nel primo caso si era trattato dell'arresto e della condanna a morte di un frate omicida pronunciata da un tribunale dello Stato senza il preventivo consenso dell'autorità ecclesiastica e l'arcivescovo aveva protestato ufficialmente presso il governo informandone la S. Sede81. Per quello che concerne il secondo caso, avvenuto nel 1844, la figlia minorenne del ministro d'Olanda presso la corte di Torino, C. Heldewier, aveva deciso di abiurare la fede protestante e di abbracciare quella cattolica, rifugiandosi presso il monastero delle canonichesse lateranensi di S. Croce82. Il padre pretese che la figlia tornasse sotto la sua tutela e fosse tratta a viva forza dal monastero, ma il governo sardo rifiutò decisamente di intervenire, motivandolo con il rispetto dell'immunità ecclesiastica e del diritto naturale dell'interessata83. I rapporti fra Fransoni e la classe dirigente sabauda iniziarono, però, a radicalizzarsi in senso negativo con le vicende del 1848, quando la situazione politica si stava sviluppando in una situazione contraria agli auspici del religioso genovese. L'espulsione dei gesuiti diede agli esponenti del più acceso anticlericalismo la sensazione che il movimento riformistico potesse spingersi su posizioni radicaleggianti. Il 24 marzo 1848 ebbe luogo a Torino una manifestazione popolare contro l'arcivescovo, mentre questi usciva dal duomo dopo il «Te Deum» per l'avvenuta liberazione di Milano84. A questo punto i moderati si convinsero a loro volta che l'allontanamento di Fransoni dalla sede metropolitana potesse eliminare motivi di disordine e porre un freno

79 Cfr. M. F. Mellano, Il caso Fransoni e la politica ecclesiastica piemontese (1848-1850), Pontificia Università Gregoriana, Roma 1964, pp. 15-16.

80 Ivi, p. 16.

81 Cfr. G. Griseri, Luigi Fransoni, DBI, vol. 50, 1998, https://www.treccani.it/enciclopedia/luigi-fransoni_%28Dizionario-Biografico%29/.

82 Ibid.

83 Ibid.

84 Ibid.

all'elemento rivoluzionario e sembra che anche il re fosse di questo avviso85. Pertanto, il ministro degli Interni Vincenzo Ricci86 operò al fine d’indurre il religioso ad abbandonare la diocesi e questi si lasciò convincere, abbandonando Torino e recandosi a Ginevra87. Fransoni, mesi dopo, si esprimeva in tal modo su questa esperienza:

Questo viaggio è stato per me oltremodo piacevole, e ne sono debitore alle circostanze, perché del resto non avrei mai sognato di poterlo fare, anzi nemmeno di venire a Ginevra. Non è già per questo che io intenda di far plauso alle medesime, ma dico solo, che se alcuno ha creduto di farmi del male, si è ben ingannato, mentre all’opposto per quanto riguarda la mia persona, mi ha fatto del bene, ed effettivamente non solo godo ottima salute, ma sono allegro e contento, se non più, non meno certamente di quello che il fossi in Torino88.

Nel ’50 l’arcivescovo era tornato dall’esilio di due anni a Ginevra e, in particolare, non intendeva piegarsi all’applicazione della legge circa il foro ecclesiastico89. Fransoni, di conseguenza, stilò una circolare in cui affermava che i parroci che fossero stati citati davanti a un tribunale civile, in attesa delle disposizioni provenienti dalla Santa Sede, avrebbero potuto avvalersi dell’immunità pastorale, ponendo in risalto l’incompetenza del foro laico90. Nonostante l’opposizione dell’arcivescovo alle leggi Siccardi, l’allora presidente del Consiglio Massimo d’Azeglio non riteneva che tale protesta avesse la forza di scaturire una temibile mobilitazione nei confronti del

85 Ibid.

86 Vincenzo Ricci (1803-1868) fu un politico liberale, che, fra l’altro, appoggiò le leggi Siccardi del 1850. Nel 1848 era ministro degli Interni. Cfr. B. Montale, Vincenzo Ricci, DBI, vol. 87, 2016, https://www.treccani.it/enciclopedia/vincenzo-ricci_%28Dizionario- Biografico%29/.

87 Cfr. G. Griseri, Luigi Fransoni, DBI, vol. 50, 1998, https://www.treccani.it/enciclopedia/luigi-fransoni_%28Dizionario-Biografico%29/.

88 Cfr. M. F. Mellano, Il caso Fransoni cit., p. 70.

89 Cfr. A. Pennini, La religione nello Stato cit., p. 40.

90 Cfr. A. C. Jemolo, Chiesa e Stato in Italia cit., p. 213; E. Colomiatti, Mons. Luigi dei marchesi Fransoni, arcivescovo di Torino (1832-1862) e lo Stato Sardo nei rapporti colla Chiesa durante tale periodo di tempo. Due commemorazioni con documenti annotati, G. Derossi, Torino 1902, p. 149.

governo, al punto da fornire ai suoi interlocutori un’immagine rassicurante della situazione sociale del Regno:

La pubblicazione delle leggi Siccardi che doveva dar principio ad una serie di flagelli, e di piaghe d’Egitto, ha invece prodotto un calme plat come quello operato da Nettuno nell’Eneide. Si può anzi guardarlo come affare dimenticato91.

La reazione delle autorità governative fu subito veemente, al punto che Fransoni subì un primo arresto, avvenuto il 4 maggio92, venendo, però, scarcerato grazie alle proteste di Roma, ma nulla la Santa Sede poté fare di fronte ad un secondo arresto avvenuto il 7 agosto, al quale seguirono la sua traduzione a Fenestrelle e, infine, la sua espulsione dallo Stato93. Il secondo arresto dell’arcivescovo era avvenuto poiché egli si era opposto alla somministrazione dei sacramenti al ministro agonizzante Pietro De Rossi di Santarosa94, che aveva sostenuto le leggi Siccardi e si era ostinatamente opposto a un pentimento circa tale atto, e ciò aveva causato l’indignazione dei liberali, in primo luogo di Camillo Cavour, suo amico di gioventù95. Fra coloro che sostennero maggiormente la necessità dell’arresto di Fransoni vi fu lo stesso Giuseppe Siccardi, ma questa vicenda provocò comunque anche nel governo della vicina Francia alcune perplessità, poiché il ministro per gli affari esteri, il generale De la Hitte, riteneva che il provvedimento del Regno di Sardegna circa Fransoni non fosse del tutto legale96. La Santa Sede, in ogni

91 Cfr. M. d’Azeglio, Epistolario (1819-1866), vol. VI (2 gennaio 1850 – 13 settembre 1850), a cura di Georges Virlogeux, Centro Studi Piemontesi, Torino 2007, p. 51, lettera di Massimo d’Azeglio a Diomede Pantaleoni, 24 aprile 1850.

92 Cfr. M. F. Mellano, Ricerche sulle leggi Siccardi. Rapporti tra la S. Sede, l’episcopato piemontese e il governo sardo, Deputazione Subalpina di Storia Patria, Torino-Palazzo Carignano 1973, p. 29.

93 Cfr. A. Pennini, La religione nello Stato cit., p. 40.

94 Pietro De Rossi di Santarosa (1805-1850) fu fra il 1848 e il 1849 ministro dei lavori pubblici e dell’agricoltura e commercio per il governo del Regno di Sardegna. Sostenne apertamente la promulgazione delle leggi Siccardi e non volle sconfessare tale atto. Cfr. F. Lemmi, Pietro De Rossi di Santarosa, DBI, Enciclopedia Italiana, 1936, https://www.treccani.it/enciclopedia/pietro-de-rossi-di-santarosa_%28Enciclopedia- Italiana%29/.

95 Cfr. M. F. Mellano, Il caso Fransoni cit., pp. 140-141.

96 Ivi, pp. 157-158.

caso, non poté che schierarsi dalla parte dell’arcivescovo di Torino, il quale con ferma coerenza si era sempre mostrato fedele alla difesa delle prerogative ecclesiastiche97. D’altra parte, l’iniziativa governativa di trarre in arresto l’arcivescovo pose le autorità civili in una posizione, se non altro, alquanto particolare, poiché il governo venne a sostituirsi all’organo competente in materia della superiore autorità ecclesiastica, al fine di giudicare un prelato su di un caso di coscienza98. Allora Pio XI, infatti, vide in Fransoni una vittima di un doppio procedimento illegale operato dal governo sabaudo: una prima volta per avere emanato norme in accordo alle leggi della Chiesa, una seconda a causa di un giudizio che era una precisa violazione alla libertà di coscienza di un ecclesiastico99. A causa della rigida inflessibilità con cui Fransoni aveva ostinatamente negato ogni consenso all’evoluzione liberale del sistema politico piemontese, la situazione era tale che si giungesse a una collisione100.

Fra le ragioni che portarono a questo scontro importante fra Roma e Torino vi è certamente la crisi che si era aperta con la promulgazione dello Statuto: da un lato il governo piemontese era deciso a sostenere ad ogni costo le giovani libertà costituzionali, mentre dall’altra parte la Santa Sede era allarmata per la paura che il governo, ritenuto troppo lassista, lasciasse degenerare gli estremismi antireligiosi e anticlericali101. Le considerazioni di carattere più prettamente politico tormentavano, in particolare, il cardinale Antonelli102, perché se è vero che l’abolizione del foro ecclesiastico era stata praticamente attuata da lungo tempo in vari stati italiani senza che si scatenasse alcun “casus belli”103, al tempo stesso il clima di forti tensioni allora presente fecero sì che le leggi Siccardi venissero a costituire il primo

97 Ivi, p. 165.

98 Ibid.

99 Ivi, p. 177.

100 Ivi, p. 218.

101 Cfr. M. F. Mellano, Ricerche sulle leggi Siccardi cit., p. 50.

102 Giacomo Antonelli (1806-1876) fu un cardinale italiano e, dal 1848, ultimo segretario di Stato dello Stato Pontificio sotto il pontificato di Pio IX. Cfr. R. Aubert, Giacomo Antonelli, DBI, vol. 3, 1961, https://www.treccani.it/enciclopedia/giacomo- antonelli_%28Dizionario-Biografico%29/.

103 Ivi, pp. 50-51.

vero momento di frattura fra il Regno di Sardegna e la Santa Sede, dopo i prodromi legati alle varie concessioni alle altre confessioni presenti sul territorio e alla soppressione della Compagnia del Gesù.

Quello del 1850 era ormai tutt’altro contesto culturale e politico rispetto a quello di nove anni prima, quando il 27 marzo 1841 venne stipulata una convenzione fra il sovrano Carlo Alberto e il pontefice Gregorio XVI104 circa l’immunità del personale ecclesiastico colpevole di reato. Con tali parole il cardinale Lambruschini105, in una circolare indirizzata a monsignor Ghilardi, descriveva quell’evento:

Sotto il giorno 27 Marzo del corrente anno 1841 si è conclusa, e stipulata nelle debite forme una Convenzione fra la Santità di Nostro Signore PP. Gregorio XVI e Sua Maestà Carlo Alberto Re di Sardegna, affine di stabilire alcune discipline, le quali dovranno d’ora in poi regolare in tutti li Dominj della lodata Maestà Sua l’immunità personale degli Ecclesiastici, che avessero la disgrazia di rendersi colpevoli di qualche reato. Nel primo articolo di detta convenzione, mentre si è espresso che, avuto riguardo alle circostanze dei tempi, alla necessità della pronta amministrazione della giustizia, ed alla mancanza dei mezzi corrispondenti nei Tribunali Vescovili, la Santa Sede non farà difficoltà che i Magistrati laici giudichino gli Ecclesiastici per tutt’i reati che hanno la qualificazione di crimini a termini delle Leggi vigenti nei Regj Stati, si è aggiunto che pei reati, qualificati delitti dalle stesse leggi, commessi dagli ecclesiastici eccettuati quelli che si commetteranno in materia di finanza, conoscerà la Curia del Vescovo. In conformità però alle intelligenze, che hanno avuto luogo colla Real Corte, è mente del Santo Padre che i respettivi Tribunali Vescovili dei succennati Regj Dominj nel pronunziar la condanna contro gli ecclesiastici colpevoli di quei reati, il cui giudizio viene loro esclusivamente

104 Papa Gregorio XVI (1765-1846), al secolo Bartolomeo Alberto Cappellari, fu papa dal 1831 al 1846, anno della sua morte. Cfr. G. Martina, papa Gregorio XVI, DBI, vol. 59, 2002, https://www.treccani.it/enciclopedia/papa-gregorio-xvi_%28Dizionario- Biografico%29/.

105 Luigi Lambruschini (1776-1854), arcivescovo e cardinale di idee tradizionalistiche e legittimistiche, fu cardinal segretario di Stato dal 1836 al 1846. Cfr. G. Monsagrati, Luigi Lambruschini, DBI, vol. 63, 2004, https://www.treccani.it/enciclopedia/luigi- lambruschini_%28Dizionario-Biografico%29/.

riservato nel suddetto primo articolo della convenzione, si uniformino alle disposizioni delle mentovate leggi esistenti nei Dominj Sardi106.

Ritornando alle leggi Siccardi, la seconda legge, invece, composta da un unico articolo, fu approvata il 5 giugno del 1850 e venne a limitare la possibilità dei corpi morali di acquistare beni immobili e di accettare donazioni e disposizioni testamentarie:

Articolo Unico. Gli Stabilimenti e Corpi Morali, sieno ecclesiastici o laicali, non potranno acquistare stabili senza essere con ciò autorizzati con Regio Decreto, previo il parere del Consiglio di Stato.

Le donazioni tra vivi e le disposizioni testamentarie a loro favore non avranno effetto se essi non saranno nello stesso modo autorizzati ad accettarle107.

La seconda di queste leggi presenta una chiara matrice giurisdizionalistica. Si stabiliva, infatti, che l’acquisto di beni immobili o la donazione di qualsiasi genere di bene a favore di qualsiasi stabilimento, ecclesiastico piuttosto che laico, dovesse venire autorizzata dal Consiglio di Stato108. Questo provvedimento si ispirava al principio della “manomorta”, secondo cui i corpi morali trattenevano i beni senza immetterli nel circuito del mercato, ed era direttamente riferibile agli enti ecclesiastici che, pur trovandosi nella condizione di ereditare più facilmente per volontà testamentarie, riuscivano difficilmente a inserirsi nelle dinamiche e logiche del mercato ed erano controllati in maniera più capillare dal governo109. Appariva, dunque, assai chiaro, in questa prima fase di modernizzazione, come l’ideologia liberale non potesse venire attuata senza quelle riforme legislative volte ad affermare con forza la prevalenza dell'ordinamento dello Stato su quello della Chiesa, venendo a causare una grande lacerazione fra le due realtà110. Tale

106 ADM, Carte Ghilardi, Cartella 42, Circolari per il clero, circolare del card. Lambruschini circa la convenzione stipulata tra papa Gregorio XVI e il re Carlo Alberto per la regolazione dell’immunità personale degli ecclesiastici colpevoli di qualche reato, 9 aprile 1841, recto. Il corsivo è nel testo originale.

107 Cfr. A. Pennini, La religione nello Stato cit., p. 41.

108 Ibid.

109 Ibid.

110 Cfr. F. Campobello, Gli enti ecclesiastici nell’Italia liberale cit., p. 12

prevalenza, peraltro, non era limitata soltanto al tentativo dello Stato di fare proprie quelle competenze che con la modernità possiamo definire “secolari”, ma si estendeva anche a regolamentare e indirizzare le competenze ecclesiastiche111. In questo modo, l’impianto giurisdizionalistico delle leggi del 1850 pone le basi per la legislazione del 1855 che riconosce allo Stato il potere di conservare la personalità giuridica civile soltanto agli enti ecclesiastici le cui finalità religiose, secondo i criteri prestabiliti dal governo, sono ritenute effettivamente utili e, perciò, meritevoli di tutela sulla base di una sua autonoma e discrezionale valutazione112.

Le vicende legate alle leggi Siccardi videro, fra gli altri aspetti, lo sviluppo di una mobilitazione pastorale e politica dell’episcopato subalpino, preoccupato di rimanere escluso dai processi decisionali che si stavano verificando nei territori sottoposti alla giurisdizione sabauda. A questo proposito, si tenne nel settembre del 1850 nella località di Villanovetta, comune vicino a Saluzzo, una conferenza allo scopo di affrontare la situazione che si era venuta a creare113. Già nel luglio dell’anno precedente si era tenuto un congresso dei vescovi nella medesima località, al fine di mettere in campo un piano d’azione adeguato alle difficoltà legate al nuovo processo di laicizzazione intrapreso dal governo114. Indicatore del carattere di rilievo dato a quest’adunanza fu l’annuncio ufficiale dato al re115 e fu proprio monsignor Ghilardi che ebbe un ruolo rilevante ed esercitò una particolare influenza su vari vescovi piemontesi e fu il più attento alle sensibilità della Santa Sede116, tant’è vero che tenne informato il pontefice sull’attività nascente e riscosse ampi consensi per lo zelo con cui stava operando allora la Chiesa subalpina117.

L’incontro del settembre 1850 si prospettò concretamente il mese precedente, ma per molti vescovi si riteneva che si dovesse proseguire attraverso una via

111 Ivi, pp. 12-13.

112 Ivi, p. 13.

113 Cfr. M. F. Mellano, Ricerche sulle leggi Siccardi cit., p. 71

114 Ivi, p. 19 .

115 Ivi, p. 20.

116 Cfr. M. F. Mellano, La reazione dell’ambiente ecclesiastico alle leggi Siccardi, cit., p. 100.

117 Cfr. M. F. Mellano, Ricerche sulle leggi Siccardi cit., pp. 23-24.

più solenne, quindi attraverso un concilio, rispetto a quella di una conferenza118. Su questo punto, infatti, si espresse il vescovo di Alba, monsignor Fea, in una lettera a monsignor Gianotti, vescovo di Saluzzo:

Concordo volentieri con V.S. Ill.ma che sarebbe assai a preferirsi un concilio nazionale od almeno provinciale ad un semplice congresso, ma temo assai che non sia possibile sic et nunc un concilio…119

Alla fine la data che riuscì a essere accettata da tutti i vescovi fu il 10 settembre120 e le personalità che più si distinsero furono quelle dei vescovi Fantini, Ghilardi e Gianotti. Luigi Fantini, vescovo di Fossano, fu infatti colui che propose l’intervento collegiale dei suoi confratelli presso il pontefice; Ghilardi, il quale già era una figura di primo piano rispetto ai suoi confratelli, prima si allineò alla proposta di Fantini, ma successivamente si pose contro; Gianotti, decano e perno morale della provincia saluzzese, fu colui che creò le condizioni per l’incontro dei vescovi e per la stesura del documento e che successivamente si assunse la responsabilità dell’invio del materiale121. Ghilardi, inizialmente, appoggiò la proposta di monsignor Fantini, il quale, essendo, fra l’altro, senatore del Regno, si teneva in collegamento con il movimento liberale piemontese, onde cercare una conciliazione fra l’episcopato e il governo di Torino122. Ghilardi appoggiò la linea conciliativa invocata da Fantini, ma purché codesto piano fosse subordinato al consenso di Roma, che, invece, oppose un netto rifiuto di fronte ad istanze di mediazione e, pertanto, anche il vescovo di Mondovì si allineò alla linea rigida della Santa Sede123. Questo, infatti, fu il comunicato inviato dai vescovi piemontesi riuniti a Villanovetta al pontefice romano:

Nella dolorosa condizione in cui si trova la Chiesa subalpina, Noi sottoscritti sentiamo essere debito del nostro uffizio di rassegnare a V. S. il vero stato, ed

118 Ivi, p. 34

119 Ibid.

120 Ivi, p. 35.

121 Ivi, p. 40.

122 Ivi, pp. 40-41.

123 Ivi, p. 42.

umiliare alla paterna bontà della B. V. le più calde preghiere, affinché si degni soccorrerla colla sua autorità A.plica.

Da lungo tempo un gran numero fra la parte colta della Nazione Piemontese era nel desiderio di vedere tolti o modificati vari punti disciplinari, nei quali sono in contatto la Chiesa e lo Stato. Promulgatosi lo Statuto si avvalorò quel desiderio, ed il Governo credette di appagarlo.

Il Popolo non prendeva parte alle idee della classe colta, ma in questi ultimi tempi per opera della stampa esse si diffusero anche in altre classi, e le contrarietà insorte al conseguimento, che speravasi facile, della bramata ampiezza, non solamente fecero avversare da molti ogni Eccl.ca autorità ed il Clero, dacché la stampa trascorse nel modi il più indegno ed inverecondo contro la S. V. e contro il Sacerdozio, ma risvegliarono ancora nuove e più inoltrate pretese.

Questo stato di cose durando tuttavia, il Governo vorrà proseguire nell’opera sua, e certamente egli è da aspettarsi che farà presentando, come già ebbe ad annunziare, altre leggi sopra altri punti di disciplina Eccl.ca al primo riaprirsi del Parlamento, ed ove nol facesse convien confessare che sarebbe probabilmente scavalcato col trionfo della parte esaltata e con tutte le relative conseguenze. […]

Continuando l’attuale dissenso tra la Chiesa e lo Stato per cui l’autorità quasi non può pronunziare una parola a difesa della Chiesa, che non le sia imputata a debolezza, saranno le nuove leggi per rimanere in limiti discreti? Non saranno esse spinte sino a rovinare ogni influenza della Religione sulla società? Pur troppo è a temersi come è a temere altresì che i nemici della Religione Cattolica, i quali già tanto si valsero del conflitto, non ne approfittino ognora più per dividere lo Stato dalla Chiesa per indebolire l’uno e l’altra e minare la fede istessa nelle sue basi. […]

Noi rappresentiamo questo timore alla S. V. la quale nella sua sapienza giudicherà le conseguenze possibili ove l’autorità Eccl.ca si dimostrasse avversa a qualsivoglia mutamento in fatto di disciplina, e l’effetto contrario che produrrebbe il desiderato reciproco accordo, quello cioè di moderare le novazioni, di tranquillare le coscienze, di salvare l’autorità della Chiesa, e di ristabilire poco a poco le credenze in tutto questo gregge. […]

Benché gelosi della conservazione dei diritti della Chiesa, siamo però disposti al sacrifizio di quei privilegi che la tranquillità e pace della Chiesa e dello Stato richiedesse, e pronti ad assoggettarci col Divino ajuto a quelle prove, alle quali Iddio ci riserbasse; solo ci rechiamo a debito di esporre come la nostra missione si trovi paralizzata, la Religione e la Chiesa minacciate, e tementi, come accennammo, del pericolo di scisma, deponiamo nel paterno seno della B. V. i nostri timori e le nostre speranze, e rinnovandole con ogni maggiore devozione i sentimenti del nostro più profondo e figliale ossequio ed assicurandola dell’inalterabile nostra obbedienza e della intera nostra sommessione ai di Lei oracoli, imploriamo umilmente sopra di noi e sopra l’affidatoci gregge l’Ap.lica Paterna benedizione124.

Con il documento che fu inviato al pontefice emergeva certamente la visione organicistica in cui lo Stato e la Chiesa fossero due entità che possedessero entrambe la propria sfera di sovranità ed è esplicita la preoccupazione da parte dell’episcopato subalpino dell’intento governativo di eliminare, o comunque senz’altro ridimensionare, la Chiesa dalla sfera pubblica. Negativo veniva, fra l’altro, giudicato il ruolo che la stampa, realtà su cui in seguito verrà posta maggiormente l’attenzione, aveva tenuto nella divulgazione delle tematiche anticlericali e laicizzanti, ora non più diffuse solo fra la classe dirigente del Regno di Sardegna. D’altra parte, la «Gazzetta del Popolo», il foglio che più si mostrava favorevole alla politica laicizzante dello Stato, aveva iniziato le sue pubblicazioni il 16 giugno 1848, in seguito alla liberalizzazione della stampa sancito dalle lettere patenti del 30 ottobre 1847125, e cercava di contrastare l’accaparramento del pubblico operaio da parte della destra cattolica, contrastando il periodico cattolico-reazionario «Giornale degli operai» di Stefano Sampol126. La «Gazzetta», infatti, temette sempre le tendenze reazionarie delle masse popolari guidate dai parroci127. Il quotidiano laicista, d’altra parte, descrisse la riunione tenutasi a Villanovetta con toni assai dispregiativi, tentando una mobilitazione a favore dell’operato del governo:

Conciliabolo di Villanovetta.

124 Ivi, pp. 163-164.

125 Cfr. B. Gariglio, Stampa e opinione pubblica nel Risorgimento. La «Gazzetta del popolo» (1848-1861), FrancoAngeli, Milano 1987, p. 17.

126 Cfr. B. Gariglio, I cattolici dal Risorgimento a Benedetto XVI. Un percorso dal Piemonte all’Italia, Morcelliana, Brescia 2013, p. 45.

127 Ivi, p. 46.

Al vescovile congresso, del quale abbiamo parlato nel nostro foglio, numero 216, oltre del noto Toni128 (= il vesc. D Saluzzo) e de’ suoi colleghi d’Alba129 e di Pinerolo130 vi si recarono del pari misteriosamente, e all’uso dei gufi, i vescovi di Mondovì131, Cuneo132 e Fossano133. Ma questa volta i reverendi padri l’hanno capita – per amore o per forza non si sa – solamente possiamo assicurare che l’hanno capita. Premesso un fervorino, scambiatesi fra di loro alcune languide occhiate, i vescovili individui misero sul tappeto il negozio delle leggi Siccardi, e quantunque il noto Toni dimostrasse la più ampia avversione ad inghiottire la pillola, ciò non pertanto in quel congresso si formò un indirizzo al Santo Padre espresso nella sostanza in questi termini: Considerando che i tempi sono maturi, e che tutta la gente colta e non colta dello Stato Sardo vuole il compimento delle riforme volute dallo Statuto; Considerando che la legge Siccardi è necessaria alla tranquillità del paese, e che il Governo operò saviamente nel proporla e nel sancirla, e che ora sta formando altre leggi pur necessarie riguardanti il matrimonio civile ed il clero; […]

I sottoscritti arcivescovi e vescovi dello Stato Sardo supplicano il Supremo Gerarca134 a voler porre un termine alle quistioni tuttora agitantisi collo Stato piemontese, approvando la legge Siccardi, e facendo in modo che l’inviato sardo ritorni soddisfatto dalla sua missione.

Questo indirizzo fu mandato a Roma appena sciolto il congresso. Si dice che il noto Toni lo abbia sottoscritto colle lacrime agli occhi e col cuore profondamente trafitto. Ne fu poi spedita copia agli altri vescovi delle varie provincie per la loro adesione. La cosa è nientemeno positiva.

Ora, vescovi e arcivescovi, veniamo a noi. Quando noi parlando al popolo delle vostre chieriche, lo assicuravamo che la vostra opposizione alla legge Siccardi era l’effetto esclusivamente dell’intrigo, avevamo sì o no ragione? […] Questo vostro indirizzo non è egli la miglior prova che coll’animo deliberato avete predicato la resistenza alla più giusta delle leggi? Non è egli la miglior prova che coll’animo deliberato avete perseguitato quei buoni sacerdoti che salutavano nella legge Siccardi la vera uguaglianza del Vangelo? Animo! rispondete! Ah! non sapete che

128 Monsignor Giovanni Antonio Gianotti.

129 Monsignor Costanzo Michele Fea.

130 Monsignor Guglielmo Maria Renaldi.

131 Monsignor Giovanni Tommaso Ghilardi.

132 Monsignor Clemente Manzini.

133 Monsignor Luigi Fantini.

134 Il riferimento è a Pio IX.

rispondere? Allora ve lo ripeteremo noi che la vostra resistenza non ad altro mirava che a sconvolgere lo Stato – che altro scopo non aveva che la guerra civile – e che tutto ciò avete fatto colla scienza di operare il male. […] Ora ognuno potrà dirvi sulla faccia che le vostre geremiadi – che le improntitudini del vostro Letamaio («Armonia»135) non avevano altro intento che di tutelare i santi interessi della vostra bottega. – Del resto, carissimi reverendi, in via subordinata, vi diciamo che anche questo vostro indirizzo racchiude in sé qualche cosa di rivoluzionario – perché in ogni caso l’adesione alla legge Siccardi deve essere fatta esplicitamente al nostro governo – non potendo assolutamente la baracca romana ingerirsi nelle cose che riguardano il nostro interno ordinamento civile. – Quindi l’approvazione che voi avete invocata dalla temporale baracca, non può più fare né bene né male, ad uso della cosiddetta medaglia miracolosa136.

Evidente è come la tensione dello scontro fra il fronte tradizionalista, fermo nella difesa dei diritti ecclesiastici, e il movimento liberale fosse già quindi nel 1850 a livelli molto alti, se uno dei principali giornali dell’ambiente culturale e politico liberal-progressista accusava i vescovi piemontesi di avere lo scopo di sovvertire le istituzioni dello Stato e mirare allo scatenare una vera e propria guerra civile. Eppure, per quanto, certamente, nel contesto politico e culturale reazionario del Regno di Sardegna lo Statuto non godesse di particolare apprezzamento, nemmeno, però, si può dire che vi fu una coerente opera al fine di abolirlo da parte del clero subalpino. Infatti, anche e soprattutto da un punto di vista simbolico e celebrativo, è bene riportare che, a titolo di esempio, il 6 maggio del 1853, quindi ben tre anni dopo la situazione delle leggi Siccardi, in un contesto di polarizzazione sempre più marcata, il sindaco di Mondovì Michele Danna informava il vescovo Ghilardi dell’orario della funzione religiosa per la festa dello Statuto:

Secondo la riserva presa in precedente foglio del 3 corrente n°= 800, si pregia lo scrivente di portare a cognizione dell’Ill.mo e R.mo Monsig. Vescovo, che secondo la notificanza avuta dal R.mo Capitolo la funzione religiosa di domenica, avrà cominciamento alle ore 10 ½ del mattino,

135 Quotidiano clerical-reazionario, che svolse un’importante opposizione nei confronti delle leggi Siccardi. Nelle pagine successive di questo lavoro se ne parlerà ampiamente della mobilitazione in chiave antiliberale svolta dal quotidiano.

136 «Gazzetta del Popolo», num. 221, 17 settembre 1850.

e si reca ad onore intanto di raffermarsi col massimo ossequio137.

Pertanto, ancora nel 1853, dopo che non solo vi era stata la crisi legata alle leggi Siccardi, ma anche gli eventi legati al progetto di legge per il matrimonio civile del 1852138, un vescovo influenzato dalle tesi controrivoluzionarie come era Ghilardi non si opponeva a celebrare una messa in ricordo della concessione dello Statuto. Inoltre, è bene rammentare che l’opposizione alle leggi Siccardi fu sostenuta non soltanto dall’area tradizionalista, ma anche dalla destra costituzionale e conservatrice piemontese139, rappresentata da personalità come Cesare Balbo140, che negava l’incompatibilità del foro con lo Statuto in base al sottointeso dell’articolo 1° della Costituzione141, e Ottavio Thaon di Revel142, il quale denunciava i metodi unilaterali utilizzati dal ministero nei confronti della Chiesa cattolica e la discordia che l’approvazione dei provvedimenti avrebbe generato nel paese. D’altra parte, anche negli anni successivi con un clima in crescente tensione, le personalità più rigide del clero subalpino nei confronti del governo non rifiutarono comunque a intrattenere relazioni con

137 ADM, Carte Ghilardi, Cartella 30, Corrispondenza con l’amministrazione civile 1843- 1871, Lettera del sindaco Danna al vescovo per comunicargli, d’accordo col Capitolo, l’orario della funzione religiosa per la festa dello Statuto, 6 maggio 1853, recto.

138 Gli eventi legati al progetto di legge del 1852 circa l’istituzione del matrimonio civile e la mobilitazione politica che si innescò fra la galassia reazionaria e il movimento anticlericale verrà trattata e analizzata nel capitolo successivo.

139 Cfr. P. Gentile, L’ombra del re cit., p. 62.

140 Cesare Balbo (1789-1853) fu uno storico e un uomo politico. Fu sostenitore dell’incontro del Cristianesimo con l’ideologia del progresso moderno e del Piemonte come fulcro dell’unificazione politica della penisola italiana. Cfr. E. Passerin d’Entrèves, Cesare Balbo, DBI, vol. 5, 1963, https://www.treccani.it/enciclopedia/cesare- balbo_%28Dizionario-Biografico%29/.

141 Cfr. P. Gentile, L’ombra del re cit., p. 62.

142 Ottavio Thaon di Revel (1803-1868) fu un uomo politico conservatore e ministro delle finanze del Regno di Sardegna fra il 1844 e il 1848. Non vide positivamente la promulgazione dello Statuto, ma al tempo stesso si comportò lealmente di fronte al nuovo regime costituzionale; infatti, diventò, in seguito alle elezioni del dicembre 1849, il punto di riferimento dei conservatori costituzionali alla Camera. Cfr. U. Levra, Ottavio Thaon di Revel, DBI, vol. 95, 2019, https://www.treccani.it/enciclopedia/thaon-di-revel- ottavio_%28Dizionario-Biografico%29/.

l’amministrazione dello Stato o con personalità governative. Semmai, era proprio lo Statuto che con le varie concessioni alle altre confessioni religiose, diverse da quella cattolica, presenti nel Regno introduceva dei mutamenti profondi nella costituzione materiale dello Stato. Il processo di laicizzazione venne, pertanto, notevolmente e con coerenza politica difeso dal movimento liberale e dagli anticlericali, ma chiaramente non poteva essere accettato dal clero e dalla galassia reazionaria, anche se le accuse di promuovere una guerra civile, un’aspra contrapposizione sostanzialmente, sono comprensibili soltanto se vengono inquadrate nell’asperità della polemica politica e culturale dell’epoca.

Ponendo nuovamente l’attenzione sul comunicato di Villanovetta, emerge inoltre come, nella prospettica dell’episcopato, il processo di laicizzazione costituisse una vera e propria guerra nei confronti della Chiesa Cattolica e mettesse in pericolo le stesse basi della fede religiosa. In questi aspetti vi era l’influenza della linea tradizionalista di figure come quella di Ghilardi, ma al tempo stesso la prospettiva che la Santa Sede trovasse un accordo con il governo sabaudo dimostra che all’interno del documento inviato al pontefice rimanessero presenti anche le istanze più concilianti del monsignor Luigi Fantini. Questi, d’altra parte, si trovava in una situazione certamente non facile anche a causa dei propri rapporti personali con esponenti della realtà liberale piemontese, come con lo stesso Santarosa, a cui Fransoni negò l’estrema unzione. Infatti, era stato proprio Santarosa che alla fine del 1849 a battersi per la nomina di Fantini a senatore del Regno ed era venuto a instaurarsi un forte rapporto di stima fra i due uomini143. In tal modo, infatti, in una lettera del 19 dicembre inviata al monsignore, si esprimeva Santarosa sul vescovo appena nominato senatore:

Ebbi la soddisfazione di sapere che il Consiglio aveva esaudito i miei voti, e che Ella era compresa fra i nuovi senatori; del che mi è dolcissimo darle il primo la notizia. E’ inutile ch’io le dica con quanto piacere io mi sono veduto dalla fortuna in quest’occasione tratto in mezzo a tali umane brighe, che ho potuto adoperarmi in alcun che relativo alla sua veneranda persona; né ho mestieri di ripeterle siccome io

143 Cfr. M. F. Mellano, Ricerche sulle leggi Siccardi cit., p. 51.

sia persuaso dell’ottimo acquisto che farà con Lei il Senato e il Paese. Mi lusingo possa esserle gradita questa notizia, ed allora son più che contanto di questo che d’ogni altra cosa, e mi compiaccio delle più frequenti occasioni ch’Ella avrà di venire a Torino, dove fra non molto mi affido di vederla arrivare. Potessi io viver tanto ancora e valer tanto in credito ed influenza un dì, da far sì che la sua pastorale stanza abbia a fissarsi anche qui pel bene di questa Chiesa, stata fin qui tanto strapazzata e vilipesa. Ma Dio non ha bisogno di questo più di quell’altro per far quel che vuole. Altri a suo tempo opererà la traslocazione, che io le profetizzo, ed a me voglio Ella porti la medesima fede che mia moglie alle sue profezie144.

Interessante è sottolineare il legame di stima esistente fra Fantini e Santarosa, poiché dimostra anche le difficoltà personali e di coscienza che arrecò lo scontro che il governo piemontese portò avanti nei confronti del clero subalpino.

Fantini, d’altra parte, era comunque cosciente che il suo tentativo di mediazione, circa la crisi nata dalle leggi Siccardi, era destinato a porsi in contrasto con le posizioni in merito della Santa Sede. A questo proposito può essere utile riportare le parole che il vescovo di Fossano scrisse al suo confratello di Saluzzo in una lettera del 13 agosto 1850:

Senza parlare più né di congressi né di riunioni, ora parmi sia venuto il tempo di unirci in buona volontà, e presto, e quindi fare un indirizzo calmo, dignitoso, ma energico al Papa, in cui esponendo che il governo del Re per fatti recenti (senza nominarli) mostrando di volere a qualunque costo sostenere e far sì che siano adempiute le sue leggi, la Chiesa Piemontese trovasi ormai in tali strette che se la mano paterna del Pontefice non viene a ritrarla corre gravi pericoli. L’Episcopato è al bivio di far due mali: disubbidire al Papa od aiutare a distruggere la Religione.

Questa memoria da noi sottoscritta vorrei che fosse communicata [sic. comunicata] al governo del Re (perché gl’è inutile illudersi: voler fare altrimenti si chiama opposizione) affinchè sappia cosa da noi si fa, che non si vuol punto osteggiare il paese, si vuol salvare la Religione.

Io credo adunque sia venuto questo tempo. Già ne scrissi ad Alba, Pinerolo, Cuneo. Questi scriverà a Mondovì, Pinerolo ad Ivrea; Ella potrebbe scriverne a Susa.

144 Ivi, p. 52.

Studiamo qualche modo di salvare la Religione e se non possiamo salvare la mitra, Dio provvederà.

Sia cortese rispondermi subito se approva il mio progetto.

In attenzione della quale risposta, mi protesto co’ sensi del più distinto affetto145

In ogni caso, la posizione del romano pontefice era ormai risoluta verso una chiara condanna della linea politica ormai intrapresa dal governo del Regno di Sardegna. Infatti, il 1° novembre 1850 Pio IX, con un’allocuzione di tono severo, ribadiva ufficialmente la sua formale disapprovazione nei confronti dell’operato del governo sabaudo, accusato di agire in contrasto con le istanze della Santa Sede146.

Tornando per un breve momento sulla seconda delle leggi Siccardi, è da sottolineare che l’importanza della legge n. 1037, relativa ai beni dei corpi morali, non è circoscritta al solo Regno di Sardegna, perché verrà via via estesa all’Italia unita, tramite i decreti provvisori, e avrà una sua unitaria regolamentazione con il regio decreto del 26 giugno 1864, n. 1817; tramite il codice civile del 1865; con il regio decreto del 22 marzo 1866, n. 2832 e con la legge 21 giugno 1896 n. 218 sugli acquisti dei corpi morali147. Proprio per questo la frattura con il mondo cattolico venutasi a creare nel Regno sabaudo nella metà del diciannovesimo secolo assume una rilevanza particolare, per via di avere successivamente traslato questa lacerazione nello Stato unitario.

145 Ivi, p. 54.

146 Ivi, p. 29.

147 Ibid.

divisore 4
Cavour, la sua idea di religione e i punti di contatto con il liberalismo subalpino

Fra i protagonisti di questo processo di lacerazione fra il Regno di Sardegna e la Chiesa cattolica vi è senza dubbio il conte di Cavour. Tracciare e trattare un’ampia descrizione delle intere vicende che videro relazionarsi il conte con le varie personalità del cattolicesimo è un fine che esula dai propositi di questo lavoro. Delineare, però, un breve profilo di quelle che furono le premesse culturali di Cavour con la realtà cattolica e, più in generale, con il fenomeno religioso può comunque essere utile a comprendere meglio il quadro politico in cui si svolse la rottura dello Stato sardo con la Santa Sede, e di cui il conte fu uno dei protagonisti politici, sul fronte laicista, di questo processo. Cavour, invero, non sostenne solo le leggi Siccardi, come è stato sottolineato in precedenza, ma fu un importante fautore del progetto di legge per l’istituzione del matrimonio civile nel 1852 e fu il suo primo governo a presentare la legge sui conventi il 28 novembre 1854, vicende che verranno trattate nelle pagine successive di questo lavoro. Da qui la sua importanza.

Innanzitutto, è bene premettere che il contesto culturale della famiglia Cavour non era caratterizzato da apertura nei confronti della Rivoluzione francese e costoro erano ben inseriti nel contesto sociale dell’«Ancien Régime»148. Padre di Camillo era Michele Benso di Cavour149, il quale sposò la ricca ginevrina Adele Sellon il 17 aprile 1805150. Le motivazioni che portarono Michele a scegliere Adele furono legate sì al riconosciuto buon carattere della donna, ma soprattutto alla cospicua dote della fanciulla svizzera e al consistente patrimonio economico della famiglia151. Di fronte alla situazione finanziaria allora non affatto facile della famiglia Cavour, l’unione con la facoltosa famiglia dei

148 Cfr. A. Viarengo, Cavour, Salerno, Roma 2010, p. 23

149 Michele Benso di Cavour (1781-1850) fu padre di Camillo. Riuscì a porre rimedio alla difficile situazione finanziaria della famiglia. Fu amico del re Carlo Alberto e, fra l’altro, fu vicario e sovrintendente generale di politica e polizia della città di Torino fra il 1835 e il 1847. Cfr. M. Grosso, Michele Benso marchese di Cavour, DBI, vol. 23, 1979, https://www.treccani.it/enciclopedia/michele-benso-marchese-di-cavour_%28Dizionario- Biografico%29/.

150 Cfr. A. Viarengo, Cavour cit., pp. 23-25.

151 Ivi, p. 25.

Sellon veniva, pertanto, in loro aiuto. Così vennero a legarsi due famiglie provenienti da estrazioni alquanto differenti. Da un lato quindi i Cavour: mediocre aristocrazia subalpina coniugata alla prestigiosa aristocrazia savoiarda e cattolicissima dei de Sales, i cui beni, però, erano stati confiscati dalla repubblica francese all’atto di annessione della Savoia152. Infatti, era stato proprio l’avvio del tentativo di ottenere la restituzione del patrimonio economico della famiglia, oltre alla consapevolezza di non poter riuscire a vivere in un Piemonte repubblicanizzato e francesizzato, che aveva spinto nel 1801 Michele e lo zio Uberto sulla via di Ginevra, dove conobbero i Sellon153. Dall’altro lato, appunto, i già citati Sellon: una facoltosa e influente famiglia ginevrina di ascendenza ugonotta154. Ginevra, in quegli anni a cavallo fra il XVIII e XIX secolo, era una delle capitali intellettuali d’Europa, poiché non era stata solo la patria di Jean-Jacques Rousseau, ma anche luogo di nascita del cosiddetto «Rèveil», la grande ripresa dello spirito religioso protestante di quegli anni155. Inoltre, era proprio a Ginevra che, negli anni napoleonici, grazie a Madame de Staël e a Benjamin Constant156 si sviluppò poi tanta parte del pensiero liberale ottocentesco157. Pertanto, questo era il contesto culturale di provenienza di Camillo Cavour. Il nucleo familiare di Adele e Michele, quindi, nasceva all’insegna del cosmopolitismo, ma anche di una concezione della vita improntata all’impegno, al senso del dovere e alla serietà, derivassero questi dal mondo controriformistico dei de Sales, dalla concezione militare dei Cavour, piuttosto che dal sentimento religioso proveniente dal mondo riformato dei Sellon158.

152 Ibid.

153 Ivi, pp. 23-25.

154 Ivi, p. 25.

155 Cfr. A. Viarengo, Cavour cit., p. 24.

156 Benjamin Constant (1767-1830) fu uno scrittore e politico francese. Fu uno dei teorici più importanti del costituzionalismo liberale, al quale egli contrapponeva l’anarchia e la dittatura militare. Cfr. Dizionario di Storia, 2010, Benjamin-Henry Constant de Rebecque, https://www.treccani.it/enciclopedia/constant-de-rebecque-benjamin- henri_%28Dizionario-di-Storia%29/.

157 Cfr. A. Viarengo, Cavour cit., p. 24.

158 Ivi, pp. 25-26.

Proseguendo su un’analisi della formazione culturale dell’economista piemontese non è possibile non affrontare, seppur brevemente, il tema dell’influenza che i suoi viaggi europei ebbero nella sua visione del mondo. Infatti, risalgono al 1835 i suoi primi viaggi in Europa. In compagnia di Pietro di Santarosa159, Cavour fece tappa a Ginevra, Parigi, Londra e Bruxelles160. Il riferimento ai luoghi che il conte visitò nell’Europa dell’epoca non è qualcosa di irrilevante poiché il progetto politico dell’economista piemontese era proprio quello di uno Stato liberale allineato con gli impulsi culturali europei161. Non è errato, d’altra parte, affermare che Cavour fosse un uomo di cultura anglo- francese, che non italiana, se si pone l’attenzione al fatto che parlava e scriveva praticamente quasi solo in francese162, al punto che quando fu eletto alla Camera163 ebbe difficoltà nel pronunciare i suoi discorsi in italiano164. La realtà della penisola fu lontana dall’orizzonte culturale cavouriano, in particolare nei suoi anni giovanili; non è dunque un caso se il conte viaggiò pochissimo per l’Italia e addirittura non mise mai piede a Napoli e a Roma165. La lontananza cavouriana dalla realtà culturale della penisola, cui faceva da contraltare l’interesse per la Francia post-rivoluzionaria e per l’Inghilterra terra della rivoluzione industriale, era qualcosa che, però, includeva anche il Piemonte dell’età carloalbertina. Del Piemonte e della società piemontese egli non possedeva certo un’opinione positiva, poiché era un contesto che sin da giovane

159 Il sostegno del conte piemontese circa l’espulsione dell’arcivescovo Fransoni si spiega anche per via dell’amicizia personale che intercorreva fra Cavour e Santarosa, a cui, come sottolineato in precedenza, fu negata l’estrema unzione.

160 Cfr. E. Passerin d’Entrèves, DBI, Camillo Benso conte di Cavour, vol. 23, 1979, https://www.treccani.it/enciclopedia/camillo-benso-conte-di-cavour_(Dizionario- Biografico)/#:~:text=Nacque%20a%20Torino%20il%2010,Il%20giovane%20C.

161 Cfr. L. Cafagna, Cavour, ilMulino, Bologna 1999, pp. 13-14.

162 Ivi, p. 82.

163 Cavour fu eletto alla Camera del Regno di Sardegna grazie alle elezioni suppletive del giugno 1848. Cfr. E. Passerin d’Entrèves, Camillo Benso Conte di Cavour, DBI, vol. 23, 1979, https://www.treccani.it/enciclopedia/camillo-benso-conte-di-cavour_(Dizionario- Biografico)/#:~:text=Nacque%20a%20Torino%20il%2010,Il%20giovane%20C.

164 Cfr. L. Cafagna, Cavour cit., p. 82.

165 Ivi, p. 83.

gli stava stretto ed è in tal modo che, infatti, si esprime in una pagina del suo diario datata 13 luglio 1834:

Se fossi inglese, a quest’ora sarei già qualcuno e il mio nome non sarebbe sconosciuto. Ma sono piemontese, e visto che non posso cambiare, devo almeno cercare di non rendermi ridicolo166.

Il giovane Cavour, che nel 1830 criticava il clima di clericalismo permeante tutta la penisola, non escludeva certamente da questa cruda asserzione la sua terra natia167.

Per contro, era infatti a quella che egli definiva «l’Europa in marcia», ovvero l’Europa che sosteneva e propugnava i concetti di progresso e di libertà, a cui rivolgeva lo sguardo168. Il tema del progresso era il complesso punto d’approdo di una visione secolarizzante sulle vicende dell’uomo, in cui non veniva esclusa completamente l’importanza della sfera religiosa, ma si criticava la concezione che tutto dovesse necessariamente dipendere da un inconoscibile disegno divino169. Nella weltaschaung cavouriana si trovano, infatti, differenti concezioni di progresso. Senz’altro progresso in quanto affermazione generale di un movimento in avanti della società nel suo complesso, di una sua irreversibile continuità o di una sua possibile discontinuità e reversibilità170. Oltre a questa declinazione del concetto di progresso, di cambiamenti irreversibili visti comunque come un qualcosa di positivo, non è estranea un’accezione di progresso con un chiaro riferimento all’evoluzione delle scienze e delle tecniche, di cui si ipotizzano positive conseguenze di natura sociale, per via di una maggiore disponibilità di beni171. Infine, non manca neanche la presenza del progresso inteso come esercizio nella pratica individuale172.

166 Ivi, p. 87.

167 Ivi, pp. 86-87.

168 Ivi, p. 90.

169 Ivi, p. 91.

170 Ivi, p. 96.

171 Ivi, p. 97.

172 Ibid.

La nozione di progresso, in ogni caso, non era certo slegata con l’idea di libertà, con la quale ne era bensì intrecciata. Per Cavour progresso significava liberazione di forze e di energie, e da qui nasceva il suo riconoscimento nei principi del liberalismo economico, il quale era inteso essenzialmente come liberazione di energie positive. Un liberismo che non producesse energie supplementari veniva percepito come privo di senso e per il conte piemontese non poteva, certamente, essere disgiunto dal liberalismo politico, poiché l’uno era il corollario dell’altro173.

Il rapporto culturale e metapolitico di Cavour con il liberalismo, la sua religione civile del progresso e il suo riconoscersi nell’universo teorico francese e inglese, anziché in quello prussiano, asburgico o zarista174, sono importanti da sottolineare, al fine di concepire la weltaschaung cavouriana circa i rapporti fra lo Stato e la Chiesa. La Francia, in particolare, e le sue vicende politiche furono sempre sotto l’attenzione dell’uomo politico piemontese e funsero da costante riflessione di teoria politica, anche in riferimento alla penisola italiana. Un esempio di quest’attenzione alla realtà politica transalpina emerge dalla lettera scritta ad Alessandro Bixio175 il 23 ottobre 1848, dove Cavour descriveva le sue impressioni circa gli avvenimenti del ’48 francese:

Mio caro signore,

Sono rimasto molto toccato dal vostro bel pensiero, vi ringrazio proprio sinceramente di esservi ricordato di noi nel mezzo delle agitazioni politiche in cui vivete, e di darcene così gentili prove come quelle [lettere] ricevute alcuni giorni orsono.

Vi faccio le mie felicitazioni per aver rinunciato allo stato d’assedio176; se è inevitabile una seconda battaglia tra le strade di Parigi per stabilire su solide basi la repubblica

173 Ivi, p. 99.

174 Ivi, p. 100.

175 Giacomo Alessandro Bixio (1808-1865), fratello di Nino, emigrato a Parigi, era, allora, capo gabinetto del ministro degli Esteri Lamartine. Nella primavera del 1848 era stato brevemente ambasciatore a Torino. La conoscenza con il conte Camillo Cavour risaliva agli anni dei soggiorni parigini dell’economista piemontese. Cfr. B. Gille, DBI, Giacomo Alessandro Bixio, vol. 10, 1968, https://www.treccani.it/enciclopedia/giacomo-alessandro- bixio_%28Dizionario-Biografico%29/.

176 Lo stato d’assedio, che era stato votato dall’assemblea costituente francese il 24 giugno 1848, era terminato il 19 ottobre.

onesta, è meglio che essa abbia luogo il più presto possibile. Spero che il risultato definitivo di questa lotta contro l’anarchia sia lo stesso di quello delle giornate di giugno, senza che costi così caro alla Francia, e senza che i vostri amici debbano ancora provare crudeli incertezze.

Mi interesso come se fossi un francese al successo del partito di cui voi siete uno dei più fermi sostenitori, e faccio ardenti voti perché voi riusciate a fondare una repubblica veramente liberale, che aumenti il benessere e la felicità di cui l’umanità può godere, che susciti l’invidia dei popoli più vicini invece di ispirargli giusti terrori.

Amico della libertà più che delle forme repubblicane, temo tuttavia per la Francia il trionfo dell’anarchia o della reazione, l’una e l’altra sarebbero fatali alla causa liberale. I nostri affari non sono bene avviati. Mancandoci l’appoggio della Francia, non possiamo fare né la pace né la guerra, cosa che ci pone in una delle più spiacevoli posizioni. Cercate di rianimare un po’ il signor Bastide177, che mi sembra molto freddo nei nostri confronti. L’occasione è propizia per indurre l’Austria a fare delle concessioni. Lacerata da una guerra di razze178, non può pensare di conservare in Italia una sovranità incerta che non avrebbe altro rimedio se non la forza bruta.

Castelli vi manda a dire le cose più affettuose e io vi prego di considerarmi come uno dei vostri amici più devoti179.

Ciò che è interessante rilevare da questa lettera di Cavour, al fine della nostra trattazione, non sono tanto i dettagli di ciò che stava avvenendo allora al di là delle Alpi. Quello che qui è importante sottolineare è che il conte non tralasciava il suo orizzonte di teoria politica, per quanto su tutta una serie di questioni le tesi cavouriane non erano distanti da quelle di altre figure del liberalismo subalpino. La sue idee di politica ecclesiastica non si discostavano ampiamente da quelle dei giurisdizionalisti come Siccardi180. L’opposizione tanto a soluzioni di carattere socialiste e anarcheggianti andava, comunque, di pari passo con l’avversione a proposte politiche reazionarie. L’avversione tanto a prospettive politiche rivoluzionarie

177 Jules Bastide (1800-1879) fu uomo politico francese, repubblicano. Allora era ministro degli Esteri. Cfr. Enciclopedia on line, Jules Bastide, https://www.treccani.it/enciclopedia/jules-bastide/.

178 Il riferimento è ella composita etnica dell’Impero asburgico.

179 A. Viarengo (a cura di), Camillo Benso di Cavour. Autoritratto. Lettere, diari, scritti e discorsi, Bur Rizzoli, Milano 2019, pp. 159-160.

180 Cfr. Silvio Ferrari, La politica ecclesiastica subalpina e le leggi Siccardi, in G. Griseri, G. S. Pene Vidari (a cura di), Giuseppe Siccardi, cit., p. 67.

quanto a quelle dai connotati tradizionalistici era condivisa, peraltro, da una personalità come quella di Massimo d’Azeglio181, il quale, fra l’altro, già nel 1851 si mostrava insofferente nei confronti dei pungenti editoriali dell’«Armonia» e della «Campana»182. Interessante, poi, era che Cavour anteponesse le concezioni liberali alla forma politica repubblicana ed è difficile non cogliere in questo un evidente influenza sul conte di Tocqueville183, con le sue paure per le tensioni egualitarie presenti fra le componenti politiche progressiste184. Il filosofo francese, d’altra parte, era stato di notevole influenza sulle idee dell’economista piemontese; egli sosteneva la curiosa tesi che il senso religioso fosse ridotto ai minimi termini negli ultimi tempi dell’«Ancien régime» ed esprimeva un giudizio assai severo circa il ruolo di grande rilevanza che esercitava il clero cattolico nel contesto politico e sociale dell’Europa pre-rivoluzionaria, con le strette modalità che la Chiesa metteva in campo al fine di un controllo della popolazione185. Se si guarda al processo anticlericale avvenuto nello Stato sabaudo, di cui Cavour fu uno dei massimi sostenitori e protagonisti, che avvenne all’interno del Regno di Sardegna, con la progressiva riduzione forzata del peso politico, giurisdizionale e sociale del cattolicesimo e dei suoi rappresentanti, a prescindere dalle consuetudini tradizionali vigenti in quei territori, non è infondato sostenere un’influenza, fra il resto, di autori appartenenti alla scuola del liberalismo francese come Tocqueville. D’altra parte fu già lo studioso

181 Cfr. M. d’Azeglio, Epistolario (1819-1866), vol. VI, cit., p. 134, lettera di Massimo d’Azeglio a Emanuele d’Azeglio, 3 settembre 1850.

182 Ivi, p. 330, lettera di Massimo d’Azeglio a Ippolito Spinola, 28 luglio 1851.

183 Charles-Alexis-Henry Clerel de Tocqueville (1805-1859) fu uno storico e uomo politico francese. Con i suoi scritti e la divulgazione delle sue teorie è diventato uno dei massimi teorici del liberalismo ottocentesco. Cfr. Dizionario di Storia, 2011, Charles-Henry Clérel de Tocqueville, \https://www.treccani.it/enciclopedia/charles-alexis-henri-clerel-de- tocqueville_%28Dizionario-di-Storia%29/.

184 Cfr. L. Cafagna, Cavour cit., p. 107.

185 Ivi, p. 128.

Domenico Berti186 a sostenere l’influenza di Tocqueville sul conte piemontese circa il sostegno cavouriano ad una linea separatista fra Stato e Chiesa187:

La Democrazia in America di Alessio Tocqueville rispondeva nel suo insieme alle idee del conte di Cavour. Egli ne fece un profondo esame. E fu in questo libro che trovò esposta con calma e difesa con sincerità di convincimento la dottrina della separazione della Chiesa dallo Stato188.

Fra gli studiosi che hanno sottolineato l’importanza di Tocqueville sulla formazione culturale di Cavour vi fu anche Francesco Ruffini189, che, al tempo stesso, riconduceva la concezione cavouriana di libertà religiosa a una matrice elvetico-calvinistica e, pertanto, collegata ai principi libertari che erano riusciti ad affermarsi anche nello stato repubblicano degli Stati Uniti d’America.

Proseguendo la nostra trattazione circa il profilo culturale e politico di Cavour, con un riferimento particolare agli aspetti relativi il fenomeno religioso e il cattolicesimo, è altresì utile sottolineare che, al di là dell’importante riferimento dello scrittore di Verneuil, fu, però, dalla lettura di Benjamin Constant, autore già citato in precedenza, che l’economista piemontese ne ricavò, in sostanza, la duplice conclusione del carattere storico e relativo delle convinzioni religiose positive, ma, al tempo stesso, dell’insopprimibilità antropologica del fatto religioso190. Per quanto, di conseguenza, il conte piemontese fosse certamente convinto dell’importanza religiosa nella formazione morale e civica e che l’affermazione del principio della libertà non può non tenere conto dello spazio dedicato al fatto religioso, egli, al tempo stesso, si trovò calato nel contesto storico di uno Stato europeo e italiano di metà ‘800 che, attraverso una classe dirigente sempre più impregnata di idee liberali, ambiva a portare avanti un

186 Domenico Berti (1820-1897) fu uomo politico e pedagogista italiano. Cfr. G. P. Nitti, Domenico Berti, vol. 9, 1967, https://www.treccani.it/enciclopedia/domenico- berti_%28Dizionario-Biografico%29/.

187 Cfr. R. Pertici, La cultura dell’Italia unita. Saggi e interventi critici, Viella, Roma 2018, p. 143.

188 Cfr. D. Berti, Il Conte di Cavour avanti il 1848, Fasani, Milano 1945, p. 235.

189 Francesco Ruffini (1863-1934) fu un giurista, storico e politico italiano. Cfr. Francesco Ruffini, DBI, vol. 89, 2017, https://www.treccani.it/enciclopedia/francesco- ruffini_%28Dizionario-Biografico%29/.

190 Cfr. L. Cafagna, Cavour cit., p. 129.

progetto di modernizzazione, rompendo, come vedremo in maniera anche violenta, con tutto quel sistema giurisdizionale che garantiva al clero cattolico una posizione di indubbio rilievo giuridico, politico e sociale191. Il tutto in uno Stato che, come è stato riportato anche in precedenza, era allora fortemente legato a concezioni tradizionali del potere e della stessa società.

Cavour, anche per quello che riguardava il Piemonte, infatti, fu sempre estraneo a concezioni culturali tradizionalistiche, poiché non vi era in lui alcuna propensione intrinseca per la monarchia, per gli ordinamenti pre-rivoluzionari o per la legittimazione religiosa della monarchia192.

Il conte, infatti, cercò, nel limite delle circostanze che venivano a presentarsi, di calare l’idea nella prassi della sua azione politica.

Se è stato in precedenza accennato il fatto che Cavour si sentisse fuori luogo nel contesto culturale del Piemonte carloalbertino, ancora troppo legato, secondo la sensibilità del conte, a logiche istituzionali e politiche conservatrici e non liberali193, è, pertanto, opportuno sottolineare come la promulgazione nel Regno di Sardegna dell’ordinamento costituzionale, nella chiave di lettura del politico piemontese, avvenisse sotto il segno di un’importante discontinuità con il sistema politico assolutistico. Cavour, infatti, guardava agli ordinamenti costituzionali liberali, figli della cultura filosofico-politica anglo-francese, come a una ridefinizione del principio di sovranità, dal momento che ricorreva frequentemente nel suo linguaggio politico il termine di «patto sociale»194 stretto tra il monarca e il proprio popolo195. D’altra parte Cavour fu tra coloro

191 Ivi, pp. 130-131.

192 Ivi, p. 113.

193 Cfr. R. Romeo, Cavour e il suo tempo, vol. II (1842-1854), Laterza, Roma-Bari, Laterza 1977, p. 245.

194 Il termine «patto sociale» risale alle teorie dei filosofi politici seicenteschi come Hobbes e Locke. Costoro possono, certamente, essere inseriti fra quegli studiosi che hanno propugnato una secolarizzazione delle strutture degli organismi statuali. Cfr. Dizionario di Storia, 2010, Thomas Hobbes, www.treccani.it/enciclopedia/thomas- hobbes_%28Dizionario-di-Storia%29/; Dizionario di Storia, 2010, John Locke, https://www.treccani.it/enciclopedia/john-locke_%28Dizionario-di-Storia%29/.

195 Cfr. F. Traniello, Stato, Chiesa e laicità in Cavour, in U. Levra (a cura di), Cavour, l’Italia e l’Europa, ilMulino, Bologna 2011, p. 130.

che si opposero al principio di «irrevocabilità» dello Statuto, poiché la società sarebbe stata privata:

dell’indispensabile potere di modificare le sue forme politiche a seconda delle nuove esigenze sociali196.

Pertanto, emergeva nuovamente quella concezione dinamica della società che fu una cifra peculiare del pensiero politico cavouriano e del suo liberalismo. Infatti, il liberalismo cavouriano esprimeva una fiducia importante nella forma di progresso di cui era portatrice la libera attività economica197. Ma, venendo, più specificamente, alla tematica religiosa, è importante far rilevare come il conte fu fra gli esponenti politici che maggiormente sostennero il processo di parificazione dei culti confessionali presenti sul territorio soggetto alla giurisdizione savoiarda. Il ridimensionamento del ruolo del cattolicesimo piemontese passava, infatti, da un radicale cambiamento del ruolo giuridico della Chiesa cattolica nel Regno di Sardegna. Cavour, inoltre, oltre ad esaltare l’operato della classe dirigente sabauda dell’epoca, arrivò a prefigurare che questo tipo di cambiamenti si diffondesse successivamente a tutta la penisola italiana:

Un principio qual si è quello della libertà dei culti, non può essere introdotto nella Costituzione di un popolo altamente civile, per via indiretta: deve essere proclamato come una delle basi fondamentali del patto sociale. Epperciò non dubitiamo d’asserire che quando l’epoca prevista del discorso del Trono sarà giunta, in cui la desiderata fusione di varie parti della penisola coi nostri Stati renderà opportuno il promuovere quelle mutazioni nelle leggi che valgano a far grandeggiare i destini della patria, in allora non si ometterà più, nella Magna Carta italiana, di dichiarare nel modo più esplicito essere ogni coscienza un santuario inviolabile, e doversi accordare a tutti i culti un’intera libertà198.

Queste parole del politico torinese sono importanti da riportare, poiché è senza dubbio notevole che già nel 1848 il processo di parificazione confessionale che si stava attuando nel Regno di Sardegna si pensava potesse essere esportabile

196 C. Cavour, in «Il Risorgimento», 10 marzo 1848.

197 Cfr. R. Romeo, Cavour e il suo tempo, vol. II, cit., p. 209

198 C. Cavour, in «Il Risorgimento», 18 maggio 1848. Il corsivo è nel testo.

nel resto della penisola, a prescindere dagli eventuali sconvolgimenti sociali che un progetto del genere avrebbe potuto provocare199 e dal fatto che fosse stato il cattolicesimo, e non altre confessioni religiose, ad avere costituito comunque nel corso dei secoli un indubbio fattore di unità culturale, oltreché spirituale. Non è quindi un caso che la politica ecclesiastica che operò successivamente il Regno d’Italia fu uno degli ambiti principali in cui po’ essere intravisto il processo di «piemontesizzazione» che ebbe le radici nel contesto del Piemonte cavouriano200

Al tempo stesso Cavour auspicava che il cattolicesimo abbracciasse le battaglie che in quel preciso momento storico i raggruppamenti politici liberali stavano intraprendendo in Europa, tentando di sganciare il fenomeno religioso dal suo peso di natura pubblica201. Per il conte la religione cattolica era guardata sì come una componente principale della civiltà moderna, ma, allo stesso tempo, nella politica ecclesiastica cavouriana stava iscritta un’istanza di riforma religiosa del cattolicesimo, al punto da costituirne un tratto imprescindibile202. Istanze di riforma religiosa che facevano da eco alle tesi che aveva sostenuto il suo contemporaneo Vincenzo Gioberti, e non è un caso che il conte ritenesse il filosofo torinese una personalità dotata di grande ingegno, per quanto meno di senso comune:

Gioberti è tuttora un gran bambino di genio. Sarebbe un grand’uomo se fosse dotato di senso comune203.

Gioberti, in particolare, come è stato scritto in precedenza, vedeva nell’ordine gesuita e nel tipo di religiosità devozionale che esso propugnava il principale

199 Infatti, non è da sottovalutare il vero e proprio ruolo di assistenza sociale e di contrasto alla povertà che la Chiesa cattolica aveva assunto in vari Stati italiani come il Regno delle Due Sicilie. Cfr. P. Malanima, N. Ostuni (a cura di), Il Mezzogiorno prima dell’Unità. Fonti, dati, storiografia, Rubbettino, Soveria Mannelli 2013, pp. 311-338.

200 Cfr. G. Cotroneo, P. Quaglieni (a cura di), Cavour. Discorsi su Stato e Chiesa, Rubbettino, Soveria Mannelli 2011, pp. 16-17.

201 Cfr. F. Traniello, Stato, Chiesa e laicità in Cavour, in U. Levra (a cura di), cit., ilMulino, Bologna 2011, p. 132.

202 Ivi, p. 133.

203 Cfr. C. Cavour, Epistolario, vol. IX, 1852, a cura di C. Pischedda e R. Roccia, Firenze, Olschki, 1984, p. 269, Cavour a Michelangelo Castelli, 3 ottobre 1852.

ostacolo dell’incontro fra la fede cattolica e la modernità occidentale. D’altra parte, però, la stessa Chiesa cattolica nel XIX secolo incoraggiò un certo tipo di religiosità che andava distanziandosi da quella di impronta razionalistica propagandata da personalità come Ludovico Antonio Muratori204 nel secolo precedente, favorendo una «religione del cuore», composta da gesti, riti e pratiche205, molto più affine a quella predicata dall’ordine gesuita. Ordine che si era imposto come alfiere dei principi istituzionali e culturali tradizionalistici, legati al legittimismo monarchico e alla difesa delle consuetudinarie tradizioni giuridiche in cui la Chiesa cattolica manteneva un forte peso giurisdizionale.

L’obiettivo cavouriano, circa la politica ecclesiastica, era che la Chiesa cattolica, al pari delle altre comunità religiose, si autodeterminasse senza mettere in crisi la libertà di culto206. Di fatto, però, egli appoggiò il processo di escludere la Chiesa dalla giurisdizione temporale all’interno del Regno di Sardegna. In questo, le prospettive cavouriane finirono per coincidere con quelle di Giuseppe Siccardi, a tutti gli effetti un’altra importante personalità del liberalismo piemontese. Con l’approvazione delle leggi separatiste nel 1850 i due politici liberali concordarono nel conservare quasi tutti gli strumenti di controllo sull’attività della Chiesa ereditati dall’«Ancien Régime»207. Nei confronti della purezza dei principi separatistici, infatti, furono poste ampie deviazioni a favore del ruolo del potere civile, poiché tanto Cavour quanto Siccardi ritenevano necessario mantenere integro l’arsenale giurisdizionalista di cui disponeva lo Stato finché la Chiesa cattolica non avesse abbandonato la propria ostilità per gli ordinamenti liberali208. D’altra parte Siccardi si era laureato in Giurisprudenza a Torino nel 1824, il contesto universitario torinese

204 Ludovico Antonio Muratori (1672-1750) fu un ecclesiastico, storico e letterato italiano. Cfr. G. Imbruglia, Ludovico Antonio Muratori, DBI, vol. 77, 2012, https://www.treccani.it/enciclopedia/ludovico-antonio-muratori_%28Dizionario- Biografico%29/.

205 Cfr. P. Cozzo, In cammino. Una storia del pellegrinaggio cristiano, Carocci, Roma 2021, p. 206.

206 Cfr. F. Traniello, Stato, Chiesa e laicità in Cavour, in U. Levra (a cura di), cit., ilMulino, Bologna 2011, pp. 133-134.

207 Cfr. Silvio Ferrari, La politica ecclesiastica subalpina e le leggi Siccardi, in G. Griseri,

G.S. Pene Vidari, Giuseppe Siccardi, cit., pp. 80-81.

208 Ivi, p. 81.

poteva vantare un’importante scuola giurisdizionalista, i cui insegnamenti si connotarono in particolare per il carattere anticuriale, e a metà XIX secolo, quindi, questo bagaglio culturale e giuridico poteva essere di grande aiuto alla classe dirigente sabauda per imporre una politica ecclesiastica anticuriale209. Nel propagandare il suo sostegno alle leggi Siccardi, Cavour sosteneva che l’applicazione del principio di libertà di coscienza avrebbe accresciuto l’influenza sulla società e il peso della religione e dei suoi ministri210. Perché questo avvenisse, però, sempre secondo la weltaschaung del politico torinese, era necessario che il cattolicesimo si spogliasse di tutto quello che lo poneva in antagonismo con le esigenze etiche della società moderna e, di fatto, il disegno cavouriano prevedeva, per lo meno secondo le parole che egli espresse, anche un progetto di modernizzazione religiosa211. D’altra parte, l’idea che la forma che il cattolicesimo aveva assunto nei secoli stesse mutando non era estranea anche ad altre figure del liberalismo subalpino, tra cui quella di Massimo d’Azeglio. Egli, infatti, riteneva esaurito l’importante ruolo di guida morale che la Chiesa cattolica aveva detenuto sino a quel momento del XIX secolo:

Credo che, sotto la forma attuale almento, il cattolicismo non se ne va, ma è bell’e andato a quest’ora. Pensare che molti miglioni d’uomini seguitino indefinitamente a considerare come tribunale di morale e verità quella compagnia di birboncini che si chiama per civiltà la S[anta] Sede, mi par che sia un voler scherzare. Virtualmente si vede che il loro regno sulle volontà è finito. Prova le scomuniche e la paura che fanno. In pratica appena non vi sarà più due armate a far la guardia vedrai come finiscono a Roma i preti. Pazienza Roma, ma il male è che con lei il senso religioso se n’anderà, e allora212?

Queste prospettive, fra l’altro, emergono in maniera assai decisa in un’importante discorso che il conte pronunciò il 7 marzo 1850 alla Camera dei Deputati, in occasione del processo legislativo che portò all’approvazione delle

209 Cfr. P. Casana, La vita di Giuseppe Siccardi e la sua attività di magistrato, in G. Griseri,

G. S. Pene Vidari (a cura di), Giuseppe Siccardi, cit., pp. 38-39.

210 Cfr. F. Traniello, Stato, Chiesa e laicità in Cavour, cit., p. 136.

211 Ivi, pp. 136-137.

212 Cfr. M. d’Azeglio, Epistolario (1819-1866), vol. VI, cit., p. 139, lettera di Massimo d’Azeglio a Roberto d’Azeglio, 8 settembre 1850.

leggi Siccardi. Per via dell’importanza dei concetti espressi, si riportano in questa sede le parole allora utilizzate:

Signori, la legge che ora è sottoposta alla nostra deliberazione viene combattuta con due maniere di argomenti, gli uni tratti dal diritto civile e canonico, gli altri tratti da considerazioni politiche che si fondano specialmente sulla non opportunità della legge. Quanto al primo argomento, io non mi farò a combatterlo, giacché per ciò che mi mancherebbe la dottrina, e quand’anche l’avessi, non potrei farlo certamente in modo adeguato al soggetto, e d’altronde non farei che ripetere in una maniera molto meno soddisfacente quello che venivano ieri esponendo con tanta dottrina, con tanta eloquenza l’onorevole ministro del culto, e l’onorevole mio amico Carlo Boncompagni213. Io mi limiterò unicamente a trattare la questione d’opportunità. […] Nella tornata di ieri due distinti oratori214 che siedono di questo lato della Camera, con parole piene di schiettezza e di nobiltà hanno esposte le ragioni per le quali credevano non poter aderire alla proposta ministeriale, e doversi perciò su questo punto separare dal maggior numero dei loro amici politici. […]

Prima che il magnanimo Carlo Alberto desse lo Statuto il Paese era diviso in due partiti: fra quelli che desideravano ardentemente le istituzioni liberali, quelli cioè che desideravano il progresso civile, e che, onde ottenerlo, non si sarebbero mostrati più o meno scrupolosi nei mezzi opportuni; e fra coloro i quali erano soddisfatti dello stato vigente di cose, e che a mantenerlo tale avrebbero adoperato tutti i mezzi onde potevano disporre. […]

Infatti l’immensa maggioranza degli amici del progresso accettarono lo Statuto, e quand’anche non lo trovassero conforme pienamente ai loro desiderii, lo riconobbero però adattato ai tempi, e bastevole per aprire la strada a quel progresso che era conforme ai loro desiderii. […]

213 Carlo Boncompagni (1808-1880) fu un politico torinese del Regno di Sardegna, di idee anticlericali. Fu ministro della Pubblica Istruzione nel 1848 e ministro di Grazia e Giustizia fra il 1852 e il 1853. Successivamente, inoltre, fu presidente della Camera dei deputati. Fra le vicende politiche più rilevanti, è ricordato per essere stato nel 1852 l’estensore del progetto di legge per l’istituzione del matrimonio civile. Questione che verrà trattata nella parte successiva di questo lavoro. Cfr. F. Traniello, Carlo Boncompagni di Mombello, DBI, vol. 11, 1979, https://www.treccani.it/enciclopedia/bon-compagni-di-mombello- carlo_%28Dizionario-Biografico%29/.

214 Il riferimento è a Thaon di Revel e a Cesare Balbo, entrambi contrari alla promulgazione delle leggi Siccardi.

Né mi si oppongano a questa mia asserzione le lotte parlamentari, più o meno accese, che ebbero luogo in questo Parlamento, giacché io ho l’intima persuasione che in questo Parlamento vi potessero bensì esistere delle dissidenze, dei diversi modi di pensare circa ai mezzi, ma che tutti più o meno fossero intesi ed uniti sullo scopo, e che in esso non vi esistesse altro partito che pienamente costituzionale non fosse. […] Finalmente vengo al quarto argomento, quello sul quale insisteva maggiormente l’onorevole signor Di Revel, ed è sulle conseguenze dell’attuale riforma nell’interno del Paese. Si teme che questa abbia ad inasprire gli animi, abbia ad alienare dal nostro sistema attuale una parte notevole del clero e del popolo, sul quale esso esercita un’influenza.

Se le attuali riforme intaccassero menomamente il principio cattolico, se le attuali riforme menomassero la condizione del sacerdozio, anch’io crederei questo risultato possibile; ma veramente non ho udito un solo oratore sostenere che da queste riforme ne nascesse realmente un danno al sacerdozio, che queste riforme intaccassero il principio cattolico. Anzi molte autorevoli persone hanno sostenuto ed à miei occhi provato che queste riforme erano altamente favorevoli al principio cattolico, erano altamente favorevoli a quelle legittime influenze che desideriamo vedere esercitate.

Infatti, o signori, il Cattolicismo ebbe sempre il gran merito di sapersi adattare ai tempi, di sapere, nella parte di esso mutabile, conformare il suo principio col partito che reggeva la società. Quindi ottimamente disse l’onorevole deputato Boncompagni, che quando la società posava sui privilegi, la Chiesa seppe farsi dare la sua parte di privilegi, e una parte piuttosto larga; ma ora che la società posa sul principio dell’eguaglianza, sul principio del diritto comune, credo che il clero cattolico saprà molto bene adattarvisi, saprà farli suoi, e con questo vedrà crescere la sua influenza, la sua autorità. […]

Si è parlato degli inconvenienti de’ processi intentati ai sacerdoti, di scandali pubblici che da questi potrebbero derivare; ma a ciò rispondo che nell’antico sistema pur troppo essendo possibile, e talvolta probabile l’impunità, gl’inconvenienti di essa erano ben più gravi, assai maggiori di quelli che potessero derivare dai processi intentati ai sacerdoti. Io credo che l’esempio di un sacerdote colpevole ed impunito noccia dieci volte più nella pubblica opinione di quello che potrebbe farlo un processo intentato nelle forme volute dalle leggi; che l’impunità di alcuni torni a grave danno di tutti, poiché dà luogo non solo alla maldicenza, ma pur anche alle calunnie. Il che non avverrà quando il sacerdote sarà sottoposto alle leggi comuni.

Dico adunque che le riforme proposte in ordine al foro ecclesiastico devono tornare altamente utili all’influenza del sacerdozio. Lo stesso può dirsi delle immunità e della legge di asilo. […]

Se ciò è vero, se le conseguenze delle riforme non possono essere di nocumento alla religione, sarebbe egli possibile che destasse negli animi dei sacerdoti un’ostilità duratura contro le nostre istituzioni, contro il governo e il Parlamento che queste riforme promuovono? Il sostenere questa tesi è fare un torto al sacerdozio, un crederlo capace di sentimenti puerili e bassi. Io nol credo, ed anzi ho la intima convinzione che queste riforme non avranno per effetto di sommuovere gli animi ed eccitare disprezzo contro di noi: al più ne potrà risultare qualche piccolo malumore, qualche passeggera irritazione, ma l’immensa maggiorità non tarderà, come diceva l’onorevole deputato Pernigotti215, a stringerci la mano ed offrirci il bacio di pace. E noi che non siamo così austeri come il deputato di Caraglio216 lo accoglieremo con sommo piacere, e stringeremo molto volentieri l’unione col sacerdozio, giacché portiamo ferma opinione che al progresso della società moderna si richiede il concorso delle due potenze morali che possono più agire sulla società, la religione e la libertà. […]

Ecco quello che a mio avviso succederà.

Io già vi dissi in altra parte del mio discorso che vi era un partito il quale aveva accolto con poco favore le nostre nuove istituzioni, e di questo partito alcuni sacerdoti fanno parte.

Io sono convinto essere questa una minorità; tuttavia è incontrastabile che vi sono sacerdoti i quali fanno parte di questo partito, e sono forse i più attivi, e, per denominarli con una parola un po’ forte, i più intriganti. Costoro però hanno finora più o meno celati i loro sentimenti, hanno nascosto le loro ostilità e si contentarono di muovere alle nostre istituzioni una guerra insidiosa. Ora con questa legge si è somministrato loro un motivo, un pretesto per dichiararsi apertamente. Quindi il solo effetto che in che in ordine al clero debbe [sic. debba] da questa legge conseguire sarà di trasformare in nemici aperti i nemici insidiosi, ed in ciò invece di vedere una ragione per rifiutare la legge, io ne vedo anzi una per accoglierla; giacché credo infinitamente meno pericolosi nemici aperti che nemici occulti. […]

215 Cfr. T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale, profili e cenni biografici di tutti di deputati e senatori eletti e creati dal 1848 al 1890 (legislature XVI), Editrice dell'Industria, 1890, p. 750.

216 Paese di provenienza del deputato Pernigotti.

Vedete dunque, o signori, come le riforme, compiute a tempo, invece di indebolire l’autorità, la rafforzano; invece di crescere la forza dello spirito rivoluzionario, lo riducono all’impotenza. […] progredite largamente nella via delle riforme, non temete che esse siano dichiarate inopportune; non temete d’indebolire la potenza del trono costituzionale che è nelle vostre mani affidato, ché invece lo afforzerete, invece con ciò farete sì che con questo trono ponga nel nostro Paese così salde radici, che quand’anche s’innalzi intorno a noi la tempesta rivoluzionaria, esso potrà non solo resistere a questa tempesta, ma altresì, raccogliendo attorno a sé, tutte le forze d’Italia, potrà condurre la nostra nazione a quegli alti destini cui è chiamata.

In questo discorso parlamentare il conte toccò molti aspetti circa le sue tendenze politico-culturali, alcune già affrontate in precedenza. Importante è da sottolineare come Cavour avesse presentato la promulgazione dello Statuto come qualcosa che aveva avuto il grande merito, ai suoi occhi, di aver cementato l’unità politica e sociale del Regno di Sardegna. Questo momento veniva presentato, pertanto, come un nuovo inizio e l’istituzione politica della monarchia costituzionale217 era percepita, oltre che come baluardo contro le opposte prospettive reazionarie e rivoluzionarie, come un perno su cui si sarebbe potuto poggiare il processo progressivo e graduale delle riforme liberali. Tale prospettiva circa il ruolo della monarchia costituzionale era condivisa anche dall’allora presidente del Consiglio d’Azeglio, che, invero, riteneva che fosse stato proprio il posizionamento filo-Statuto della corona a fare sì che le leggi separatistiche, anche se di chiaro impianto giurisdizionalistico, del 1850 giungessero alla promulgazione218. Massimo d’Azeglio, infatti, anche in virtù del clima di amicizia instauratosi con Vittorio Emanuele, aveva maturato l’idea di fare del sovrano il garante dello Statuto e del percorso liberal-costituzionale219. Il Piemonte legato alle sue consuetudini giuridiche era ormai più lontano, poiché, in effetti, la promulgazione dello

217 Nel testo l’economista piemontese usa la parola di «Trono costituzionale».

218 Cfr. M. d’Azeglio, Epistolario (1819-1866), vol. VI, cit., p. 47, lettera di Massimo d’Azeglio a Teresa Targioni Tozzetti, 18 aprile 1850.

219 Cfr. G. Griseri, Giuseppe Siccardi e il suo tempo. Monarchia costituzionale e partiti politici dopo la sconfitta di Novara, in G. Griseri, G. S. Pene Vidari (a cura di), Giuseppe Siccardi, cit., p. 25.

Statuto aveva spostato i rapporti di forza a favore della componente politica liberale rispetto a quella reazionaria220.

Riguardo la politica ecclesiastica, Cavour ribadiva che le leggi Siccardi non avrebbero indebolito la religione cattolica, ma addirittura ne sarebbe uscita rafforzata dalla separazione fra sfera pubblica giurisdizionale e sfera religiosa. Quest’impostazione ideologica, legata al fatto che il cattolicesimo ne sarebbe uscito comunque rafforzato dalle riforme liberali, era condivisa anche da Massimo d’Azeglio, che, in quanto presidente del Consiglio, quando furono promulgate le leggi Siccardi, riconosceva il dispiacere procurato al papa, ma non per questo rinunciò a dare il suo contributo per sviluppare il processo anticlericale del Regno sabaudo221. Criticando le competenze del foro ecclesiastico, il conte, di fatto, criticava, però, gli stessi principi di una società corporativa, secondo cui il singolo individuo conta solo se in relazione alla sua comunità di riferimento. Ma era proprio quel tipo di società che Cavour intendeva superare, in nome dei suoi convincimenti individualistico-liberali. Il conte, infatti, sosteneva che per i sacerdoti cattolici non dovesse sussistere una giurisdizione differente da quella del resto della società sabauda. Da questo, però, ne conseguiva un drastico ridimensionamento anche del prestigio che il ruolo sociale del clero cattolico aveva potuto godere sino a quel momento.

Inoltre, resta il fatto che egli sapeva che la fazione politica tradizionalistica sarebbe uscita allo scoperto nell’opposizione al progetto separatista che si stava inaugurando e, pertanto, considerando la scaltrezza dell’uomo politico torinese, non poteva non prefigurare l’esacerbazione degli animi che questo processo politico avrebbe potuto creare.

Al di là di quella che in questo momento era la prospettiva cavouriana, che ufficialmente prevedeva comunque ancora una conciliazione con il cattolicesimo e la sua realtà organizzata nelle gerarchie della Chiesa, vedremo, però, come successivamente il conte, di fatto, finì per appoggiare le tendenze più accesamente giurisdizionaliste e anticlericali dei progressisti piemontesi222

220 Cfr. R. Romeo, Cavour e il suo tempo, vol. II, cit., p. 116.

221 Cfr. M. d’Azeglio, Epistolario (1819-1866), vol. VI, cit., p. 51, lettera di Massimo d’Azeglio a Diomede Pantaleoni, 24 aprile 1850.

222 Cfr. R. Romeo, Cavour e il suo tempo, vol. III (1854-1861), Laterza, Roma-Bari 1984, pp. 140-141.

divisore 4
La galassia reazionaria: la difesa della religione al primo posto

Se è stata dedicata una parte di questo lavoro a tratteggiare un breve profilo culturale, chiaramente con un chiaro riferimento alle posizioni relative alla sfera religiosa, di una delle più importanti personalità politico della fazione laicistica, è corretto ora provare a delineare un quadro della galassia politica che si oppose al processo di secolarizzazione della struttura dello Stato, secondo quindi le linee della modernità occidentale. Il contesto reazionario sabaudo non può essere ridotto solo alla sua rappresentanza politica e parlamentare, ma comprendeva la gran parte del clero, rappresentato dai vescovi che esercitavano il loro ministero all’interno dei territori del Regno, e il mondo giornalistico di riferimento. Proprio per via di questa varietà in questa sede si parlerà di «galassia reazionaria».

Nel Piemonte degli anni della Restaurazione si diffuse proprio a Torino il fenomeno associazionistico dell’«Amicizia cattolica», che a sua volta affondava le sue radici nel contesto socio-culturale delle «Amicizie cristiane», nate a Torino attorno al 1780 per opera dell’ex gesuita svizzero Nikolaus Diessbach223 e poi diffusasi in Francia, Svizzera e Austria224. Le «Amicizie» erano un gruppo di laici di fede cattolica, soprattutto di estrazione aristocratica, i quali si ponevano il compito di diffondere materiale a stampa con contenuti dottrinari di carattere antirivoluzionario e antimassonico225. Il nome stesso e la loro caratteristica di voler mantenere la segretezza dell’organizzazione esprimevano la volontà di fare concorrenza alla realtà massonica, le cui logge a fine XVIII secolo stavano diffondendosi nelle varie città del Piemonte226.

Caratteristica peculiare delle «Amicizie», che è corretto sottolineare, è l’importanza che veniva data all’aspetto intellettuale, esemplificato nell’oggetto materiale del libro, poiché la guerra ideologica nei confronti degli eredi

223 Nikolaus Diessbach (1732-1798). Cfr. P. Stella, Nikolaus Joseph Albert Diessbach, DBI, vol. 39, 1991, https://www.treccani.it/enciclopedia/nikolaus-joseph-albert- diessbach_(Dizionario-Biografico)/.

224 Cfr. U. Levra, (a cura di), Storia di Torino VI cit., p. 245.

225 Cfr. G. Battelli, Società, Stato e Chiesa in Italia. Dal tardo Settecento a oggi, Carocci, Roma 2013, p. 20.

226 Cfr. U. Levra, (a cura di), Storia di Torino VI cit., p. 245.

dell’Illuminismo veniva inquadrata innanzitutto come una battaglia per le idee, da distinguere in buone o cattive227. Se l’elemento intellettuale lo si affianca all’aspetto della segretezza, si intuisce bene come questa realtà associazionistica fosse comunque un qualcosa di elitario, ma al tempo stesso le «Amicizie» possono essere considerate, nelle motivazioni, nello spirito di contrapposizione e nella destinazione organizzativa rivolta a non ecclesiastici, come un effettivo antefatto delle esperienze associative del laicato cattolico italiano che sarebbero poi sorte nel pieno Ottocento228. La caratteristica intellettuale e dottrinaria del gruppo era precisata, inoltre, nei voti a cui i seguaci erano vincolati:

Non leggere durante quest’anno alcun libro proibito dalle Leggi Ecclesiastiche […] Consacrare durante quest’anno almeno un’ora alla settimana per fare delle letture spirituali, adottando per questo scopo solo dei libri ascetici adottati dall’Amicizia cristiana […]

Obbedire ai Superiori dell’Amicizia cristiana in tutto quello che può interessare il buon ordine della nostra Corporazione o contribuire alla circolazione dei buoni libri, ogni volta che ne sarà richiesto in virtù del mio voto229.

Questo tipo di associazionismo legato alle idee tradizionaliste divenne poi una realtà di forte opposizione alle idee rivoluzionarie e alla politica napoleonica230, ma finì per perdere incisività, poiché il contesto politico e sociale post- rivoluzionario era radicalmente diverso rispetto a quando nel 1780 Diessbach aveva fondato l’associazione231.

Se l’Amicizia cristiana cessò di esistere nel 1811, a causa della messa in sorveglianza di alcuni suo membri, nel 1817 risorse quest’associazione, ma con la denominazione di «Amicizia cattolica»232. La nuova organizzazione presentava comunque alcune differenze rispetto al suo antefatto: innanzitutto

227 Cfr. G. Battelli, Società, Stato e Chiesa in Italia cit., p. 20.

228 Ivi, pp. 20-21.

229 Cfr. C. Bona, Le «Amicizie». Società segrete e rinascita religiosa (1770-1830), Deputazione subalpina di storia patria, Torino 1962, p. 479.

230 Cfr. U. Levra, (a cura di), Storia di Torino VI cit., p. 245.

231 Cfr. G. Battelli, Società, Stato e Chiesa in Italia cit., p. 21.

232 Cfr. G. De Rosa, Il movimento cattolico in Italia. Dalla Restaurazione all’età giolittiana, Laterza, Roma-Bari 1970, p. 14.

l’Amicizia cattolica non presentava più quell’accentuazione del messaggio cattolico che era invece sottolineato dalla creatura fondata da Diessbach233; la segretezza che era insita nella vecchia organizzazione non era più caratteristica dell’Amicizia cattolica, la quale si presentava come iniziativa pubblica234; infine, la nuova istituzione non prevedeva più quei gradi e pratiche di perfezionamento religioso che erano tanto care all’ex gesuita svizzero235. Anche in questo caso l’orientamento culturale e metapolitico era incentrato innanzitutto sulla difesa della religione e dell’istituzione monarchica236. Fra i membri più importanti dell’Amicizia cattolica si possono citare Pio Brunone Lanteri, un ecclesiastico già collaboratore di Diessbach237, e il filosofo controrivoluzionario Joseph De Maistre238.

Non è superfluo in questa sede accennare, anche solo brevemente, alle tesi dell’importante autore savoiardo. De Maistre, infatti, fu uno dei membri del primo movimentismo reazionario presente nel Regno di Sardegna e influenzò in maniera importante il contesto sociale tradizionalista che a inizio XIX si oppose al processo secolarizzante dello Stato. Personalità come don Margotti e il vescovo Ghilardi, che più avanti ritorneranno spesso nelle pagine di questo lavoro, furono, invero, ampiamente toccate dal pensiero demaistriano.

Tutta la produzione intellettuale di De Maistre ruota, pertanto, attorno alla difesa del ruolo spirituale, oltre che storico, che il cattolicesimo ha impresso all’Europa e si scaglia contro l’Illuminismo che viene da lui descritto come il

233 Cfr. C. Bona, Le «Amicizie» cit., p. 302.

234 Cfr. G. Battelli, Società, Stato e Chiesa in Italia cit., p. 26.

235 Cfr. G. De Rosa, Il movimento cattolico in Italia cit., p. 14.

236 Cfr. G. Battelli, Società, Stato e Chiesa in Italia cit., p. 28.

237 Ivi, p. 27.

238 Joseph De Maistre (1753-1821) fu un filosofo savoiardo ed è tuttora considerato uno dei padri del pensiero controrivoluzionario, tradizionalista e anti-illuministico. Proveniva da una famiglia di origini umili, ma ottenne una laurea in giurisprudenza e, successivamente, fu ambasciatore del re Vittorio Emanuele I presso la corte dello zar Alessandro I in Russia fra il 1803 e il 1817. De Maistre era convinto che solo la religione solidamente diretta dal Papa potesse dirigere la politica e fare da argine nei confronti degli eccessi rivoluzionari. Cfr. G. Pignatelli, Joseph de Maistre, DBI, vol. 67, 2006, https://www.treccani.it/enciclopedia/joseph-de-maistre_%28Dizionario-Biografico%29/.

tentativo di sradicare il cattolicesimo dall’Europa239. Il prodotto della filosofia illuministica era, nell’ottica del pensatore controrivoluzionario, certamente la Rivoluzione francese, la quale fu letta come un fallimentare tentativo di eliminare l’elemento religioso dalla vita sociale ed è per questo che era necessario riscoprire l’importanza della fede cattolica al fine di porre un termine al primato delle concezioni razionalistiche240. Il vertice della Chiesa cattolica, infatti, veniva individuato come la salvezza di un’Europa sopraffatta dai principi rivoluzionari. Il Papa, d’altra parte, era l’autorità massima in Europa la cui autorità era generata da una legittimazione divina e per il filosofo savoiardo l’autorità non poteva legittimarsi dal basso, quindi sulla volontà popolare, poiché nessun ordine sociale sarebbe stato in armonia con i bisogni incostanti del popolo241. Questo concetto, legato all’incapacità della volontà generale di dar vita a un ordine politico stabile, viene sviluppato da De Maistre, in particolare, nella sua opera «Du Pape», pubblicata nel 1819:

L’uomo nella sua qualità di essere morale insieme e corrotto, giusto nella sua intelligenza e perverso nella sua volontà, deve necessariamente essere governato; altrimenti sarebbe a un tempo stesso sociabile e insociabile, e sarebbe la società nell’istesso punto necessaria ed impossibile242.

La logica demaistriana era che la rigenerazione delle istituzioni umane fosse possibile solo attraverso il principio della legge divina243. Da qui nasceva l’idea del filosofo controrivoluzionario che le monarchie europee fossero tutte soggette all’infallibile autorità papale e non più alla mercé dell’incostante volontà popolare244. Per questo era necessario ripristinare l’unità cattolica europea, venutasi a rompere con la Riforma protestante prima e la Rivoluzione

239 Cfr. J. De Maistre, Le serate di Pietroburgo, Edizioni Paoline, Bari 1961, p. 171.

240 Cfr. D. Fisichella, Joseph de Maistre pensatore europeo, Laterza, Bari-Roma 2015, p. 32; A. Incollingo, Chiesa e monarchia universale in Joseph De Maistre, in Campari&deMaistre, Joseph De Maistre. Il padre del pensiero controrivoluzionario, Historica, Giubilei Regnani, Roma 2021, p. 89.

241 Ivi, p. 90.

242 Cfr. J. De Maistre, Del Papa, Tipografia di Tito Giuliani, Firenze 1872, p. 137.

243 Cfr. D. Fisichella, Joseph de Maistre pensatore europeo, cit., p. 84; A. Incollingo,

Chiesa e monarchia universale in Joseph De Maistre cit., p. 91.

244 Ivi, p. 92.

francese poi245. De Maistre, quindi, sottolineava l’importanza dell’unione fra la sfera politica e quella religiosa e questo tipo di idee ebbero una circolazione notevole nel contesto del tradizionalismo cattolico sabaudo.

Pertanto, le idee e l’associazionismo tradizionalista di matrice cattolica presentavano già a inizio secolo, nel pieno della Restaurazione, un certo radicamento nelle aree del Regno di Sardegna. Inoltre, dopo gli eventi fra il 1848 e il 1849 che videro protagonista anche Pio IX246, quando di fronte ai tentativi rivoluzionari si schierò dalla parte dei legittimi regnanti pre-unitari, all’interno del cattolicesimo fu la componente tradizionalista, rappresentata soprattutto dalla Compagnia di Gesù, a essere preponderante247. Da questo momento in poi si porranno le basi di quello che verrà definito l’intransigentismo cattolico ottocentesco, il quale fu un fenomeno caratterizzato dalla mescolanza di vari elementi che si possono riscontrare anche nel movimentismo reazionario subalpino. Il primo di questi ingredienti era una cultura tradizionalistica, anche in senso ideologico, legata al principio di autorità, alla difesa della società corporativa e al legittimismo monarchico248. Per quanto successivamente nell’intransigentismo cattolico l’attaccamento nei confronti della forma istituzionale monarchica andò ad affievolirsi, permase lo scetticismo verso i sistemi costituzionali e il parlamentarismo in generale249. Altra caratteristica, da un punto di vista più prettamente religioso, era una fede che accentuava gli aspetti devozionali, legati al Sacro Cuore di Gesù, al Sacro Cuore di Maria e all’Immacolata concezione250. Ultima peculiarità di quello che verrà poi definito come intransigentismo cattolico era la concezione gerarchica e accentrata della Chiesa, in quanto concepita, a differenza delle società umane, come una società perfetta di legittimazione divina251. Pertanto, alla luce di quanto testé scritto, è difficile non notare il debito ideologico dell’intransigentismo cattolico ottocentesco nei confronti del filosofo Joseph de Maistre.

245 Ibid.

246 Al secolo Giovanni Maria Mastai Ferretti (1792-1878), Pio IX fu Papa dal 1846 sino alla sua morte, avvenuta nel 1878. Cfr. G. Martina, papa beato Pio IX, DBI, vol. 84, 2015, https://www.treccani.it/enciclopedia/pio-ix-papa-beato_%28Dizionario-Biografico%29/.

247 Cfr. G. Battelli, Società, Stato e Chiesa in Italia cit., p. 35.

248 Ivi, p. 36.

249 Ibid.

250 Ibid.

251 Ivi, pp. 36-37.

Quest’orizzonte culturale era presente anche fra le personalità della galassia reazionaria piemontese di metà Ottocento e in questo contesto non è possibile non accennare, passando quindi ad analizzare un caso specifico, al già citato Ghilardi, vescovo di Mondovì dal 1842 sino alla sua morte, avvenuta nel 1873. Ghilardi, il quale si oppose in maniera cristallina nei confronti del nuovo indirizzo della classe dirigente sabauda di metà Ottocento, nei suoi appunti privati, finalizzati alle sue prediche, dà dimostrazione di essere perfettamente inserito nella circolazione di idee tradizionaliste che permeavano il contesto cattolico piemontese dell’epoca:

+Riflessioni

Sulle tribolazioni della Chiesa

1 Non dobbiamo scandalizzarci delle persecuzioni della Chiesa. 2 Gesù Cristo le predisse. 3 Tali persecuzioni non si oppongono alla gloria di Dio e della sua Chiesa. 4 Anzi le tornano a gloria maggiore. 5 Provano la sua verità. 6 Che mancano agli eretici, perché sono in errore. 7 Che purgano il corpo della Chiesa da’ membri viziosi. 8 Ridestano la virtù nei fedeli. 9 Eusebio252 afferma che Dio permise la persecuzione di Diocleziano253 per emendare i cattivi. 10 S. Giovanni Grisostomo254 afferma lo stesso delle persecuzioni. 11 Conclusione ed obbiezione. 12 Le persecuzioni provano le virtù dei giusti. 13 Smascherano gl’ipocriti. 14 E’ falso che invesse [sic. invece] molti buoni si pervertino [sic. pervertano]. 15 Esse sono occasione di meriti ai giusti. 16 Gioia dopo qualche persecuzione. 17 I prevaricati che tornano alla Chiesa. 18 Il trionfo sulle persecuzioni è motivo di credibilità a favore della Chiesa. 19 Mentre delle persecuzioni risplendettero sacri Pastori di luminosa santità, dottrina e zelo nel dilatare la fede. 20 Se invesse [sic. invece] si perde la fede in un popolo la si acquista in un altro. 21 Prove di ciò tratte dalla Storia. 22 Gli empii trovano pure il loro castigo. 23 L’eternità giustifica la Divina Provvidenza. 24 Come l’Eterno Padre

252 Eusebio di Cesarea (265-340) fu un vescovo e consigliere e biografo dell’imperatore romano Costantino.

253 Diocleziano (244-316) fu imperatore romano fra il 284 e il 305.

254 Giovanni Crisostomo (347-407) fu arcivescovo di Costantinopoli fra IV e V secolo

abbandonò ai patimenti Gesù Cristo su questa Terra, così pratica colla Chiesa. 25 Gesù umiliato e poi esaltato. 26 Gran potenza di Gesù Cristo. 27 Nel giudizio universale si renderà ragione delle persecuzioni e dei persecutori. 28 Dio tarda, ma castiga. 29 Conclusione di tutto il sopradetto. 30 Bene spirituale dei fedeli. 31 Gloria della Chiesa su questa terra. 32 Idem al giudizio universale. 33 Dio farà pur giustizia contro gl’increduli.34 Fra i cattolici sono soltanto i cattivi che si scandalizzano del breve trionfo degli empii. 35 I cattivi coll’abbandonare la Chiesa in tempo di persecuzione costituiscono prova della santità di essa. 36 Si obbietta che tanti giusti defezionano. 37 Falsamente s’imputa ai Papi il male avvenuto nell’Inghilterra per Arrigo VIII255. 38 Tocca ai Papi il giudicare quando via tempo di particolare in fatto di religione, non ai privati. 39 Clemente VII256 giustamente cassò l’illegittimo matrimonio tra Arrigo VIII e Anna Bolena257. 40 I Papi nella causa di Arrigo VIII e di Enrico II258 operarono saggiamente. 41 Segue che i Papi furono innocenti dei mali d’Inghilterra. 42 Crescono i mali d’Inghilterra. 43 Quelli che hanno defezionato, rientrano nella Chiesa. 44 Provvidenza Divina nello scisma Anglicano. 45 La persecuzione fa distinguere i buoni dai cattivi. 46 Dalla persecuzione anglicana si impara il modo con cui debbono comportarsi i Principi cogli eretici. 47 La fede non mai si estinse del tutto in Inghilterra. 48 La rilassatezza del Clero è causa primaria delle tribolazioni della Chiesa. 49 Il Clero non deve temere di ritrattarsi, quando occorra. 50 Le ritrattazioni opportune servono a rimediare ai mali passati ed aprono la via a sane riforme. 51 Fonti di regole per riforme ecclesiastiche. 52 Protesta dell’autore e conclusione259.

Questi appunti del vescovo monregalese non sono datate, ma, essendo rintracciate nell’archivio della diocesi, è possibile presumere che risalgono agli anni del suo vescovato. La storia dell’uomo, infatti, veniva concepita, in senso metafisico, come una continua lotta fra il Bene e il Male, in cui i momenti difficili per la Chiesa non sono mancati e non mancheranno, in quanto predetti dal Cristo. Interessante, in modo particolare, è il fatto che Ghilardi pensasse che in questo tipo di momenti, in cui la Chiesa subisce un’aggressione dall’esterno, non sia corretto da parte del clero

255 Il riferimento è a Enrico VIII (1491-1547), re d’Inghilterra fra il 1509 e il 1547.

256 Il riferimento è a Clemente VII, al secolo Giulio de’ Medici (1478-1534), papa dal 1523 sino alla morte nel 1534.

257 Moglie di Enrico VIII.

258 Il riferimento è a Enrico II (1519-1559), re di Francia fra il 1547 e il 1559. Seppur cattolico, difese la causa protestante in Germania.

259 ADM, Carte Ghilardi, Cartella 1, Discorsi, prediche, appunti ante 1873, Riflessioni sulle tribolazioni della Chiesa, tutte e tre le pagine.

ritirarsi e assumere una posizione remissiva nei confronti della società, bensì il mondo ecclesiastico ha il dovere di reagire e prendere parte attivamente nella lotta per la difesa della Chiesa. Anzi, per il vescovo monregalese era proprio la rilassatezza del clero di fronte alla decadenza spirituale e morale della società la prima causa di tribolazioni per la Chiesa.

Pertanto l’idea di un cattolicesimo e dei suoi rappresentanti che venivano assediati da una società ormai corrotta dalla filosofia illuministica e dai principi rivoluzionari toccava anche l’«humus» del vescovato piemontese.

Il movimentismo reazionario piemontese, comunque, assunse una notevole visibilità attraverso la stampa con l’opposizione alle leggi separatiste del 1850, cui parteciparono figure di notevole livello culturale. I due fogli che sostennero la battaglia tradizionalista a difesa dei diritti ecclesiastici, del sistema socio- economico corporativo e del fondamento cristiano delle istituzioni politiche furono:

«La Campana», nata il 30 marzo 1850260, che si distinse per una virulenta, aspra e sistematica denigrazione del Piemonte liberale, giudicato un trionfo dell’immoralità pubblica, e per la sua modalità scandalistica261; e «L’Armonia della religione colla civiltà262». L’«Armonia» nacque due anni prima della «Campana», il 4 luglio 1848, usciva con due, poi tre numeri alla settimana e fu fondata da parte del teologo Guglielmo Audisio, suo primo direttore effettivo, del vescovo di Ivrea Luigi Moreno, del marchese Carlo Emanuele Birago di Vische, dell’ecclesiastico e futuro arcivescovo di Torino Gaetano Alimonda e di Gustavo Benso di Cavour, fratello primogenito di Camillo263. Gustavo Cavour, però, come vedremo più avanti, abbandonerà la redazione del giornale nel 1851, a causa dell’orientamento reazionario del gruppo. Fra le battaglie politiche iniziali che videro scendere in campo il foglio di Audisio vi fu certamente l’opposizione alle leggi Siccardi e, di conseguenza, la difesa dei vescovi che come Fransoni si opposero al tentativo da

260 La «Campana» nacque come bisettimanale; divenne poi quotidiano dal 1 gennaio 1851. Dal 13 maggio 1854 cambiò nome in «Campanone». Cfr. F. Della Peruta, Il giornalismo dal 1847 all’Unità, in V. Castronovo, N. Tranfaglia (a cura di), La stampa italiana del Risorgimento, Laterza, Roma-Bari 1978, p. 483.

261 Ivi, pp. 482-483.

262 Cfr. B. Gariglio, I cattolici dal Risorgimento a Benedetto XVI cit., p. 51.

263 Cfr. F. Della Peruta, Il giornalismo dal 1847 all’Unità cit., p. 349

parte della classe dirigente liberale di porre la Chiesa subalpina sotto il controllo dello Stato264. Il foglio clericale incappò, così, in un’importante serie di sequestri, denunce e multe da parte delle autorità statali e nel tentativo di appoggiare Fransoni265 nella sua critica al nuovo corso politico, per protestare contro l’espulsione del monsignore, l’«Armonia» uscirà con un numero di solo mezzo foglio266. L’«Armonia», che si caratterizzò per un’elaborazione culturale e dottrinaria più rigorosa rispetto alla «Campana» e assurse al rango di vero e proprio riferimento per il clero cattolico della penisola267, al momento della sua nascita, però, non era caratterizzata esclusivamente da posizioni intransigenti e tradizionaliste. Infatti, pur difendendo il potere temporale del papa, l’unità fra sfera politica e religiosa e la libertà d’insegnamento e condannando i progetti separatisti, l’«Armonia» inizialmente non si pose contro i principi costituzionali e, bensì, sosteneva la necessità di una conciliazione fra la religione e il progresso moderno, tenendosi distante dalle teorie dei gesuiti268. Gustavo Cavour era, invero, colui che all’interno della redazione del foglio portava avanti le teorie conservatrici, non in contrasto con il processo liberale in atto nel Regno, ma di fronte alla virata tradizionalista dell’«Armonia» egli denunciò il nuovo corso del giornale, a suo dire anticostituzionale, con una lettera del 15 maggio 1851269. Per la verità, se è pur vero che l’«Armonia» inizialmente conteneva in sé un’anima più conservatrice che propriamente reazionaria, al tempo stesso sin da subito la componente tradizionalista era ampiamente presente, non solo nel contesto redazionale, ma anche fra gli azionisti ad esempio. Il già citato Ghilardi, ad esempio, sin dagli inizi della vita del foglio era inserito nella lista degli azionisti, possedendo duecento lire

264 Cfr. O. Sanguinetti, Cattolici e Risorgimento. Appunti per una biografia di don Giacomo Margotti, D’Ettoris Editori, Crotone 2012, p. 73.

265 L’«Armonia», fra l’altro, promosse anche una sottoscrizione per offrire un pastorale d’argento a Fransoni. Cfr. P. Gentile, L’ombra del re cit., p. 73.

266 Cfr. O. Sanguinetti, Cattolici e Risorgimento cit., p. 75.

267 Cfr. P. Cozzo, Protestantesimo e stampa cattolica nel Risorgimento. L’“Armonia” e la polemica antiprotestante nel decennio preunitario, in «Rivista di Storia e Letteratura Religiosa», 36 (2000), pp. 77-113.

268 Cfr. F. Della Peruta, Il giornalismo dal 1847 all’Unità cit., pp. 349-350.

269 Cfr. B. Gariglio, I cattolici dal Risorgimento a Benedetto XVI cit., p. 53; F. Della Peruta, Il giornalismo dal 1847 all’Unità cit., pp. 482-483.

piemontesi di azioni270. Il vescovo di Mondovì, fra l’altro, si impegnò anche in seguito a cercare finanziamenti per il foglio clericale e tradizionalista, come dimostra una circolare con destinatario ignoto, ma probabilmente un vescovo, del 22 settembre 1851. L’oggetto del contendere era un finanziamento di trecento lire, al fine di un supplemento religioso in modo da contrastare il proselitismo anticlericale:

Illmo, e Pregiatissimo Signore

Per impedire per quanto si possa il male immenso, che fanno in ogni classe di persone e la Predica infernale di Bianchi Giovini271, e gli errori religiosi, che si pubblicano settimanalmente, già da tempo si proponeva, che si stampasse un supplemento ad un Giornale religioso, il quale supplemento avesse per oggetto esclusivo la confutazione di tali errori, ed opportune istruzioni onde premunire i lettori, ed ogni Domenica lo potessero avere i Parrochi [sic. parroci] per giovarsene a pro delle loro popolazioni.

Ora la Direzione dell’Armonia si incaricherebbe della pubblicazione di esso, e la spesa annuale ascenderebbe a Lire 1100 incirca. Si tratta intanto di formare la mancante somma di L. 300 annue con private azioni, e l’oggetto della presente è di pregare la S.V. Illma a voler concorrere per così santa opera per quella somma, e per quel tempo, che Le sarà beneviso esternando il suo consenso all’esibitore della presente oppure per la lettera al Vescovo sottoscritto272.

L’uomo che però fu decisivo nel far sì che l’«Armonia» prendesse parte definitivamente al movimentismo reazionario fu don Giacomo Margotti273. Margotti era originario di Sanremo e quando entrò nel novembre del 1845 nella

270 ADM, Carte Ghilardi, Cartella 68, Corrispondenza relativa al giornale l’«Armonia» 1851-1863, 28 novembre 1848, recto.

271 Aurelio Bianchi Giovini (1799-1862) era un pubblicista e polemista anticlericale. Al momento della stesura di questa circolare egli era direttore del foglio progressista e laicista «L’Opinione», del quale egli ne fu direttore fra il 1848 e il 1852. Cfr. P. Treves, Angelo Bianchi (Aurelio Bianchi Giovini), DBI, vol. 10, 1968, https://www.treccani.it/enciclopedia/angelo-bianchi_%28Dizionario-Biografico%29/.

272 ADM, Carte Ghilardi, Cartella 68, Corrispondenza relativa al giornale l’«Armonia» 1851-1863, Circolare privata per formare la somma di lire 300 per un supplemento religioso al giornale l’«Armonia», 22 settembre 1851, recto.

273 Don Giacomo Margotti fu sacerdote e giornalista (1823-1887). Cfr. G. Lupi, Giacomo Margotti, DBI, vol. 70, 2008, https://www.treccani.it/enciclopedia/giacomo- margotti_%28Dizionario-Biografico%29/.

Real Accademia ecclesiastica di Superga ebbe l’occasione di porsi in contatto con Audisio, che ne era il rettore274. Da questo incontro fra i due personaggi scaturì poi un dibattito che si estese anche ad altre personalità della galassia tradizionalista circa l’idea di dar vita a un punto di riferimento autorevole che collocasse la corrente politica intransigente nella cultura e nel dibattito politico a un livello più elevato dei giornali reazionari che erano presenti nel 1848275. Fra questi, ad esempio, era presente il «Giornale degli operai», diretto da Stefano Sampol, che mirava a diffondere le tesi clerical-reazionarie, già peraltro molto presenti fra gli strati popolari in generale del Regno, presso il pubblico operaio, attraverso qualcuno che leggeva per loro, causa il costo dei giornali e il tasso di analfabetismo276. L’obiettivo, invece, che si pose nel 1848 era quello di poter condizionare i vertici politici dello Stato in senso reazionario. Fra le personalità che sostenevano questo progetto, che diede poi vita all’«Armonia», oltre ai personaggi già citati, ne facevano parte: Clemente Solaro della Margarita277, Edoardo Crotti di Costigliole278, Ignazio Costa della Torre279, Leone Costa di Beauregard280, Antonio

274 Ibid.

275 Cfr. O. Sanguinetti, Cattolici e Risorgimento cit., p. 67.

276 Cfr. B. Gariglio, I cattolici dal Risorgimento a Benedetto XVI cit., p. 51.

277 Clemente Solaro della Margarita (1792-1869) fu un politico dalle idee controrivoluzionarie del Regno di Sardegna. Fra il 1835 e il 1847 Carlo Alberto gli affidò il ministero degli Esteri. Cfr. U. Levra, Clemente Solaro, conte della Margarita, DBI, vol. 93, 2018, https://www.treccani.it/enciclopedia/solaro-clemente-conte-della- margarita_%28Dizionario-Biografico%29/.

278 Edoardo Crotti di Costigliole (1799-1870) apparteneva alle famiglie più antiche della sua città. Riteneva che gl’interessi popolari poggiassero sulla tradizione e l’autorità cattolica. Cfr. V. Clemente, Edoardo Giovanni Crotti di Costigliole, DBI, vol. 31, 1985, https://www.treccani.it/enciclopedia/crotti-di-costigliole-edoardo-giovanni_(Dizionario- Biografico)/.

279 Ignazio Costa della Torre (1789-1872) era di famiglia vercellese ed era nipote di Giacinto della Torre, arcivescovo di Torino. Cfr. G. Casalis, Dizionario storico-statistico degli Stati di Sua Maestà il Re di Sardegna, vol. XXIV, Gaetano Maspero librajo e Gaetano Marzorati tipografo, Torino 1853, pp. 607-608.

280 Leone Costa di Beauregard (1806-1864) fu un convinto avversario della sinistra savoiarda secessionista e, nonostante le sue posizioni reazionarie, intrattenne a lungo rapporti personali con Camillo Cavour. Cfr. P. Guichonnet, Luigi Maria Pantaleone Costa, marchese di Saint-Genis di Beauregard, DBI, vol. 30, 1984, https://www.treccani.it/enciclopedia/costa-luigi-maria-pantaleone-marchese-di-saint- genis-di-beauregard_%28Dizionario-Biografico%29/.

Brignone Sale281 e Emiliano Avogadro della Motta282. Su Avogadro della Motta, che fu anche collaboratore dell’«Armonia» e si contraddistinse per la sua profondità dottrinaria, e sul suo pensiero ci torneremo più avanti. Tornando a don Margotti, è bene sottolineare che fu proprio il sacerdote sanremese che più di tutti impresse definitivamente una linea intransigente, causando la fuoriuscita dalla redazione di Gustavo Cavour nel maggio del 1851283. Infatti, l’evento accadde dopo l’ennesimo articolo di Margotti contro la politica Camillo Cavour, allora ministro delle Finanze e ormai già figura affermata della politica sabauda284. Inoltre, fu sempre don Margotti che all’interno del contesto tradizionalista iniziò a scindere il problema della difesa del cattolicesimo nella sfera pubblica e giurisdizionale e dei diritti del pontefice dal lealismo pregiudiziale alla dinastia sabauda285. Fra il marzo 1850 e la fine del 1853, d’altra parte, le pagine dell’«Armonia» si popolarono di articoli antigovernativi, ma Margotti contribuì anche a riempire le pagine della «Campana» e si dedicò alla scrittura di vari testi, atti a divulgare il suo pensiero286.

L’ecclesiastico sanremese si riconosceva ampiamente, come tutte le figure della galassia reazionaria, nella teoria della «genealogia dei mali»287, che vedeva fra i suoi massimi teorici filosofi come il già citato De Maistre e lo spagnolo Donoso Cortés288. Questa teoria, che vedeva nel Pontefice l’istanza suprema della

281 Antonio Brignone Sale (1786-1863) fu marchese di Groppoli e si oppose al regime politico liberale in Piemonte. Cfr. G. Locorotondo, Antonio Brignole Sale, DBI, vol. 14, 1972, https://www.treccani.it/enciclopedia/antonio-brignole-sale_(Dizionario- Biografico)/.

282 Emiliano Avogadro della Motta (1798-1865) era laureato in legge e fu un collaboratore dell’«Armonia». Importante teorico a livello nazionale del pensiero tradizionalista, si oppose alle politiche cavouriane. Cfr. G. Verucci, Emiliano Avogadro della Motta, DBI, vol. 4, 1962, https://www.treccani.it/enciclopedia/avogadro-della-motta- emiliano_%28Dizionario-Biografico%29/.

283 Cfr. O. Sanguinetti, Cattolici e Risorgimento cit., p. 76.

284 G. Margotti, I carabinieri italiani e la rivista dello Stauto, in L’Armonia della religione con la civiltà, n. 44, aprile 1851.

285 Cfr. O. Sanguinetti, Cattolici e Risorgimento cit., p. 76.

286 Ivi, p. 79.

287 Cfr. I. Veca, Il mito di Pio IX. Storia di un papa liberale e nazionale, Viella, Roma 2018, pp. 171-172.

288 Juan Donoso Cortés (1809-1853) fu un filosofo, politico e scrittore spagnolo. Ancora oggi è ricordato in particolare per la sua opera, pubblicata nel 1851, «Saggio sul Cattolicesimo, il liberalismo e il socialismo». Cfr. Juan Donoso Cortès, marchese di Valdegamas, Enciclopedia Italiana, 1932, https://www.treccani.it/enciclopedia/donoso- cortes-juan-marchese-di-valdegamas_%28Enciclopedia-Italiana%29/.

cattolicità, andava a individuare nella Riforma di Lutero la radice della modernità. La Riforma protestante, infatti, aveva quindi spezzato l’unità della cristianità europea, dando l’avvio a quel lungo processo di apostasia dell’Occidente e di sgretolamento della compagine ecclesiale289. Dopo la Riforma luterana il salto di qualità in questo processo, secondo tale teoria, circa la sfera dell’autorità politica e sociale, è segnato dalla Rivoluzione francese, che arrivò a sopprimere il Sacro Romano Impero, secolarizzare il potere temporale, estinguere il regime organico della società, negare le consuetudini tradizionali e la famiglia come modello delle istituzioni sociali e segnare la fine dell’importanza giuridica dei corpi sociali290. Donoso Cortés, d’altra parte, sosteneva che solo un governo autoritario fosse in grado, dopo gli eventi del 1848 e del 1849, di arrestare la rivoluzione291. La teoria della «genealogia dei mali», sopra esposta, riecheggiava anche nelle pagine di don Margotti. Per il sacerdote questo processo rivoluzionario stava prendendo forme anche sui territori della penisola:

Tre grandi rivoluzioni dominano la storia moderna: la protestante del secolo XVI, la politica del 1789, e l’economica del 1848. La rivoluzione protestante venne fatta in nome della fede, separandola dalla ragione, e fu dogmatica. La politica dell’89 si compì in nome della ragione separandola dalla fede, e fu filosofica. Finalmente a’ giorni nostri scoppiava una terza rivolta contro la ragione e la fede ad un tempo, e tutta in pro’ degli interessi materiali. Il protestantesimo e il razionalismo riuscirono all’ultima loro conclusione292.

Nell’orizzonte culturale tradizionalista era presente, pertanto, un senso di opposizione molto forte nei confronti del liberalismo. Tale dottrina veniva valutata, fra il resto, come inutile a contrastare le tendenze rivoluzionarie socialiste, che emergevano in modo sempre più imponente dopo le vicende del biennio 1848-1849, al punto che anche Pio IX le condannò attraverso l’enciclica «Nostis et nobiscum»

289 Cfr. O. Sanguinetti, Cattolici e Risorgimento cit., p. 53.

290 Ibid.

291 Cfr. I. Veca, Il mito di Pio IX cit., p. 277.

292 Cfr. G. Margotti, Alcune considerazioni intorno la separazione dello Stato dalla Chiesa in Piemonte, De Agostini, Torino 1855, p. VIII.

del 29 aprile 1849293. Fra le personalità reazionarie che, all’interno dei territori sabaudi, sostenne questa tesi ci fu senza dubbio il già citato Emiliano Avogadro della Motta. Lo scrittore vercellese infatti scrisse il «Saggio intorno al socialismo e alle dottrine e tendenze socialistiche», pubblicato a Torino nel 1851, in cui affermava che il liberalismo si era rivelato inadatto a fornire soluzioni spirituali, sociali e materiali ai bisogni della collettività e, pertanto, si sarebbe imposto il socialismo, ultimo anello della catena delle grandi ribellioni all’ordine stabilito iniziata con la Riforma294. Avogadro della Motta prospettava che il socialismo potesse arrivare a porsi come una vera e propria religione alternativa al cattolicesimo, esaltando valori antropocentrici e materiali295. Di fronte a questa prospettiva l’ancora di salvezza che poteva prevenire questi pericoli veniva individuata ancora nella figura del pontefice, vertice supremo della Chiesa romana, come lo scrittore reazionario afferma in uno dei suoi scritti successivi:

Diamo che essa [la rivoluzione] potesse un bel dì impossessarsi del mondo civile, disfare il regno papale e tutti gli ordini civili d’Europa, piantarvi perfino per un momento il regno del socialismo e del comunismo; se non succede il finimondo, quel caos non potrà durare, ed è impossibile alla rivoluzione l’ordinarlo. Essa ebbe sempre una forza immensa per abbattere e distruggere, non ne ha veruna per edificare. Essa è una trave da ariete atta a sconquassare le muraglie più salde, non è un germe da cui nascere possa la menoma pianta vivace. Quando la rivoluzione avesse scombussolato tutto, l’Europa sarebbe da capo nel più barbarico medioevo, e ne ripeterebbe la storia: Siccome il Papa e la sua spirituale gerarchia sono indistruttibili, e rappresenteranno sempre la più venerata autorità, i popoli confluirebbero di nuovo ai loro piedi per domandare governo e diritto […]. Al trionfo rivoluzionario succederebbe un trionfo maggiore di prima296.

Anche nei concetti espressi da Avogadro della Motta riecheggiava quel clima di assedio nei confronti della Chiesa cattolica che abbiamo visto in precedenza e che vedremo anche successivamente.

293 Cfr. N. Del Corno, Italia reazionaria. Uomini e idee dell’antirisorgimento, Bruno Mondadori, Milano-Torino 2017, p. 104; I. Veca, Il mito di Pio IX cit., p. 248.

294 Cfr. N. Del Corno, Italia reazionaria cit., pp. 104-105.

295 Ivi, p. 105.

296 Cfr. E. Avogadro della Motta, Considerazioni sugli affari dell’Italia e del papa, Speirani e Tortone, Torino 1860, p. 51

Il pensiero tradizionalista ottocentesco in Europa, nelle pagine di un Bonald297 piuttosto che di un Donoso Cortés298 o di un principe di Canosa, si scontrava con il liberalismo anche circa le questioni economico-sociali, poiché prevedeva la restaurazione di un sistema corporativo, la cui funzione dei corpi intermedi potesse svolgere una funzione di assistenza sociale e di regolazione del mercato, oltre che la difesa dei beni pubblici comunitari e, in generale, forme di intervento pubblico nell’economia. Questi aspetti del pensiero controrivoluzionario erano presenti anche nel movimentismo intransigente piemontese, che, come vedremo anche in seguito, si scagliò contro la politica cavouriana anche per quello che riguardava la politica socio-economica, ponendosi in contrasto con il liberismo governativo. A dimostrazione di queste istanze di sensibilità sociale presenti nel contesto tradizionalista vi è uno scritto privato di Ghilardi, in cui ritiene che i principi degli Stati abbiano il compito di combattere la povertà attingendo all’erario statale:

In questo caso il S. Dottore dimostra esser necessario, che il Re, e qualsiasi altro Signore per la convocazione del proprio Stato è tenuto ad adoperare ogni sollecitudine onde dal pubblico erario vengano soccorsi i poveri, e ciò prova colla ragione, e con esempi.

Avvi anche un’altra cosa appartenente al buon regime d’un Regno, o d’una Provincia, o d’una Città, o di un qualsiasi Principato, cioè che dal Principe, che presiede, si provegga ai bisogni dei poveri, dei pupilli, e delle vedove coi danari del pubblico Erario, e che si presti assistenza ai forestieri, ed ai pellegrini. […]

Inoltre i Re, ed i Principi tengono le veci di Dio su questa terra, per mezzo dei quali Iddio governa il Mondo, come per mezzo di cause seconde. Onde è che Samuele profeta disprezzato nel Dominio, aprendo il suo cuore a Dio su tal proposito ebbe per risposta, che il popolo d’Israele non solo Lui aveva disprezzato, ma Iddio stesso, di cui egli teneva le veci; e nei proverbii [sic. proverbi] sta scritto. […] Sono adunque le elemosine che fanno i Principi agli indigenti come una Scrittura presso a Dio in favore loro, onde loro vengano rimessi i debiti dei peccati, come il Filosofo dice del danaro riguardo a quelle cose che si debbono comprare. […] Da queste cose adunque si fa abbastanza manifesto, come è

297 Per approfondire vedi: L. De Bonald (autore), O. Sanguinetti (a cura di), Le leggi naturali dell’ordine sociale. Sovranità, governanti e governati, D’Ettoris Editori, Crotone 2020.

298 Per approfondire vedi: J. Donoso Cortés, Il potere cristiano, Oaks Editrice, Sesto San Giovanni 2020; J. Donoso Cortés, Saggio sul Cattolicesimo, il liberalismo e il socialismo, Il Cerchio, Rimini 2007.

opportuno ai Re, ed a qualsiasi altro Signore provvedere ai poveri coi danari del pubblico Erario, o coi proprii [sic. propri]. Quinde [sic. Quindi] ne avviene che per questo in tutte le province città o castelli si debbono innalzare ospedali o dai Re, o dai Principi, o dai cittadini per esercire tali ministeri onde vengano sollevati i poveri nelle loro miserie […].

Per il che così opera la Divina Provvidenza riguardo all’indigente, come un Padre verso figliuoli impotenti, dei quali è in dovere d’usare sollecitudine per la maggiore necessità i cui si trovano. Onde il Signore stesso reputa specialmente come fatto a se [sic. sé], quando si fa pei poveri. […]

Inoltre fa d’uopo osservare, che i Re, ed i Principi hanno le loro azioni comuni, ed una diligenza universale dei sudditi, non essendo l’uomo sufficiente egli solo alle proprie azioni ne viene per conseguenza, che manca in molte cose, perché una tal azione, qual si è governare un popolo ossia giudicarlo, e provvedere a ciascun dei suoi sudditi secondo i loro meriti sfaccenda la virtù della natura299.

Anche Ghilardi, pertanto, riteneva necessario un intervento pubblico in modo da contrastare la povertà.

Il contesto culturale dei reazionari piemontesi, pertanto, anche nelle sue figure più rappresentative, come quelle degli ecclesiastici Ghilardi e Margotti, era pienamente inserito nella sua temperie culturale europea di riferimento. La difesa del ruolo pubblico del fenomeno religioso, il ribadire l’autonomia, anche in termini giurisdizionali, della Chiesa cattolica, i fondamenti cristiani delle istituzioni statali e l’importanza del sistema sociale corporativo costituiranno il perno dell’azione politica dei reazionari e influenzeranno la mobilitazione politica tradizionalista anche circa il progetto di legge del matrimonio civile nel 1852 e la legge sui conventi di tre anni dopo.

299 ADM, Carte Ghilardi, Cartella 1, Discorsi, prediche, appunti ante 1873, Scritti di esegesi sulla necessità da parte dei principi di conservare i loro stati soccorrendo i poveri col pubblico erario, da pagina uno a pagina quattro.

divisore 4
L’obiettivo del matrimonio civile

L’accoglienza della proposta di legge

La seconda tappa, se così può essere chiamata, di questa lacerazione dei rapporti fra il Regno di Sardegna e la Chiesa cattolica è costituita, nel 1852, dal tentativo da parte della classe dirigente liberale al governo di introdurre all’interno della legislazione sabauda la possibilità del matrimonio civile, prescindendo dall’obbligatorietà del matrimonio religioso.

Il dibattito circa l’istituzione del matrimonio civile affondava le sue radici già da qualche anno prima. Infatti, già nel gennaio 1849 fu istituita una commissione che prese a studiare quali potessero essere le basi di un disegno di legge sul matrimonio civile300. La questione della laicizzazione del rito nuziale trovava, dopo la proclamazione dello Statuto, una potente propulsione dalle convinzioni anticlericali molto diffuse in seno alle élite liberali e democratiche301.

Nel contesto culturale sabaudo, oltre a sostenitori della laicizzazione del matrimonio, non mancava chi appoggiava apertamente la stessa causa divorzista302, come Alessandro Borella303. Borella, il cui padre Bartolomeo aveva aderito ai moti del 1821, in seguito alle vicende del ’48, scelse di propagandare gli ideali demo-progressisti attraverso l’attività giornalistica, facendo parte dei fondatori nel 1848 della «Gazzetta del Popolo», che arrivò a circa 10.000 abbonati nel 1850304. Borella palesò le sue posizioni apertamente divorziste nel luglio 1850, attraverso la pubblicazione di un suo testo edito dalla

300 Cfr. A. Borgione, Separazioni e divorzi nel lungo Ottocento torinese. La conflittualità coniugale 1795-1915, Comitato di Torino dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, Torino 2021, p. 145.

301 Ibid.

302 Ivi, p. 145.

303 Alessandro Borella (1813-1868) fu un giornalista e polemista anticlericale. Cfr. V. Castronovo, Alessandro Borella, DBI, vol. 12, 1971, https://www.treccani.it/enciclopedia/alessandro-borella_%28Dizionario-Biografico%29/.

304 Cfr. B. Gariglio, Alessandro Borella giornalista della «Gazzetta del Popolo», in E. Champagne (a cura di), Alessandro Borella, laico e democratico (1815-1868), Atti del convegno di Castellamonte (30 settembre 2017), Associazione Terra Mia-Comitato di Torino per la Storia del Risorgimento Italiano, Castellamonte (TO)-Torino 2018, p.41.

Libera Propaganda, una società fondata nel gennaio1850 dai medesimi ambienti della «Gazzetta del Popolo»305. La denuncia di Borella si scagliava contro l’indissolubilità delle leggi piemontesi, sostenendo, circa l’istituto matrimoniale, la teoria contrattualistica del rito nuziale:

se gli innamorati fossero capaci di ragionare e di meditare io proporrei loro per soggetto d’interessantissima questione certi articoli del Codice civile i quali dichiarano il matrimonio un contratto obbligatorio per tutta la vita natural-durante degli sposi. Per questo epiteto d’obbligatorio il matrimonio degenera spesso in un fac-simile dei lavori forzati a vita. Col Codice non si scherza, e se la volontà degli sposi può cangiare, il Codice, muso duro, sta fermo ed immutabile come il Dio Termine. Per il che essendo fatica inutile il pigliarsela con lui, prima di sottentrare il collo al giogo del contratto obbligatorio sarebbe bene esaminare l’umore dello sposo e della sposa, affinché il giogo obbligatorio riuscisse meno pesante306.

Borella, pertanto, si scagliava contro una dimensione metafisica del sistema giurisdizionale sabaudo dell’epoca e proseguiva, in linea con la sua mentalità anticlericale, criticando il ruolo tradizionale del clero, fra gli altri, nelle crisi matrimoniali, negando, pertanto la dimensione confessionale del matrimonio e ironizzando sul celibato ecclesiastico:

se malgrado tutto il vostro buon’animo, la discordia venisse a far capolino in vostra casa, non ricorrete subito al parroco o al direttore spirituale onde v’aggiusti fra voi. Perché in affari di famiglia ponete voi la confidenza in un uomo a cui non il Vangelo, ma il papa impedisce di aver famiglia – legalmente? Che ne sa egli più di voi? Fate piuttosto capo a qualche padre di famiglia patriarcale, nella casa del quale si diano la mano la concordia e la felicità. La sua pratica e il suo buon esempio vi possono dare migliori consigli che non i celibi del concilio di Trento. Provate una volta307!

Le istanze divorziste continuavano a permeare il dibattito culturale e politico del Regno di Sardegna, come dimostrano alcune pagine di uno scritto anonimo pubblicato nel 1851 sempre da parte della Libera Propaganda:

305 Cfr. A. Borgione, Separazioni e divorzi nel lungo Ottocento torinese cit., p. 146.

306 Cfr. A. Borella, Doveri dell’uomo verso la famiglia, Libera Propaganda, Torino 1850, p. 12. Le parole in corsivo sono nell’originale.

307 Ivi, pp. 24-25.

Il matrimonio civile deve avere la solennità dei contratti, per regolare non solo i diritti e i doveri reciproci dei consorti, ma eziandio per fissare la norma circa i beni accomunati e le leggi di successione. Dato il matrimonio civile, ne viene senza imbarazzo la conseguenza del divorzio legale all’occasione, il qual si risolve in una scissura di contratto per volere delle parti senza pregiudizio di terzi, cioè con l’intervento del potere giudiziario per regolarne le conseguenze rispetto la divisione dei beni, gli assegni per mantenimento, l’educazione e il collocamento dei figli308.

Di conseguenza, il clima culturale della capitale sabauda della metà del XIX secolo, che, come abbiamo visto, non escludeva nemmeno la possibilità di introdurre l’elemento del divorzio all’interno della regolazione dell’istituto matrimoniale, era pronto, almeno a livello dirigenziale309, a vedere la proposta di un progetto di legge che prevedeva l’introduzione del matrimonio civile.

Pertanto nel giugno del 1852, sotto la presidenza del Consiglio di Massimo d’Azeglio, venne presentato alla Camera dei Deputati da parte del ministro di Grazia e Giustizia Carlo Boncompagni di Mombello un progetto di legge che andava a istituire il matrimonio civile310. Il presidente D’Azeglio riteneva che una simile sfida alle prerogative ecclesiastiche avrebbe potuto ricompattare tutto il fronte liberale311, mirando ad accreditarsi agli occhi della maggioranza di governo con un’iniziativa schiettamente liberale, oltreché anticlericale312. Nonostante ciò, al tempo stesso, la possibilità di inserire il divorzio veniva accantonata, in modo da rassicurare i deputati più moderati, come spiegato dalla commissione apposita:

il matrimonio legalmente contratto è dichiarato indissolubile dalla legge presente. Essa si mostra in questo punto più rigorosa della legge ecclesiastica, la quale ammette in alcuni casi, quantunque rarissimi,

308 Cfr. P. Trifone (a cura di), Dizionario politico popolare, Salerno Editrice, Roma 1984, p. 217. Le parole in corsivo sono nell’originale.

309 Altro discorso, infatti, era quello legato alle fasce popolari strettamente legate alla dottrina cattolica, compresa la morale famigliare e sessuale.

310 Cfr. A. Borgione, Separazioni e divorzi nel lungo Ottocento torinese cit., p. 152.

311 Ibid.

312 Cfr. R. Romeo, Vita di Cavour, Laterza, Roma-Bari 2004, p. 226.

la possibilità della dissoluzione del vincolo altrimenti che per la morte di uno dei coniugi313.

Il contesto culturale reazionario si dimostrò immediatamente interessato, e preoccupato, per via di tale disegno di legge e l’«Armonia» esordì con queste parole il 17 giugno:

[…] Oggidì stampiamo per intero questo progetto. E’ una nuova persecuzione contro la Chiesa, e contro la famiglia; è una sfida gettata nuovamente ai cattolici, è il principio di nuove e più gravi sciagure.

Questo progetto di legge può definirsi una solenne illegalità, una spudorata ipocrisia, un fomite vergognoso di scostumatezza e d’immoralità. Noi ci restringiamo per ora a provare questi tre capi.

I. La Religione Cattolica è la Religione dello Stato, secondo lo Statuto. Questo articolo è superiore a tutte le leggi del Parlamento. Una legge che lo conculchi sarà sempre un’ingiustizia, quantunque approvata dai tre poteri, e non potrà mai obbligare. […]

Ora il progetto ministeriale sul matrimonio civile va contro i precetti e le dottrine della Chiesa. Mette il Sacramento del matrimonio come un accessorio al contratto, lo fa celebrare in certi casi al cospetto del giudice soltanto, lo annulla quando la Chiesa lo tiene valido, lo ha per valido quando la Chiesa lo annulla, chiama al governo le cause di nullità, sopprime impedimenti ecclesiastici, ne aggiunge de’ nuovi, non tiene verun conto del diritto canonico, anzi lo rappresenta come un’anticaglia.

Dunque questo progetto di legge è contrario alla Religione dello Stato, contrario al primo articolo dello Statuto. Dunque, se vi avesse giustizia, dovrebbe processarsi il ministro che l’ha proposto. Dunque come cittadini e cattolici possiam dire ai nostri legislatori: Badate bene: vi si propone una legge, che, se la voterete, non ci potrà obbligare, perché vi manca l’autorità di votarla. […]

II. […] Ma l’ipocrisia è ancor più patente nello stesso progetto di legge. L’articolo 20 stabilisce che il matrimonio si celebra giusta le regole e le solennità della Chiesa. L’articolo 21 fa celebrare il matrimonio in cospetto del giudice, quando la Chiesa, per qualsiasi causa si rifiuti.

313 Cfr. A. Borgione, Separazioni e divorzi nel lungo Ottocento torinese cit., p. 153.

L’autorità della Chiesa è necessaria sì o no? Se non è necessaria, perché comandate che gli sposi si uniscano da lei? Se è necessaria, perché li fate unire dal giudice quando vi si rifiuta la Chiesa?

Per velare l’empietà, fu nominata la Chiesa. E’ impossibile che un parroco unisca in matrimonio chi non sa le cose fondamentali della Religione, i consanguinei o gli affini in terzo e in quarto grado, gli stretti da cognazione spirituale, e via via. Necessariamente quando due sposi affetti da qualcuno di questi impedimenti si presenteranno al parroco, questi dirà loro: andate in pace, io non vi posso maritare. Intanto gli sposi falliti ricorreranno al giudice; il giudice esaminerà la legge; non troverà negli sposi nessun impedimento, perché la legge li ha aboliti in parte; quindi conchiuderà, che è per testardaggine che il parroco non vuol fare il matrimonio, ed egli stesso lo farà. La legge adunque, mentre comanda per una parte ciò che essa chiama il rito religioso, per l’altra lo rende impossibile, e il ministero ha intanto la baldanza di far pompa di cattolicismo […] Oh incredibile ipocrisia!

III. Finalmente questo progetto di legge è immoralissimo. Lo proviamo con due soli argomenti. La legge favorisce il concubinato, protegge l’adulterio.

Ecco gli esempi.

Due cugini in terzo grado vogliono unirsi in matrimonio. Si presentano dal parroco, e si rifiuta di benedirli. Allora vanno al giudice di mandamento, che li dichiara marito e moglie.

Convivono, ed hanno prole. Ma il loro è matrimonio? Tutt’altro; è vero incesto; e i loro figli sono illegittimi, e, non ostante tutte le finzioni della legge, saranno tenuti tali nel mondo.

Nel modo stesso il progetto di legge mette il consenso de’ parenti come condizione essenziale alla validità del matrimonio. Quando un figlio minore, senza l’annuenza del proprio padre, contragga matrimonio alla presenza del parroco, sulla richiesta del padre medesimo, il matrimonio sarà annullato dall’autorità civile.

Ora quel matrimonio è validissimo in faccia alla Chiesa. La legge annullandolo promuove l’adulterio delle parti. […]

Ecco dove ci porta il progresso! A popolare il Piemonte di bastardi! A legalizzare i più orribili delitti! E questa si chiama civiltà? Ed è quella civiltà che ci fate pagare cotanto? E qual è, in grazia, lo scopo delle vostre riforme?

Noi speriamo che questa legge non sarà votata, perché non può esserlo, eccedendo l’autorità della Camera, e tenendo a convertire il Piemonte in un bordello. Ma, rigettata la legge, è sempre sindacabile il ministro che l’ha proposta314, e dee esserne severamente punito, se è vero che tra noi non s’insulta impunemente la Costituzione e la pubblica morale315.

Al di là delle possibili conseguenze di carattere morale che il foglio sottolineava, è senza dubbio importante rilevare che l’«Armonia» decise di impostare la battaglia contro il matrimonio civile proprio in nome di quel principio di religione di Stato che anche il Piemonte dello Statuto non metteva in discussione. Il foglio clerical- reazionario, pertanto, decise di avviare avviare l’opposizione a questa battaglia richiamandosi all’applicazione delle istituzioni vigenti, non presentandosi, almeno per via formale, con inclinazioni anti-sistema. Certo, però, permaneva comunque l’ostilità nei confronti del parlamentarismo che rispecchiava quello che era l’orizzonte culturale reazionario, a cui è stato accennato nelle pagine precedenti di questo lavoro. Indubbio è, pertanto, evidenziare il momento di transizione politica in cui veniva trovarsi il Regno di Sardegna, con una classe dirigente liberale che progettava un certo tipo di percorso e gli elementi tradizionalisti che, invece, tentavano di proteggere determinati residui istituzionali.

Anche la «Campana», che il 15 giugno si era resa protagonista di un attacco diretto a Cavour, allora deputato, considerato la vera eminenza grigia del governo316, si inserì sin da subito nella battaglia oppositiva al matrimonio civile, schierandosi sul fronte clericale e intransigente. Queste le parole dell’editoriale del 17 giugno:

Era tutto naturale che dagli ischiaffi al Papa si venisse a schiaffeggiare la Chiesa; ed era naturalissimo che l’eroica impresa si compisse per opera di un di que’ moderati, i quali nell’atto di sputar in sul viso all’autorità divina della Chiesa le si prostrano beffardamente ai piedi, e in ginocchio a mani giunte le dicon: Ave!

314 Il riferimento è ovviamente a Carlo Boncompagni, ministro di Grazia e Giustizia.

315 «L’Armonia della religione colla civiltà», La legge sul matrimonio civile. Illegale, ipocrita, immoralissima, n.° 72, giovedì 17 giugno 1852.

316 «La Campana», La restaurazione del conte Camillo e la reazione, num. 238, 15 giugno 1852.

Il cav. Boncompagni era già benemerito dello scisma e dell’eresia, e degnissimo per conseguenza di dare ancora una buona spinta al Piemonte sullo sdrucciolo della separazione completa dalla Santa Sede. […]

Restava ora a compiere l’opera iniziata da quell’altro famoso cattolicone il conte Siccardi, e promossa da quell’esemplare di ogni virtù religiosa il prof. Nuytz317, per obbedire ai voleri di Sacco Nero318, ed alle esigenze d’una buona parte della nostra piissima magistratura. Restava a sancire il matrimonio civile.

Ed ecco subito il cav. Carlo Boncompagni trarre innanzi, e dire: son qua io, che non temo né le scomuniche né le proteste di Roma: che cosa c’è da fare?

Allora Siccardi e Galvagno319 gli accennarono di trar fuori dallo immondezzaio del protestantesimo e della rivoluzione gli stracci del matrimonio civile, di cui essi avean già fatto un centone; e così tutto in pompa esporli alla pubblica approvazione e venerazione del Piemonte, sotto forma d’un progetto di legge.

Da notare già solo da queste poche righe la pungente ironia sulla quale puntava, come peculiarità stilistica, il foglio clericale, nonostante un minore approfondimento dottrinario su cui invece era più improntata la linea giornalistica dell’«Armonia», che non a caso si era prefissa il compito di influenzare la cultura politica della classe dirigente sabauda320. La «Campana», per quanto, comunque, manteneva la dicitura “liberali con il re”, in modo da sottolineare la fedeltà istituzionale e costituzionale al Regno di Sardegna, al tempo stesso, come queste righe testé riportate dimostrano, anche tale giornale si riconosceva nella teoria tradizionalista della “genealogia dei mali”, poiché il disegno di legge per l’istituzione del

317 Giovanni Nepomuceno Nuytz (1800-1874) fu un giurista torinese, sostenitore del giurisdizionalismo e del processo separatista del regno sabaudo. Cfr. A. Lupano, Giovanni Nepomuceno Nuytz, DBI, vol. 79, 2013, https://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni- nepomuceno-nuytz_%28Dizionario-Biografico%29/.

318 Era la firma, sulla «Gazzetta del Popolo», di Giovani Battista Bottèro (1822-1897), il quale teneva un sua rubrica anticlericale. Fu un sostenitore delle politiche cavouriane. Cfr.

G. Locorotondo, Giovanni Battista Bottero, DBI, vol. 13, 1971, https://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-battista-bottero_%28Dizionario- Biografico%29/.

319 Giovanni Filippo Galvagno (1801-1874) fu avvocato e uomo politico. Nel governo di d’Azeglio fu ministro dell’Interno. Cfr. L’Unificazione, 2011, Giovanni Filippo Galvagno, https://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-filippo- galvagno_%28L%27Unificazione%29/.

320 Cfr. B. Gariglio, I cattolici dal Risorgimento a Benedetto XVI cit., p. 51.

matrimonio civile lo si faceva ricondurre direttamente dal protestantesimo e dai principi rivoluzionari. Inoltre, è interessante notare come la «Campana» ponesse la sua attenzione in chiave polemica in modo particolare non con le componenti progressiste e dichiaratamente anticlericali della politica sabauda, ma nei confronti di quel contesto liberale e moderato che, se da un lato i suoi esponenti facevano professione di fedeltà cattolica e riconoscevano anche l’importanza storica e culturale che il cattolicesimo possedeva, al tempo stesso erano proprio costoro che si facevano i principali interpreti del processo politico di separazione fra la Chiesa cattolica e lo Stato sabaudo.

Così continuava l’articolo che presentava il progetto di legge:

E Boncompagni tutto festoso colse ancora questa opportunità di mostrarci le sue convinzioni antiche e profonde; e fece quello cui non eran bastate le forze d’un Siccardi e d’un Galvagno.

Il progetto di legge pel matrimonio civile fu presentato da Boncompagni alla sanzione della Camera elettiva nella tornata del 12 giugno. […]

Ora è da sapere che questo progetto s’informa tutto del principio di mantenere in questa, come in tutte le altre parti di legislazione, l’assoluta indipendenza del governo civile da ogni altra podestà. – Il qual principio applicato alla legislazione in cose spettanti per la propria loro natura anche al poter ecclesiastico, viene a dire che qui, in Piemonte, in uno Stato cattolico il governo s’è prefisso di non comportare la menoma suggezione all’autorità della Chiesa. […]

Il sig. cav. Boncompagni, da buon cattolico sullo stampo universitario, ha perfettamente separato il contratto dal Sacramento del matrimonio, anche pei cattolici, tantoché questo progetto di legge può per antonomasia appellarsi la sanzione del concubinato.

Pertanto, anche la «Campana», così come l’«Armonia», sottolineava l’incongruenza di un progetto di legge che, all’interno di una cornice istituzionale che riconosceva il cattolicesimo come religione di Stato, andava a erodere uno spazio decisionale della Chiesa di notevole importanza come quello del matrimonio, inserendo la potestà statutale, con al vertice una classe dirigente sempre più distante dai precetti espressi da Roma. Così continuava la presentazione del progetto:

Dunque se la Chiesa non potrà assentire a due individui di contrarre il matrimonio legittimo, perché vi si frappongono insormontabili impedimenti canonici, basterà che siano tolti gli impedimenti fissati dal sig. Boncompagni, e senza la Chiesa anzi contro le leggi della Chiesa que’ due individui saranno riguardati come congiunti in matrimonio legittimo. Così riman sanzionato dalla legge d’un governo e d’un paese cattolico un impurissimo accoppiamento, un laido concubinato; e i figli provenienti da tale unione saran riguardati come legittimi.

Tenetevela bene a mente, e capitela bene, o buoni uomini che avete tanta riverenza per le profonde e religiosissime convinzioni de’ moderati!

Il sig. Boncompagni vuole che se due individui, maschio e femmina, vogliono accoppiarsi, e son cattolici per religione epperciò suggetti alla Chiesa, non debbano dipendere dalle leggi della Chiesa per contrarre una unione legittima […]

Ecco pertanto un laico fatto ministro di quel contratto, che secondo la dottrina cattolica fu da Cristo innalzato alla dignità del Sacramento: e così quel poter civile che vuolsi sparato da ogni influenza religiosa intromettersi sacrilego in quell’atto che dal Concilio di Trento si definì un vero e proprio Sacramento.

L’indipendenza dalla Chiesa, che fingesi esser la meta ultima cui anelano i nostri rigeneratori, non è ancora il vero loro scopo. Vogliono padroneggiar la Chiesa, ed averla schiava, epperciò spingonsi fino colà dove solo può giungere l’autorità divina!

Imparisi una volta a conoscere quel che sono i moderati321!

L’idea di una Chiesa cattolica accerchiata dalle forze della rivoluzione moderna, di cui ormai la classe dirigente sabauda ne era parte, permeava l’orizzonte mentale del foglio clericale. Era una viva preoccupazione, invero, l’idea di un Regno di Sardegna guidato da “mangiapreti” che si potesse comportare da padrone nei confronti della Chiesa e del cattolicesimo piemontese. Inoltre, è da rilevare che ormai, in pieno 1852, anche un giornale come la «Campana», che non esplicitava apertamente l’appartenenza al fronte tradizionalista e anti-liberale, non mancava all’inaugurazione del disegno di legge per il matrimonio civile di scagliarsi soprattutto e innanzitutto con i liberal-moderati, considerati ormai parte di un fronte anti-cattolico alla stessa stregua di progressisti e repubblicani. Idea, questa, che accomunava la «Campana» all’«Armonia»322. Anche per questo il 1852 può essere

321 «La Campana», Il matrimonio civile, num. 540, 17 giugno 1852.

322 Cfr. B. Gariglio, I cattolici dal Risorgimento a Benedetto XVI cit., p. 44.

considerato un anno di un più chiaro delineamento degli schieramenti in campo, con un fronte clericale e tradizionalista a difendere le prerogative ecclesiastiche e le tradizioni consuetudinarie dello Stato e dall’altra una variegata coalizione politica, dai liberal-moderati alle sinistre più accesamente anti-cattoliche, oltre che anticlericali, intenta a portare avanti il processo di modernizzazione delle strutture statuali.

La critica al governo d’Azeglio da parte reazionaria, inoltre, stava in quel momento diventando maggiormente strutturata e organica. Ne è un esempio lo scritto programmatico che il 1° giugno, pochi giorni prima della proposta di legge alla Camera di Boncompagni, diede alle stampe il senatore La Tour323, dove il politico tradizionalista criticava il ministero d’Azeglio circa il mancato rispetto della libertà d’associazione e la sua politica economica, disattendendo la prescrizione di imposte proporzionali prevista dallo Statuto324. Pertanto, la questione del matrimonio civile era inserita in un contesto più ampio di polarizzazione politica all’interno dello Stato sabaudo. Polarizzazione politica che finiva per coinvolgere anche la figura del sovrano e, in quel momento di inizio della battaglia sul matrimonio civile, Vittorio Emanuele fece in modo di far giungere a La Tour, tramite il figlio Carlo che prestava servizio alla Casa militare del re, la sua contrarietà alla pubblicazione reazionaria e alla sua opposizione al ministero d’Azeglio325.

La battaglia reazionaria contro il progetto di legge veniva ostacolata, invero, anche dalle stesse autorità sabaude, poiché venne sequestrato il numero 82 del giornale e il supplemento del 10-11 luglio 1852326, ma ciò non impedì che anche il papa, in una lettera del 2 luglio, rese edotto Vittorio Emanuele della sua contrarietà a tale proposta di legge:

323 Vittorio Amedeo Sallier De La Tour (1774-1858) era un uomo politico di idee tradizionaliste e fu nominato senatore il 3 aprile 1848, sedendo fra i banchi della destra reazionaria, e fu uno strenuo oppositore delle politiche liberali di d’Azeglio e Cavour. Cfr.

P. Gentile, Vittorio Amedeo Sallier De La Tour, DBI, vol. 89, 2017, https://www.treccani.it/enciclopedia/sallier-de-la-tour-vittorio-amedeo_%28Dizionario- Biografico%29/.

324 Cfr. P. Gentile, L’ombra del re cit., pp. 107-108.

325 Ivi, pp. 108-109.

326 Ivi, p. 109.

Le voci della Mia coscienza, l’affetto e la stima che professo verso la M: V., M’impongono il dovere di prevenirla che il progetto di legge testé pubblicato in Torino pel Matrimonio, non è cattolico. [..]

si vuol togliere al Sacramento tutta la forza ed efficacia che deve avere nel contratto: si sono ristretti e cambiati l’impedimenti dirimenti riconosciuti dalla Chiesa: si ritien valido il matrimonio celebrato in una forma diversa da quella stabilita dal Concilio di Trento sotto pena di nullità: riconosce come Matrimonii certe unioni che la Chiesa condanna: delega ai Magistrati laici certe cause che sono di privativa competenza della Chiesa ecc. ecc327.

Pio IX, fra l’altro, si faceva portavoce di quelli che erano i sentimenti della maggioranza dell’episcopato piemontese, chiaramente preoccupato per un disegno di legge che rischiava di ridimensionare le prerogative ecclesiastiche in una sfera così delicata come quella del matrimonio. Infatti, sull’«Armonia» del 17 luglio veniva pubblicato un comunicato ufficiale dei monsignori subalpini e liguri indirizzato ai senatori del Regno:

Per quanto sia grave ai Vescovi sottoscritti far cosa, la quale, da chi voglia travisare le loro intenzioni, può di leggieri interpretarsi per meno riverente al Real Governo, essi né possono né devono per alcun umano riguardo trattenersi dal compiere un obbligo gravissimo che loro impone la sacra qualità di pastori delle anime, di custodi e difensori della Cattolica Fede.

Alle incolpazioni che fosse per dirigere contro di loro la malevolenza, i medesimi risponderanno colla più leale sommessione al governo del Re, e colla più pronta e doverosa loro obbedienza alle leggi dello Stato in tutto ciò che non intacca i loro doveri verso Dio e verso la Chiesa.

Nella tornata del 12 giugno, il Ministero di S. M. presentava alla Camera dei Deputati un progetto di legge sul matrimonio, ed un altro per l’ordinamento dello Stato civile.

Mentre i buoni cattolici di questi reali dominii si sentivano da recenti discorsi del governo sollevati a liete speranze di un prossimo sospirato ravvicinamento colla S. Sede, non potevano al certo aspettarsi l’annunzio di nuove leggi, che venissero a rendere viepiù intensa l’afflizione già troppo amara del comun Padre dei fedeli, ed a porgere nuove cagioni di quei lamentevoli dissidii, che da varii anni lacerano crudelmente il seno di quanti amano sinceramente la Chiesa e la Patria. […]

327 Cfr. P. Pirri, Pio IX e Vittorio Emanuele II dal loro carteggio privato. La laicizzazione dello Stato Sardo 1848-1856, vol. I, cit., lettera di Pio IX a Vittorio Emanuele, 2 luglio 1852, p. 103.

Ma non è a dire con quanta attenzione, con quanta sollecitudine i Vescovi rappresentanti abbiano rivolte le loro considerazioni alla legge del matrimonio, che ha un rapporto così intimo colla Religione. Egli è dopo lunga e matura ponderazione che furono spinti ad esprimere all SS. VV. Ill.me, che essi concordemente reputano quel progetto offensivo della Religione Cattolica, contrario allo Statuto fondamentale del Regno, e tale da aprire necessariamente la via alla più rovinosa immoralità, come a porre inevitabilmente i cattolici nelle più dolorose angustie di coscienza.

La Religione Cattolica riconosce nella Chiesa di Dio il diritto di stabilire impedimenti che rendono nullo il matrimonio, e conseguentemente il diritto di accordare dispense da tali impedimenti. La S. Chiesa esercitò fino dai tempi apostolici una tale autorità: il Sacro Concilio di Trento ha espressamente definita questa verità, ed essa non può impugnarsi senza taccia di eresia.

Ora quest’autorità della Chiesa, questa sua definizione si conculca onninamente dichiarandosi valido od invalido un matrimonio senza riguardo veruno agli impedimenti da essa stabiliti, od alle dispense da essa accordate, e si fa così un’offesa alla Religione Cattolica, che essendo la Religione di assai più che i novantanove centesimi dei sudditi di S. M., è pure la sola Religione dello Stato.

Per questo motivo la legge proposta viola lo Statuto fondamentale del Regno, poiché ammettendo una Religione nello Stato, e più ancora riconoscendola per la sola Religione del medesimo, è necessario l’ammetterla compiutamente e convenientemente colle sue massime e co’ suoi precetti; è necessario il guardarsi da qualsivoglia cosa, che ne offenda gl’insegnamenti e ne manometta le leggi. Senza ciò quella ammissione e lo Statuto che la proclama, sarebbero una menzogna, una insidia.

Inoltre la legge proposta fa una violenza gravissima alla coscienza dei cittadini, e li priva della più preziosa delle libertà, astringendoli per forza a cose che la loro Religione altamente riprova, imponendo ai medesimi una convivenza od una separazione che la Religione da essi professata imperiosamente divieta. […]

Che se in ogni tempo la legge proposta sarebbe irreligiosa, immorale e rovinosa, ben può vedersi quanto ella riuscirebbe funesta in tempi in cui la società vacilla; perché l’interesse materiale ha fatto sorgere una setta avversa per sistema ad ogni principio religioso, e nemica della fede non meno, che della proprietà, delle famiglie e dell’ordine! […]

Ma qual bene, qual vantaggio si aspetta mai lo Stato dalla legge proposta? Si vuol rendere, così almeno si dice, si vuol rendere l’autorità secolare indipendente dalla Chiesa, si vuol antivenire ogni conflitto tra la potestà Regia ed Ecclesiastica.

Si possono pubblicare tutte le leggi immaginabili, se ne può promuovere per qualsiasi mezzo la materiale esecuzione; ma l’unione di due cattolici tra noi non sarà mai, e poi mai un vero matrimonio, se non è celebrato secondo le dottrine infallibili e le leggi della Chiesa, o se vi osta un qualche impedimento opposto dalla medesima. Si può difatti astringere due persone a starsene assieme, ma innanzi a Dio, innanzi alla Chiesa in realtà non saranno mai due coniugi. […]

Quanto ai conflitti tra le due autorità, invece di evitarsi colla progettata legge sul matrimonio, si creano e si moltiplicano a dismisura, perché con essa si collocano non di rado i coniugi in tali circostanze, che loro sia veramente impossibile l’osservare le leggi della Chiesa e quelle dello Stato. Ciò accadrebbe ogniqualvolta un impedimento canonico annulli un matrimonio che la legge civile dichiari valido e sussistente, o che lo Stato pronunzi nullo un matrimonio che la Chiesa proclami legittimo e valido; ogni volta cioè che le leggi della Chiesa e dello Stato trovansi in opposizione; al che la progettata legge schiude pur troppo un adito perenne ed amplissimo.

Quale poi che egli sia il bene, che si suppone poter nascere dal rendere il matrimonio indipendente dall’autorità della Chiesa, non sarà egli un bene infinitamente maggiore il non promuovere la totale rovina del buon costume, il non tormentare tutte le coscienze cattoliche? Chi vorrà disconoscere che la sola e vera base della morale si è la Religione, che per ristabilire l’ordine è necessario rinvigorire la credenza religiosa, è necessario riconoscere ed accordare alla Chiesa ciò, che a Lei si appartiene, è necessario rispettarne le Leggi, è necessario in fine promuovere l’ossequio, e la venerazione alla Religione dello Stato, la quale anche sotto l’aspetto politico vuol esser sinceramente onorata e praticata? Il sottrarre il matrimonio dalla dovuta dipendenza della Chiesa è un invito legale a trascurarne i precetti, a scordarli, a violarli, è il passo più acconcio per corrompere la Nazione, per indurla ad abiurare la Religione dei suoi Padri328.

Il comunicato terminava, infine, con le firme dei monsignori piemontesi e liguri, che ufficializzavano la loro opposizione al matrimonio civile. Anche i vescovi, pertanto, scendevano esplicitamente in campo per affrontare la loro battaglia politica, schierandosi con tutto il movimentismo reazionario a difesa delle prerogative ecclesiastiche e sottolineavano le incongruità del progetto di legge, che andava a porsi, secondo la loro interpretazione, in contrasto con l’assetto

328 «L’Armonia della religione colla civiltà», Indirizzo degli arcivescovi e vescovi subalpini e liguri al Senato del regno sul Progetto di Legge del Matrimonio 9 giugno 1852, n° 85, sabato 17 luglio 1852.

costituzionale dello Stato delineato dallo Statuto. Di conseguenza anche la posizione dell’episcopato subalpino era sostanzialmente allineata a quella del resto della galassia tradizionalista, che in pieno 1852, pur nel contesto di forte, polarizzazione, si manteneva prudente nell’attaccare le istituzioni del Regno. Nonostante ciò, questa prudenza conviveva con uno stato di preoccupazione per i tentativi di erodere il peso pubblico della Chiesa cattolica e l’idea che si stesse vivendo un attacco al cattolicesimo piemontese era ben presente nello stato d’animo dei monsignori subalpini, come questo comunicato ben testimonia. Per quanto Boncompagni e anche l’allora deputato Filippo Galvagno329 ribadissero l’esclusione della possibilità di divorzio dal disegno di legge330, le componenti politiche, sociali e culturali del Regno di Sardegna avvertivano il tutto come un processo di aggressione alle prerogative ecclesiastiche e un sovvertimento delle consuetudini istituzionali.

La legge Boncompagni, comunque, passò l’esame della Camera il 5 luglio con 94 voti favorevoli, 35 contrari e 3 astenuti331, al di là dell’opposizione clericale.

Da rilevare è che, in questa prima fase, il fronte liberal-progressista e anticlericale non fece sentire la propria voce in merito sui propri fogli di riferimento, al contrario della mobilitazione di parte tradizionalista, ma nelle settimane e mesi successivi i colpi politici e dottrinari sulla stampa sabauda in merito alla questione del matrimonio civile non vennero a mancare neanche dal fronte politico e sociale che si schierava a favore del matrimonio civile e che, come stato testé riportato, ne aveva preparato il terreno sotto il profilo politico e culturale.

329 Filippo Galvagno (1801-1874) fu uomo politico liberale, allora faceva parte della Camera dei Deputati. Cfr. Senato della Repubblica, Senatori del Regno (1848-1943), Filippo Galvagno,

https://notes9.senato.it/web/senregno.nsf/c50b3ac90c64e228c125785e003cce33/0abca6c8 b05a4ad1c1257069003186cf?OpenDocument.

330 Cfr. A. Borgione, Separazioni e divorzi nel lungo Ottocento torinese cit. p. 154.

331 Ivi, p. 155.

divisore 4
Lo scontro politico e dottrinario, la mobilitazione reazionaria contro il progetto laicistico

La battaglia politica intorno al matrimonio civile fra le fazioni politiche del Regno di Sardegna procedette anche, appunto, in seguito alla presentazione del progetto di legge e anche dopo che tutte le forze politiche e le realtà sociali presero posizione in merito e scesero ufficialmente nel campo della lotta politica, come documentato in precedenza.

L’«Armonia», che ormai si caratterizzava come la voce culturalmente più autorevole del contesto reazionario piemontese, inquadrava il momento particolare come una fase di persecuzione nei confronti della Chiesa. L’eliminazione del monopolio ecclesiastico circa il matrimonio veniva interpretata come una tappa di un più ampio ridimensionamento delle prerogative ecclesiastiche e di vero e proprio processo atto all’eliminazione delle radici cattoliche del Piemonte:

Egli è un parlare e straparlare continuo nella Camera dei Deputati dell’abolizione del foro ecclesiastico. La legge Siccardi, dicono gli onorevoli, incominciò quest’opera salutare, ma non conviene lasciarla a metà. Bisogna proseguire e spiantare quest’albero maledetto.

E’ questa una delle principali ragioni che s’adducono in favore della legge sul matrimonio civile. Si vuole secolarizzare un Sacramento per abolire il foro ecclesiastico, per non dover più dipendere dai preti, per dare una lezione al partito clericale, come disse il deputato Mellana332.

Quando il fallo sarà consumato, e tolta ai preti l’amministrazione del matrimonio, il foro ecclesiastico sarà allora abolito? Dall’interpretazione larghissima che si attribuisce a queste due parole, rilevasi agevolmente, che la secolarizzazione del matrimonio sarà un passo di più nella via delle riforme eterodosse, ma non ancora la piena abolizione del foro ecclesiastico.

I preti hanno un grosso privilegio, ed è quello di battezzare, ed introdurre gli uomini nel beato ricinto della Chiesa Cattolica. Questa è una parte del foro ecclesiastico. Il governo ha diritto di sapere a quale religione appartengano i suoi governati. Non andrà guari che sarà detto ai preti: il Battesimo è un nostro diritto e non può essere un vostro privilegio. […]

332 Filippo Mellana (1810-1874) era un deputato della sinistra progressista, vicino alla figura di Rattazzi. Cfr. Enciclopedia on line, Filippo Mellana, https://www.treccani.it/enciclopedia/filippo-mellana/.

Certo è che quanti han parteggiato per l’abolizione del foro ecclesiastico nella legge Siccardi, ed oggi parteggiano per l’abolizione del foro ecclesiastico nella secolarizzazione del matrimonio avrebbero torto marcio, quando si opponessero al ministero che volesse allargare il principio. Chi può dubitare che il sacerdozio non eserciti una grande giurisdizione nella società? Chi oserà negare che il foro ecclesiastico sussista e debba sempre sussistere finché esistono i Sacramenti, e finché vi hanno sacerdoti?

Non si perviene tante volte a queste ultime deduzioni, perché si lascia l’argomento a mezza via. Ma la rivoluzione francese del 1789, che avuto nelle mani il principio, volle applicarlo fino all’ultimo, non tardò a esprimere e Chiesa, e Sacramenti, e Dio. Essa avea incominciato come noi, dal sopprimere cioè i privilegi del Clero, e dal bandire l’eguaglianza333.

Come si può intuire, l’«Armonia» si poneva polemicamente nei confronti degli eventi della Rivoluzione francese che toccò la Chiesa e indicava quegli eventi come il precedente dei tempi moderni negativo per eccellenza.

Dopo la dichiarata opposizione alla legge, comunque, la galassia reazionaria e clericale diede quasi subito inizio alla mobilitazione delle proprie forze per mantenere il monopolio ecclesiastico circa il rito matrimoniale. Vari comuni, ove l’influenza laicistica era meno pervasiva rispetto a Torino, infatti, ai primi di luglio presentarono delle petizioni per l’abolizione del disegno di legge:

Oggi, 3 luglio, vennero presentate alla Camera dei Deputati ed al Senato CINQUANTA PETIZIONI contro la legge sul matrimonio civile. Ecco il testo della più breve:

«La proposta di legge sul matrimonio civile, siccome aliena dalla SS. Religione dell’universalità degli individui componenti la nazione, contraria all’art. 1° dello Statuto, che proclama la Religione Cattolica Romana la sola religione dello Stato, e siccome funesta al bene ed alla tranquillità delle famiglie e delle popolazioni, chiedono i sottoscritti che sia rigettata».

Notiamo i comuni e le persone principali che mandarono queste petizioni. – Comune di Ronco Canavese, petizione sottoscritta da quarantasette individui. – Comunità di Setto- Vittone: Il Prevosto dichiara essere universale il voto della popolazione, che la proposta di legge sul matrimonio civile sia rigettata. Diecinove sottoscrivono. – Comune di Palazzo: sottoscrivono novanta, tra i quali ottant’otto capi di famiglia. – Comune di Strambinello: petizione sottoscritta da diciotto persone benestanti. – Comune di Campo: sottoscritta da

333 «L’Armonia della religione colla civiltà», Abolizione del foro ecclesiastico. Ossia la soppressione de’ sette sacramenti, n° 79, sabato 3 luglio 1852.

trentasei. – Sei parrochi del vicariato di Caluso. – Comune di S. Giusto, sottoscrivono cinquantatré. – Comune di Caravino: petizione sottoscritta da quarantatré, quasi tutti capi di casa334.

Le petizioni contro il progetto di modificare la giurisdizione del rito nuziale e, più in generale, l’entità della mobilitazione tradizionalistica venivano rivendicate con forza dalla stampa reazionaria, in modo da mettere in guardia la classe dirigente del Regno di Sardegna e il più ampio fronte liberal-progressista dal fatto che una quantità non affatto indifferente della popolazione sabauda non stava gradendo affatto il nuovo corso che si stava imprimendo alle strutture politiche dello Stato:

«Ognuno che sia maggiore di età, ha il diritto di mandare petizioni alle Camere.» Così l’art. 57 dello Statuto. Ma questo povero articolo è presso a subire la sorte del 1°, che dichiara la Religione Cattolica sola Religione dello Stato; la sorte del 24, che rende tutti i regnicoli uguali in faccia alla legge; la sorte del 26, che guarentisce la libertà individuale; la sorte del 27, che proclama l’inviolabilità del domicilio; la sorte del 29, che dice inviolabili tutte le proprietà, senza alcuna eccezione.

Il nostro ministero ha visto che la legge Boncompagni non sono da pigliarsi a gabbo. Ha saputo che in tutte le parti dello Stato si raccolgono firme, vuoi pel voto a Maria vergine Consolata; vuoi per petizioni da mandarsi ai senatori. Quindi ha ricorso agli spauracchi, ed ha pensato ad opporsi con questo mezzo allo zelo de’ ferventi cattolici.

Ricordiamoci che il Supplimento dell’Armonia, ove era la prima lista degli Oblatori pel voto alla Consolata, venne sequestrato dal fisco. Se saremo assolti, e ne abbiamo quasi la certezza, riprodurremo l’articolo per cui fummo sequestrati; e si vedrà fin dove fu spinto l’arbitrio ministeriale. […]

E’ impossibile descrivere lo stato durissimo, cui poco a poco si riduce l’impiegato sotto questo benedetto governo. Il principio dell’obbedienza cieca è stabilito in un modo ben più assoluto di quello che sia ne’ chiostri. Gli impiegati sono convertiti in altrettante ruote subalterne, che in tutte quante le operazioni della vita debbono lasciarsi addentare dalla ruota maggiore, e girare nel suo senso. Entrando nell’impiego essi perdono l’individualità, e ogni diritto di cittadino. Non possono stampare un libro, se non è favorevole al ministero; non possono appartenere ad un’adunanza, se non è ministeriale; non iscrivere una petizione,

334 «L’Armonia della religione colla civiltà», Petizioni presentate in parlamento contro la legge del matrimonio civile, supplimento al n° 79, domenica 4 luglio 1852.

non associarsi ad un giornale, non esternare un pensiero che non sia in tutto e per tutto secondo il genio de’ nostri imperatori. […]

Noi non ci fermeremo a provare quanto sia tristo ed illegale questo sistema, che priva, per dir così, della propria individualità una classe onorata di cittadini, come è quella che gode un pubblico impiego. Ognuno lo vede da sé. Gli impiegati diventano cose del ministero. Ora dottrinari, perché comandano i Boncompagni: domani democratici, se comandassero i Sineo e consorti.

Una cosa sola diremo, ed è che i mezzi onde si valgono i nostri ministri per promuovere il loro progetto di legge, ne sono una solennissima condanna. Finora questi mezzi furono l’urgenza, la precipitazione, gli spauracchi, i sequestri. Così non si fanno le buone leggi. Invece nascono da questi elementi le leggi tiranniche, che ripugnano ai costumi dei popoli, e cozzano colla loro coscienza.

Non ostante però tutte le circolari e le violenze dei nostri ministri, noi dobbiamo andare innanzi con coraggio, ed operare secondo i principii cattolici che ci vennero sì chiaramente manifestati dai nostri Vescovi. Le manifestazioni che noi abbiamo promosso, la Dio mercé, riescono felicemente. […]

In tutte le città, in tutti i paesi sorga un buon cattolico, e scrittosi un modulo di petizione, corra di casa in casa, lo legga alle famiglie, e vi faccia segnare i maggiori di età. […]

La legalità è la nostra bandiera. Guardiamoci bene di guastare una buona causa con mezzi disonesti. Gli arbitrii, le violenze, le minacce, le diffamazioni lasciamole ai nostri avversari, i quali per sostenere un principio immoralissimo non possono avere altre armi. […] Che se l’opera nostra riuscisse inutile, se i tristi ci schiacciassero col loro numero, e il diritto soggiacesse alla maggioranza, tutto non sarebbe perduto. Le partite si piantano quaggiù, ma si saldano altrove335.

L’«Armonia», pertanto, ribadiva sì di continuare a operare all’interno dell’alveo legale, allontanando propositi eversivi, ma, al contempo, i continui riferimenti ai sequestri subiti dal giornale stavano a dimostrare una denuncia sul clima di libertà di opinione non certo idilliaco che si respirava nel Piemonte dell’epoca. Il foglio reazionario, in ogni caso, sin dalle prime settimane di lotta politica circa la questione del matrimonio civile si impegnò, pertanto, a dare un importante contributo alla mobilitazione tradizionalistica.

335 «L’Armonia della religione colla civiltà», Una circolare del ministero. Come dobbiamo rispondervi?, n° 92, 3 agosto 1852.

Su questa mobilitazione, però, iniziò poi una campagna di delegittimazione della fazione anticlericale. Così, infatti, ironizzava la «Gazzetta del Popolo» in un suo articolo del 16 agosto sulle sottoscrizioni promosse dall’«Armonia» e dalla

«Campana»:

Poveri preti dell’Armonia e della Campana, si potrebbe sapere chi v’abbia inspirato quel matto impegno d’una sottoscrizione contro la legge del matrimonio?

Poveri preti, avete voi pensato che una sottoscrizione equivale ad un censimento? Che dalle sottoscrizioni si ha la statistica per conoscere la forza dei partiti?

Ecco lì, […] in un mese e mezzo, vagabondando di soffitta in soffitta, di bottega in bottega, di casa in casa, pretestando mille imposture di voti alla Consolata e che so io, in un mese e mezzo avete raccolto 900 firme.

Di queste 900 firme 484 sono di donne, 82 di pretoccoli, e 334 di uomini.

Da questi ultimi 334 bisogna sottrarne tutti i ragazzi, tutti gli assenti che protestarono poi, e tutti gli illetterati, ai quali si fece il servizio di sottoscrivere per essi.

Poveri preti, che pitocca raccolta! […]

Ciò che mi dà meraviglia nel caso vostro è il governo che seguita a temervi, malgrado la statistica concludente della vostra sottoscrizione.

Ma come va, poveri preti dell’Armonia e della Campana che siate così derelitti dalla pubblica opinione, che fra quattro milioni e ottocento mila abitanti dello Stato sardo non possiate trovare con tutti i baratti che meno di 900 difensori della vostra causa, fra i quali 484 femmine336?

Il tono sarcastico delle parole contenute nell’articolo sono ben indicative di quello che era il clima politico certo non disteso del Regno di Sardegna alla metà del XIX secolo.

Indicativo di quella che era la percezione della galassia reazionaria circa il matrimonio civile è l’editoriale dell’«Armonia» di domenica 15 agosto con un titolo eloquente: «Le persecuzioni»:

Le persecuzioni della Chiesa Cattolica sono un retaggio principalissimo lasciatole dal suo fondatore. […]

L’esperienza di diciotto secoli venne a confermare la predizione del divino Maestro. E la storia registra ventisei grandi persecuzioni. E grandi diconsi quelle persecuzioni, nelle quali

336 «Gazzetta del Popolo», Le sottoscrizioni dell’Armonia, num. 194, 16 agosto 1852. Il corsivo è nel testo

i fedeli erano condotti al bivio di rinunziare alla fede cattolica o di soggiacere a gravi tormenti ed alla morte. […]

Ora quali le accuse che pesano sui cattolici ne’ paesi dove sono perseguitati? Si può dire francamente che tutte si riducono a questa prima: «Non vogliono sottomettersi alle leggi del paese». E d’altra parte possiamo dire francamente che le sole leggi del paese, a cui i cattolici non vogliono sottomettersi sono le leggi contro Dio e la sua Chiesa. Che se qualche eccezione potrà farsi a quest’asserzione generale, potrà cadere su qualche porzione di cattolici non troppo docili all’insegnamento della Chiesa, ma non mai sulla massa de’ cattolici obbedienti a’ loro pastori337.

Il richiamo istituzionale, che si può intuire dalle ultime righe testé riportate, a cui l’«Armonia» si rifaceva era comunque quello di uno Stato in cui la sfera religiosa e quella politica non fossero, se non altro non completamente, disgiunte.

La galassia reazionaria non riteneva, comunque, di dover procedere sommessamente nell’affrontare questa sfida che si poneva. La logica che animava il contesto reazionario era quella di un cattolicesimo militante, per cui si dovesse combattere pubblicamente al fine di impedire la realizzazione del processo modernizzatore e anticlericale. Un articolo del 10 luglio dell’«Armonia» rispecchia bene questa concezione:

[…] Egli è perciò che quando noi invitiamo i nostri a non temere, a levare coraggiosamente la fronte, e a dire la propria ragione, ci attiriamo addosso un cumulo di vituperii. Conciossiaché gli avversari ben veggono che se i buoni smettono le paure, essi sono perduti, e quindi come cercano d’intimorire, denigrando, tartassando, e talvolta mostrando i pugni; così pure s’affaccendano per impedirci di scuotere i nostri concittadini da questa timidità.

Ma deh! Che una volta coteste ire ci servano di insegnamento! Bando ai rispetti umani, al timore dei pericoli, ai pensieri d’interesse. Se si trattasse di ragguagliare le cose alla stregua dell’utile, vedremmo che ci torna assai più a conto di fare che tacere.

Il silenzio egli è omai un suicidio. Però qui non trattasi d’interesse particolare, trattasi della religione. E’ la nostra fede, e la fede de’ nostri figli che corre rischio. E’ il cattolicismo che s’insulta, la Chiesa che si dilania, il nostro padre, il Sommo Pontefice che si crocifigge. E noi assisteremo indifferenti a questa nuova crocifissione? E tacendo faremo sì che scendano

337 «L’Armonia della religione colla civiltà», Le persecuzioni, supplimento al n° 97, domenica 15 agosto 1852.

sul nostro capo, sul capo de’ nostri figli le sue lagrime? Deh, che non sia così! Nol vuole né il nostro onore, né la nostra religione, né l’utile nostro. Guardiamoci dal dire o dal fare una menoma cosa contro la legge: ma tutto ciò che la legge ci consente, facciamolo con coraggio e con fermezza. La vittoria sta nelle nostre mani. E ce la lascieremo sfuggire? … Cattolici Piemontesi, in nome di Dio ve lo diciamo, voi sarete certamente i vincitori. Ma per vincere bisogna innanzi combattere338.

In ogni caso, al di là del sarcasmo che esprimeva la stampa liberal-progressista sull’effettivo consenso popolare della battaglia reazionaria del 1852, l’episcopato sabaudo non si tirò indietro, ma, seguendo l’impostazione di monsignor Ghilardi secondo cui la Chiesa cattolica non si sarebbe dovuta tirare indietro in occasione di una battaglia sociale e politica339 come era a tutti gli effetti quella per riformare il rito nuziale, continuò con manifestazioni pubbliche. Il vescovo di Cagliari, Emanuele Marongiu Nurra340, infatti, che si trovava in esilio a Roma, a causa della sua feroce opposizione alle leggi Siccardi341, scrisse una lettera, ripubblicata integralmente in questa sede, al presidente del Senato Giuseppe Manno342 circa il matrimonio civile, che fu pubblicata dall’«Armonia» il 17 agosto:

Illustrissimi signori Senatori,

Il progetto di legge sul matrimonio civile, non ha guari presentato alla sapienza delle SS.

LL. Ill.me, onde maturare in sì grave materia l’importanza, e la convenienza o sconvenienza di esso con opportuno giudizio decretare, questo progetto risvegliando

338 «L’Armonia della religione colla civiltà», Necessità di combattere, n° 82, sabato 10 luglio 1852.

339 ADM, Carte Ghilardi, Cartella 1, Discorsi, prediche, appunti ante 1873, Riflessioni sulle tribolazioni della Chiesa.

340 Emanuele Marongiu Nurra (1794-1866), fu vescovo di Cagliari dal 1842 sino alla sua morte, avvenuta nel settembre 1866. Si pose in maniera fortemente critica circa il processo liberale e anticlericale del Regno di Sardegna. Cfr. M. C. Corrias, Emanuele Marongiu Nurra, DBI, vol. 70, 2008, https://www.treccani.it/enciclopedia/emanuele-marongiu- nurra_%28Dizionario-Biografico%29/; Chiesa di Cagliari, vescovi di Cagliari, https://www.chiesadicagliari.it/arcivescovo/cronotassi/.

341 Cfr. https://www.treccani.it/enciclopedia/emanuele-marongiu-nurra_%28Dizionario- Biografico%29/.

342 Giuseppe Manno (1786-1868) era un politico di idee conservatrici, stretto difensore del casato sabaudo, e fu, infatti, presidente del Senato fra il 1849 e il 1855. Cfr. A. Mattone, Giuseppe Manno, DBI, vol. 69, 2007, https://www.treccani.it/enciclopedia/giuseppe- manno_%28Dizionario-Biografico%29/.

l’illuminato zelo dell’Episcopato degli Stati di S. M. che lo considerava offensivo alla Santa Religione, la quale sta a fondamento dello Statuto, spinse pur la voce di tanti venerandi Prelati sino al luogo ove mi trovo posto dal governo fuori di mia residenza, alla qual voce piena di gloria e d’onore pel Signor nostro Gesù Cristo la mia per dovere unisco: e facendo eco fraterna a quella dei miei colleghi dico: «Egli è dogma di fede, che il matrimonio, il quale prima della venuta di Cristo diventato uno dei sette Sacramenti della legge evangelica, istituito da Cristo nostro Signore. Di qui nasce, che alla sola Chiesa, a cui è affidata esclusivamente la cura dei Sacramenti, appartenga ogni diritto ed ogni potestà d’assegnare la propria forma a questo contratto elevato divinamente alla più sublime dignità di Sacramento». Ritengo il matrimonio nel presente ordine di cose essere un contratto essenzialmente soprannaturale, che costituisce il sacramento; e la contraria opinione appellava il sapientissimo P. Gerdil343, celebre teologo della Savoia e di re Carlo Emanuele III344, «mostruosa, ereticale, ripugnante alla dottrina di Cristo, alla tradizione dei Santi Padri, all’universale consenso della Chiesa Cattolica»; e quest’inconcusso giudizio scriveva molto innanzi che fosse onorato dalla sacra porpora. Dal che ne segue che in materia dogmatica sempre immutabile e non mai soggetta all’arbitrio dell’uomo, formolando nel progetto antedetto articoli toccanti la sostanza del matrimonio, ossia la validità o nullità di esso, sopprimendo impedimenti dalla Santa Chiesa stabiliti, e stabilendone altri che la medesima non ha mai stabiliti, sostituendo ai ministri ecclesiastici i giudici del mandamento ed i sindaci comunali, per questo fatto mette il legislatore progettista, come suol dirsi, la bocca in cielo; e sebbene con detestabile infingimento riferisca «non intendere di far legge contro la Chiesa, di dire ciò che han detto gli eretici», pure abbastanza statuisce contra di Lei allorché snatura, con penna comune a’ contratti di cose venali, e con dottrina dichiarata da secoli eretica, un dogma universale, mostrandosi superiore a Dio stesso autore dei Sacramenti, e alla sua Chiesa che gli amministra per divina disposizione, e con appositi canoni ne custodisce la santa integrità.

343 Giacinto Sigismondo Gerdil (1718-1802) fu un teologo savoiardo, critico delle teorie di Rousseau. Cfr. P. Stella, Giacinto Sigismondo Gerdil, DBI, vol. 53, 2000, https://www.treccani.it/enciclopedia/giacinto-sigismondo-gerdil_%28Dizionario- Biografico%29/.

344 Vittorio Emanuele III di Savoia (1701-1773) fu sovrano del Regno di Sardegna dal 1730 sino alla sua morte. Cfr. V. Castronovo, Carlo Emanuele III di Savoia, re di Sardegna, DBI, vol. 20, 1977, https://www.treccani.it/enciclopedia/carlo-emanuele-iii-di-savoia-re- di-sardegna_%28Dizionario-Biografico%29/.

Questo tratto di progettata violenza contro la Santa Chiesa colpisce direttamente Iddio, di cui Essa è Sposa immacolata, e fa pur onta gravissima al suo Vicario in terra345, la cui autorità, per universale consentimento dei cattolici, non è certamente estranea in alcun angolo del mondo, ove uomini esistano, o cristiani, o da condurre al cristianesimo. E infatti chi non ravviserebbe un grand’assurdo l’affermare: «che si può offendere la Santa Chiesa e il suo Capo visibile senza offendere Dio, il quale è padre dei fedeli» riconoscenti la Chiesa qual madre? E se la religione cattolica apostolica e romana è la religione sola dello Stato: e se i Sacramenti sono i canali pei quali questa santa religione conforta i fedeli colla celeste grazia, come potrà un cattolico legislatore in uno Stato cattolico arrogare la divina volontà benefattrice, sostituire dogmi umani ai divini, paganizzare in somma i veri cristiani? Né vale a scusar cotal attentato od abuso d’autorità il principio stabilito, cioè di non voler declinare dalla massima politica: che «ad ogni costo dee conservarsi l’indipendenza e la supremazia dello Stato». Perocchè questa, se degna di sagace legislatore può dirsi rispetto a cose tra governi civili d’una o d’altra nazione, non potrà però mai apprezzarsi rispetto al governo di Dio e della sua Chiesa, allorquando col fuorviare dall’ordine naturale della fondamentale verità, si lancia, per così dire, sopra il cielo, come fosse paese di militar conquista, da cui pur si pretende «indipendenza e supremazia», rinnovando per tal maniera l’antico attentato degli angeli ribelli.

E, a dir vero, cotesta indipendenza sarebbe puramente chimerica, perché non potrebbe mai sortir l’effetto desiderato senza cancellare dal cuor dei fedeli, quanti sudditi siano di S. M. Sarda, il santo dono della fede, che Dio stesso di sua potenza scolpì, e vi conservò perfino nelle tiranniche invasioni dei Vandali e de’ Saraceni. Ma io non ho in mira di stendermi più prolisso su cotal argomento, fondato sopra tanti dogmi quanti ne dichiarava la Santa Chiesa, e perché conosco la sapienza del Senato, e perché il vero fondamentale apparisce splendidamente da sé a chi tiene buona volontà d’apprezzarlo.

Per la qual cosa io pongo la mia piena fiducia nella pietà del Senato, affinché mostrandosi assolutamente cattolico in sì grave necessità, non voglia concedere approvazione al progetto sopraindicato del matrimonio civile, il quale, oltre di manifestare un argomento della maggiore imbecillità umana, in imitare direi quasi la Francia nei suoi preteriti deliramenti, al tempo istesso che in gran parte ravveduta li piange, e fa ogni sforzoper tornare a buon senno, manifesta pure un certo indizio funesto di tristissime conseguenze, e di scandalo gravissimo, per cui lo sdegno di Dio vieppiù irritato farà sì, che presto o tardi si mostri la dvina vendetta alla voce dei giusti oppressi, i quali gridano dal fondo di lor cuori: Exurge, Domine Deus, et exaltetur manus tua, ne obliviscaris pauperem vanaa loquuti sunt unusquisque ad proximum suum, labia dolosa in corde, et corde loquuti sunt346.

345 Chiaramente il riferimento, secondo la dottrina della Chiesa cattolica, è al papa.

346 «L’Armonia della religione colla civiltà», Lettera dell’arcivescovo di Cagliari al presidente del Senato, Emanuele, vescovo di Cagliari, n° 98, martedì 17 agosto 1852.

Lo stesso giorno che l’«Armonia» pubblicava la lettera, testé riportata integralmente, di monsignor Marongiu Nurra, la «Gazzetta del Popolo» esordiva con un editoriale in cui esprimeva il suo dichiarato appoggio alle tendenze repressive del governo d’Azeglio nei confronti del movimentismo clericale e veniva a mettere in discussione il consenso effettivo che la galassia reazionaria aveva nel Regno di Sardegna, in modo particolare fra la popolazione rurale. Nonostante queste critiche, comunque, che provenivano dall’area culturale progressista, ciò non toglie che l’«Armonia» stessa stava avendo in quel periodo un importante incremento delle tirature347 e lo stesso Vittorio Emanuele riteneva che la popolazione rurale del Regno di Sardegna, per via dell’egemonia culturale tradizionalistica in quella componente sociale, potesse costituire un baluardo dell’istituto monarchico348.

In ogni caso, resta il fatto che le posizioni della «Gazzetta del Popolo» erano pressoché allineate sull’anticlericalismo di fondo del governo d’Azeglio e si imponeva come una delle voci più autorevoli e influenti del contesto liberal- progressista piemontese:

[…] Non si trattava di limitare menomamente ai clericali la facoltà di esprimere la loro opinione, ma bensì era urgente d’impedir loro di truffare indegnamente i semplici di spirito coi loro atti.

Essi schiamazzano che si è voluto impedire ai cattolici di manifestare l’opinione loro schietta ed intiera contro la legge del matrimonio.

Impudente menzogna!

In capo alle loro note, a cui nessuno avrebbe cercato di opporsi, se i documenti irrefragabili non avessero provato ripetutamente che le firme erano diabolicamente carpite, o vergognosamente apposte in assenza e senza consentimento delle persone che venivano scritte (le quali cose costituiscono atti nefandi, e non già diritto di manifestar le proprie

347 Cfr. B. Gariglio, I cattolici dal Risorgimento a Benedetto XVI, cit., pp. 39-40.

348 Cfr. P. Gentile, L’ombra del re, cit., p. 47.

opinioni), in capo alle loro note avevano essi, i clericali, manifestata la loro opinione, lo scopo a cui miravano, come si fece dai liberali esplicitamente per le sottoscrizioni-Siccardi? Non già. I clericali conoscevano siffattamente l’antipatia del paese verso le loro inique mene contro la legge del matrimonio, che vigliaccamente, ipocritamente in capo alle loro note simularono una cosa del tutto diversa, un semplice voto alla Madonna della Consolata. Dunque non si trattava qui d’impedire una libera manifestazione di opinione, poiché i clericali non manifestavano nulla, ed anzi mettevano la quistione sopra un campo, dove (se non fosse stato avvertito dell’inganno) il fautore più caldo della legge del matrimonio avrebbe potuto trovarsi d’accordo coll’avversario più accanito di essa legge, senza cedere menomamente della propria opinione. Perocchè (supponiamo) Asproni349 e tutti i teologi e santi che ha citati in favore della legge del matrimonio civile, potevano benissimo (dato un caso) firmarsi per un voto alla Consolata. Le loro opinioni potevano pienamente consentir loro quella firma innocua in se stessa. Ma avrebbero forse con essa tolto un jota alle loro opinioni in favore della legge del matrimonio civile? Nemmeno per sogno.

Non si trattava dunque menomamente d’impedir opinioni. Si trattava d’impedire una solenne truffa fatta dai clericali alla nazione sotto un falso pretesto.

Perché non vi fosse truffa verso la nazione sarebbe stato mestieri che i clericali avessero mosso apertamente in capo alle loro note il loro scopo, e la vera quistione. Ma quello e questa nascosero accuratamente per carpire le firme della povera gente; era dunque un atto della più turpe malafede, il quale non ha di superiore nel suo genere, che le geremiadi dei clericali, che presentano i provvedimenti contro simili iniquità come impedimenti alla manifestazione delle opinioni!

La truffa esisteva per parte delle note stesse rispetto al governo, e al pubblico, ai quali per far colpo si presentavano alcune miserabili centinaia di nomi come di cittadini in età e in diritto di protestare, o di petizionare, mentre la immensa maggioranza non erano che fanciulli e fanciulle tra cui molti non arrivavano a un anno, moltissimi non oltrepassavano i cinque anni!

Ci corre tra l’esercizio dei diritti costituzionali, e l’esercizio di questi sgambetti truffatici!

349 Giorgio Asproni (1809-1876) fu un politico sardo di orientamenti repubblicani e democratici. Nel 1852 fu un sostenitore dell’introduzione del matrimonio civile. Cfr. M. Barsali, Giorgio Asproni, DBI, vol. 4, 1962, https://www.treccani.it/enciclopedia/giorgio- asproni_%28Dizionario-Biografico%29/.

Non solo il governo ma tutti i cittadini aveano dovere e diritto di opporsi ad atti di malafede sì cinica quali eran quelli a cui abbandonavasi con somma impudenza la bottega, che rimase poi così solennemente schiacciata dalla pubblicazione dei documenti350.

Dalle parole qui riportate del foglio anticlericale è facile comprendere quale fosse il livello di delegittimazione politica che aveva raggiunto la battaglia politica all’interno dello stato sabaudo. Da un lato, invero, la legge sul matrimonio civile veniva accusata di abbassare il livello di moralità dei cittadini del Regno e, di conseguenza, di immoralità venivano accusati, implicitamente o esplicitamente a seconda della virulenza degli articoli, i sostenitori di tale progetto legislativo; dall’altro lato le sottoscrizioni che i clericali, sotto la regia dell’«Armonia», avevano messo in piedi per bloccare l’iter legislativo venivano accusate di essere delle truffe e di ricorrere a metodi illeciti, poiché, secondo i sostenitori della legge, la galassia tradizionalista non poteva possedere così tanti consensi fra la popolazione. Ancora il 24 agosto, in un articolo di Giovanni Battista Bottero351, la

«Gazzetta del Popolo» pubblicava una lettera di quattro esponenti del comune di Baio352, presso Ivrea, che accusavano i sacerdoti locali di maneggi illeciti per ottenere firme contro la legge, dando per scontato che questa fosse universalmente accettata dalla popolazione sabauda353.

Ciò che preme sottolineare in questa fase del presente lavoro è che fu soprattutto il contesto culturale reazionario a impostare una battaglia che fosse anche di carattere dottrinario, tentando di proporre, nei fatti e nella sostanza, un modello di Stato in cui la sfera politica e quella religiosa non fossero disgiunte, ma si sostenessero a vicenda, guardando, pertanto, a un modello statuale pre-rivoluzionario.

350 «Gazzetta del Popolo», Torino 17 agosto, num. 195, martedì 17 agosto 1852. Il corsivo è nel testo.

351 Giovanni Battista Bottero (1822-1897) fu un giornalista anticlericale, oltreché sostenitore delle politiche cavouriane liberali, e teneva una rubrica sulla Gazzetta del Popolo in cui era solito attaccare esponenti del cattolicesimo piemontese e si firmava «Sacco nero». Cfr. G. Locorotondo, Giovanni Battista Bottero, DBI, vol. 13, 1971, https://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-battista-bottero_%28Dizionario- Biografico%29/.

352 Il sindaco Giovanni Gera, i consiglieri delegati Violetta Battista e Depetro Antonio, e il segretario Guglielmetti.

353 «Gazzetta del Popolo, Sacco nero, num. 201, martedì 24 agosto 1852.

L’area anticlericale e progressista, di contro, aveva sì preparato il terreno culturale in momenti precedenti al 1852, in modo da avviare quantomeno un dibattito politico in merito alla questione del matrimonio civile, ma non prestò nei primi mesi di battaglia politica in merito una grande attenzione alla materia, limitandosi a delegittimare il campo avverso.

divisore 4
L’intervento di Pio IX e la battuta d’arresto dei laicisti

Dopo che la «Gazzetta del Popolo» non prestò nei primi mesi una particolare attenzione, il discorso cambiò più avanti con l’approssimarsi del voto al Senato, che avrebbe dovuto ratificare o respingere il voto favorevole della Camera. Dal settembre 1852 l’approccio del foglio liberal-progressista iniziò a mutare, attaccando, ad esempio i tentativi che da Roma, tramite il cardinale Antonelli, venivano compiuti per influenzare la corte a frenare le intemperanze anticlericali del governo:

Nulla di peggio per le nazioni che le congiure in cui ha mano lo straniero.

Quando poi altissimi impiegati, come vescovi p. e., apertamente, senza ritegno alcuno fanno l’utile dello straniero, il quale ne dà loro la ricevuta sfacciatamente sull’Univers per via di lettere firmate Antonelli, allora bisogna dire che ogni norma di politica sia posta in oblio dal governo di quella nazione, perché non potrebbe spiegarsi altrimenti l’audacia dei congiurati, e la loro impunità.

Capisco che nei paesi liberi, dove la pubblica opinione, e non altro, influisce sulla politica, le congiure di qualsivoglia colore sono inutili pazzie che si rompono contro la forza dello spirito pubblico, ma tuttavia l’esempio di gente impiegata che fa l’utile dello straniero (da cui anzi riceve elogi) operando contro il Parlamento e il governo nazionale, è sempre cosa immoralissima che alla lunga distruggerebbe sicurissimamente ogni moralità politica di un popolo.

Tale è il cinico esempio dato dai vescovi sabaudo-piemontesi contro la legge del matrimonio, per cui andarono lodatissimi da Antonelli a nome della corte di Roma, e giustamente imprecati dai veri cittadini.

Ci si dirà, secondo il solito, dai pianta-carote della fazione clericale, che pei cattolici ciò che viene da Roma non viene da stranieri.

Se il papa non fosse anche potenza temporale, e sangue del sangue, osso delle ossa dei tedeschi, del borbone, e del cosacco, lascieremmo [sic. lasceremmo] correre l’argomento dei suddetti pianta-carote.

Ma dacché il papa vuol essere potenza temporale, egli è stranierissimo come qualunque altra potenza estranea al Piemonte. […]

Da ciò risulta chiarissimamente che gl’incoraggiamenti or ora dati da Roma all’inqualificabile procedere dei nostri vescovi sono fatti apposta (poiché in sostanza vengono ad avere questo esito) per far sì che si dica che anche nel Libero Piemonte vi sono dei congiurati, sebbene in senso contrario, come ne’ paesi dispotici. L’aggressione papale contro l’Inghilterra non ha avuto e non può avere altro scopo rispetto all’Inghilterra che quello che ora ha in Piemonte l’aggressione papesca contro la legge del matrimonio: le dissensioni civili. […]

Ci badi il governo. Prima della lettera di Antonelli l’opposizione dei vescovi non era che sommamente ridicola ma oramai tuttoché non cessi di essere ridicola (perché là è impossibile di essere altrimenti), è anche sommamente scandalosa, poiché è evidente che per pudore almeno avrebbero dovuto tener celata quella lettera, se non avessero avuto intenzione di ripetere la sfida contro il governo piemontese, contro il Parlamento, e contro la nazione in proposito della legge sul matrimonio civile354.

Nella prospettiva della «Gazzetta», pertanto, venivano biasimati i tentativi che da Roma si mettevano in atto per contrastare l’approvazione per il progetto di legge, arrivando a percepire la fazione tradizionalista come una sorta di nemico interno. Un dato di fatto è che anche in precedenza qualunque segnale di disapprovazione provenisse da Roma, oltre che dai vescovi del Regno di Sardegna355, veniva sottolineato dalla stampa reazionaria, in modo tale da far risaltare l’accaduto presso i fedeli cattolici356. Al tempo stesso, però, pur sostenendo la presa di posizione delle gerarchie cattoliche non si escludeva la fedeltà alle istituzioni del Regno, come lo Statuto:

[…] Ma ciò poco importa per coloro che di presente vogliono imporsi al paese, e sotto l’egida dello Statuto interpretato a loro modo, gridano ad ogni momento i timori del passato, e ingrossano a loro posta il partito che vuole distruggere la legge fondamentale in Piemonte.

Non si può negare che una avversione allo Statuto esista. Ma dove sono i veri avversari?

Nel campo dei veri conservatori?

Non mai; ne sono essi invece i più scrupolosi osservatori e vorrebbero vedere osservato lo Statuto più di quello che non è.

354 «Gazzetta del Popolo», Il Piemonte, Roma, e i vescovi, num. 209, giovedì 2 settembre 1852.

355 «L’Armonia della religione colla civiltà», Una spiegazione della dichiarazione dell’episcopato della Savoia sulla Legge del Matrimonio Civile, G. Chamousset, Vic. Gen., supplimento al n° 100, domenica 22 agosto 1852.

356 «L’Armonia della religione colla civiltà», Il sommo pontefice e la legge Boncompagni, n° 99, giovedì 19 agosto 1852.

I veri conservatori abborrono lo Statuto dei democratici e dei moderati, non quello di Carlo Alberto; abborrono lo scempio che se ne fa, stracciandolo articolo per articolo per meglio dare il passaporto alle più strane idee della rivoluzione democratica.

Infatti Carlo Alberto voleva lo Statuto come elemento di moralità e prosperità. Ebbene fu raggiunto questo scopo?

Furono effettuate queste intenzioni? Vediamolo.

La Dinastia Sabauda non ha mai disconosciuto nel regime de’ suoi popoli la religione cattolica, e Carlo Alberto calcando le vestigia de’ suoi avi, volle che il nuovo edifizio politico poggiasse sulla religione cattolica, come lo attesta il primo articolo dello Statuto. Poco importano le ridicole interpretazioni che se ne sono fatte dai partiti, lo spirito e la lettera sono là per attestare che tutto fu un giuoco di sofismi. […]

I conservatori invece sono i veri amici del vero Statuto, di quello che trovasi in Piemonte. E perciò che reagiscono contro lo scempio che ne fanno i moderati ed i democratici.

Esiste nel paese un partito contrario allo Statuto di Carlo Alberto, ed è quello che l’ha violato già tante volte.

I violatori si trovano fra i democratici e i moderati, non fra i conservatori357.

La «Campana», come si può osservare dalle frasi testé riportate, anche più dell’«Armonia», la quale si posizionava, da un punto di vista dottrinario, su un versante più propriamente tradizionalista che non conservatore, pur rientrando entrambe le componenti in quel momento nella difesa delle prerogative ecclesiastiche, si poneva all’interno del perimetro istituzionale e, anzi, delineava una rappresentazione dei conservatori come i veri difensori dello Statuto del ’48, a differenza dei liberal-moderati e dei progressisti.

In ogni caso, resta il fatto che il fronte clericale fosse compatto nella sua opposizione al disegno di legge e Pio IX nel settembre 1852 chiarisse tale posizione nei confronti di Vittorio Emanuele:

E’ domma di Fede essere stato elevato il Matrimonio da N. S. G. C. alla dignità di Sagramento non è una qualità accidentale aggiunta al contratto, ma è di essenza al Matrimonio stesso, così che l’unione coniugale non è legittima se non nel Matrimonio- Sagramento, fuori del quale non vi è che un pretto concubinato. Una legge civile che supponendo divisibile pei Cattolici il Sagramento dal contratto di Matrimonio, pretende di

357 «La Campana», Dov’è l’avversione allo Statuto?, num. 600, sabato 28 agosto 1852.

regolarne la validità, contraddice alla dottrina della Chiesa, invade i diritti della medesima, e praticamente parifica il concubinato al Sagramento del Matrimonio sanzionando legittimo l’uno come l’altro.

[…] Non vi è pertanto altro mezzo di conciliazione che, ritenendo Cesare quello che è suo, lasci alla Chiesa ciò che ad essa s’appartiene. Il Potere Civile disponga pure degli effetti civili che derivano dalle nozze, ma lasci alla Chiesa il regolarne la validità fra i Cristiani. La Legge Civile prenda le sue mosse dalla validità od invalidità del Matrimonio come sarà dalla Chiesa determinata, e partendo da questo fatto, che è fuori della sua sfera il costituirlo, disponga allora degli effetti civili. […]

Finalmente rispondiamo all’ultima osservazione che V. M. Ci esterna addebitando ad una parte del Clero Piemontese di far guerra al suo Governo, e di eccitare i sudditi alla rivolta contro di Lei, e contro le sue leggi. Una tale asserzione Ci sembrerebbe del tutto inverosimile se non ci fosse scritta da V. M. la quale assicura di averne in mano i documenti; ed in questo caso è fuori di dubbio che debbono essere puniti i rei nei debiti modi. Ci duole solo di non conoscere questi documenti per non sapere quali siano i membri del Clero che si sarebbero accinti alla pessima impresa di eccitare una rivoluzione nel Piemonte. Questa ignoranza ci pone nella necessità di non poterli punire. Se mai però si intendesse per eccitamento alla rivolta gli scritti che per parte del Clero sono comparsi per opporsi al progetto di Legge sul Matrimonio, diremo che, prescindendo dai modi che qualcuno avesse potuto adoperare, il Clero ha fatto il suo dovere. […]

Maestà, Noi Le parliamo anche a nome di Gesù Cristo del quale siamo Vicario, quantunque indegni, e nel suo santissimo Nome Le diciamo di non sanzionare questa Legge che è fertile di mille disordini. La preghiamo poi di voler ordinare che sia messo un freno alla stampa che ribocca continuamente di bestemmie, e di immoralità. I peccati che derivano dalla licenza di parlare, e di scrivere sono senza numero. Deh per pietà che questi peccati non si riversino mai sopra chi, avendone il potere, non ne impedisce la cagione! V. M. si lamenta del Clero. Ma questo Clero è stato sempre in questi ultimi anni avvilito, bersagliato, calunniato, deriso da quasi tutti i fogli che si stampano in Piemonte. Non si potrebbero ridire tutte le villanie e le rabbiose invettive scagliate, e che si scagliano contro questo Clero. Ed ora perché esso si accinge a difendere la verità e la purità della fede, dovrà questo Clero forse incontrare la disgrazia della Maestà Vostra? Noi non possiamo persuadercene e ci abbandoniamo volentieri alla speranza di vedere dalla M. V. sostenuti li diritti della Chiesa, protetti li suoi Ministri e liberato il suo popolo dal pericolo di sottostare a certe Leggi che seco portano l’impronta della decadenza della Religione e della moralità negli Stati358.

La pressione ecclesiastica sul vertice del Regno sabaudo era pertanto importante, ma nel frattempo proseguiva l’offensiva polemistica da parte anticlericale nei confronti del clero locale, come dimostrano le parole di Bottero riportate sulla

«Gazzetta»:

!!! Parroco di Villanova d’Aosta, voi siete un brutto capo d’opera sia pel modo curioso con cui v’adoperaste a carpir firme contro la legge del matrimonio, sia per l’amore che avete per la scuola femminile di questo paese. – Ma, fate pure, tanto raglio d’asino, ecc359.

Inoltre, non è irrilevante sottolineare la contestualizzazione extra-italiana che la stampa piemontese dell’epoca faceva circa la questione del matrimonio civile. La stessa «Gazzetta del Popolo», sostenendo la necessità di questa legge, operava anche paragoni fra le legislazioni dei vari Stati, ponendo, ad esempio, come riferimento positivo il sistema laicistico francese e negativo il ruolo sociale preponderante che la componente tradizionalista aveva in Messico360.

Certamente, la questione del matrimonio civile, era inserita anche in un contesto di crisi politica dell’esecutivo, con D’Azeglio che sperava ancora che l’approvazione della legge al Senato avrebbe ricompattato tutto il fronte liberale, ma già si adombravano soluzioni che vedevano la formazione di un governo composto, fra gli altri, da Cavour e Rattazzi, con la «Gazzetta», però, che continuava a puntare sul sostegno al governo in carica:

Mutazioni ministeriali n’abbiamo avute molte finora, anche nelle persone degli stessi Cavour e Rattazzi; abbiamo avute mutazioni radicali e parziali, la stampa ha soventi discusso quali dovessero essere gli uomini da metter fuori e da lasciare.

E tutto ciò con assai poco vantaggio. E perché?

358 Cfr. P. Pirri, Pio IX e Vittorio Emanuele II, cit., vol. I, pp. 117-122, lettera di Pio IX al re, 19 settembre 1852.

359 «Gazzetta del Popolo», Sacco nero, num. 216, sabato 11 settembre 1852. Il corsivo è nel testo.

360 «Gazzetta del Popolo», La Francia, il Messico e la legge del matrimonio civile, num. 217, lunedì 13 settembre 1852..

Perché appunto la stampa si tenne sempre nuvolosamente alla quistione altisonante: «E’ necessaria una semplice mutazione di persone, o una mutazione di principii?».

Mutazione di principii? Che mutazione d’Egitto quando tutti i ministeri che abbiamo avuto finora hanno a un tempo applicati tutti i principii a cominciare dai più retrogradi sino ai più liberali? […]

Il modo di porre la quistione non deve dunque essere né sì nuvoloso e facile a crear disinganni come la mutazion di principii, cosa che quasi tutti hanno promessa, e nessuno ottenuta. […]

L’oggetto che la stampa liberale deve proporsi non è tale.

Essa deve proporsi (senza mettere troppa carne al fuoco) alcune riforme necessarie o utili, ma palpabili, come la riduzione dei vescovadi, conventi e canonicati, la separazione tra Chiesa e Stato, e simili, e poi senza lasciarsi ingannare dalle promesse dei candidati ministeriali esclamanti vagamente «sarò liberale» i quali in seguito lasciano sempre le cose nello stato precedente, la stampa così ragioni: «il tal ministro prometterà egli di togliere il tale o tal altro preciso abuso, si obbligherà egli a presentare il tale o tal altro progetto di legge, determinato precisamente, e non sotto la vaga e nuvolosa forma di mutazion di principii, che dice nulla?».

Quando la risposta sarà affermativa su cose categoriche e precise, allora la stampa potrà occuparsi utilmente di simile quistione.

Per esempio, quale sarebbe il pensiero d’un ministro Cavour-Rattazzi sulla legge del matrimonio? La darebbero essi qual è in Francia, ovvero la lascierebbero tal quale l’ha data Boncompagni? […]

Ma senza tali condizioni qualunque sia il ministero, il paese resterà sempre indifferente, finchè dura il sonno europeo, poiché per le cose somme ha fiducia in se stesso e in Vittorio Emanuele, e per le cose secondarie sinora quasi ogni ministero ha fatto poco egualmente per far cessare l’indifferenza361.

L’ultima frase con cui si concludeva l’editoriale del foglio progressista del 15 settembre lasciava trasparire anche la sfiducia del momento, nei confronti di una battaglia che si profilava sempre più difficile proseguire a causa di un Senato sabaudo prevalentemente permeato da idee tradizionaliste e conservatrici. Inoltre, tutto ciò avveniva con un’attenzione sempre più presente su tale questione da parte di Pio IX, in appoggio al clero locale, al punto che anche nell’allocuzione tenuta

361 «Gazzetta del Popolo», Genesi ministeriale, num. 219, mercoledì 15 settembre 1852.

dal pontefice nel concistoro segreto si fece un preciso riferimento alle politiche anticlericali del Parlamento subalpino, compresa la legge sul matrimonio civile:

Nulla diciamo di un altro decreto col quale, sconosciute affatto la dignità, la santità ed il mistero del Sacramento del Matrimonio, e sconvolgendone per somma ignoranza l’istituzione e la natura, con dispregio di quella potestà che alla Chiesa appartiene su di un Sacramento, si proponeva, giusta i placiti di eretici già condannati e contro la dottrina della Chiesa Cattolica, che il matrimonio si avesse niente più che in conto civile di contratto, ed in vari casi si fosse sancito un divorzio propriamente detto; ed inoltre che tutte le cause matrimoniali dovessero essere portate innanzi ai tribunali laici e giudicate da quelli. Eppure nessuno tra’ cattolici può ignorare il matrimonio essere veramente e propriamente uno dei sette Sacramenti della Legge Evangelica da Cristo S. N. istituito; e però matrimonio tra fedeli non potersi dare che al tempo stesso Sacramento non sia. Talmentechè fra’ cristiani l’unione dell’uomo, e della donna fuori del Sacramento, siavi pure qualunque formalità civile e legale, altro non può essere che quel turpe e ruinoso concubinato, in tante guise dalla Chiesa condannato. E così è chiaro che il Sacramento dal legame coniugale non potersi separare, ed appartenere esclusivamente alla potestà della Chiesa, ordinare tutte quelle cose, che ad esso matrimonio in qualunque modo appartengono. Ma, come fu detto, noi lasciamo star queste cose, in quanto quelle leggi, benché proposte da alcuni Deputati dell’assemblea, nondimeno altri Deputati ed i Senatori, meglio ispirati per divino favore, arbitrarono doversi rigettare, e sentirono ribrezzo al pensiero di aggiungere nuove ferite alle tante altre, onde è già lacera quella Chiesa362.

Non è un caso che in quell’autunno il fonte anticlericale sabaudo si lanciò in una battaglia per l’incameramento dei beni ecclesiastici. Lo spostamento dell’attenzione dei progressisti dall’imminente voto in Senato per approvare il disegno di legge sul matrimonio civile faceva trasparire sì uno scoraggiamento circa il buon esito di questa battaglia politica, ma al tempo stesso, con la proposta di incamerare i beni ecclesiastici, si esacerbava il clima di polarizzazione politica interna al Regno di Sardegna e si marcava ulteriormente un’identità culturale. La «Gazzetta» fu in prima linea a proporre questa soluzione anticlericale:

362 «L’Armonia della religione colla civiltà», Allocuzione tenuta da N. S. Papa Pio IX P. M. nel concistoro segreto del 27 settembre 1852, n. 130, sabato 30 ottobre 1852.

Uomini neri, satelliti del potere temporale del papa, nemici ai popoli, di dubbia fede ai principi, voi che nella destra tenete il crocifisso, e colla sinistra toccate la mano a Nardoni363, voi l’avete voluto, e così sia!

Uomini ipocriti, che altro avete nel cuore ed altro avete sul labbro, voi siete come un libro osceno ed infame, a cui per più ingannare fu posto il frontespizio di un libro onesto e morale. Ma il falso frontespizio è omai lacerato, la frode è scoperta, ed il libro è rimandato al bordello.

Provocatori eterni, torbidi, pessimi cittadini, le vostre provocazioni ora vi ricadranno sul capo.

Uomini della menzogna, che a forza di mentire siete giunti persino a mentire a voi stessi. Come il falso monetario che a forza di smerciare impunemente alla credulità ed alla buona fede del prossimo le sue false monete, finisce per fingere a se stesso che quelle sian monete della zecca di Cesare.

Voi mentite alla natura, falsando il pensiero di Dio che creava la femmina compagna dell’uomo, e benediceva alle sacre fatiche del padre di numerosa prole, e consacrava le pure gioie della famiglia.

Voi mentite a Cristo il quale ha detto che il suo regno non era di questo mondo, ed ha respinto gli imperi che Satana gli offriva dall’alto pinacolo del Tempio, purchè Cristo si inginocchiasse davanti a lui. Il Cristo è rimasto in piedi, ma voi siete caduti perché avete piegato il ginocchio davanti a Satana. Non negate, non negate, voi possedete, voi siete caduti. Cristo sola trionfa.

E almeno se le ricchezze fossero da voi adoperate secondochè il vangelo prescrive. E almenso se da voi si donasse ai poveri il superfluo.

Ma che precetti del vangelo, che superfluo ai poveri! […] Voi impugnate la verità conosciuta.

Voi vedete il sole, e volete sostenere che il sole non è.

Voi negate d’esser bollati, ed il fumo del ferro rovente si innalza ancora dietro alle vostre spalle, e le vostre carni mandano tuttora l’odor di bruciato.

Siete i tristi, e vi vantate di essere i buoni. Avete già voluto misurarvi, e foste sconfitti.

363 Filippo Nardoni (1791-1864) era allora a capo della polizia romana dello Stato Pontificio, conosciuto per la sua efficacia repressiva. Cfr. I. Veca, Filippo Nardoni, DBI, vol. 77, 2012, https://www.treccani.it/enciclopedia/filippo-nardoni_%28Dizionario- Biografico%29/.

Avete voluto vantarvi, e siete stati contati, ed il vostro numero fu trovato pochissimo e gramo.

Ed ora tentate di palliare le vostre disfatte, di coprire il luogo delle vostre vergogne, e volete far credere che i meno siano i più, che i malvagi ed i ribaldi, cioè voi, siano le moltitudini, e adulterato e sconvolto l’ordine naturale delle cose, che i buoni ed i giusti non siano che una scarsa minoranza da non tenerne conto di sorta.

Raccontatelo agli imbecilli che i bambini da latte e le donna inesperte siano uomini adulti, che gli arruolati con carte false e supposte siano soldati convinti, che la sottoscrizione per le vostre Madonne sia un atto di devozione.

Cotestoro non hanno nemmeno il coraggio della propria opinione!

Liberali del Piemonte, popoli delle provincie, non sarà così di voi, ciò che voi firmerete con piena conoscenza di causa. La verità non ha bisogno di nascondersi.

Stolta fazione clericale, tu l’hai voluto, e ben ti sta.

Tu l’hai impugnata la verità conosciuta, e tu sarai confusa.

Il Piemonte risponderà alle tue carpite, bugiarde, stolte, falsarie ed impotenti sottoscrizioni colla schietta e leale PETIZIONE PER L’INCAMERAMENTO DEI BENI ECCLESIASTICI364.

La battaglia per la statalizzazione dei beni della Chiesa cattolica ebbe il favore di vari municipi subalpini, come quello di Saluzzo365, di Agliano366, piuttosto che quelli di Borgo San Dalmazzo, di Azzano e Laigueglia367 e senza dubbio, pertanto, raggiunse il suo scopo di marcatore d’identità.

Nel frattempo, comunque, la mobilitazione ecclesiastica, appoggiata dal movimentismo tradizionalista, e le mosse dello stesso Pio IX avevano sortito il loro effetto. Già il 30 settembre Vittorio Emanuele chiedeva al presidente del consiglio Massimo d’Azeglio che la legge per l’istituzione del matrimonio civile venisse modificata368, per giungere, infine, il 21 ottobre, in sede di Consiglio dei ministri,

364 «Gazzetta del Popolo», Petizione per l’incameramento dei beni ecclesiastici, num. 234, sabato 2 ottobre 1852. Il maiuscolo è nel testo.

365 «Gazzetta del Popolo», Petizione per l’incameramento dei beni ecclesiastici, num. 250, giovedì 21 ottobre 1852.

366 «Gazzetta del Popolo», Petizione per l’incameramento dei beni ecclesiastici, num. 251, venerdì 22 ottobre 1852.

367 «Gazzetta del Popolo», Petizione per l’incameramento dei beni ecclesiastici, num. 254, martedì 26 ottobre 1852.

368 Cfr. P. Gentile, L‘ombra del re, cit., p. 110.

ad affermare che, in quanto sovrano di fede cattolica, sarebbe stato per lui impossibile avvallare una legge così fortemente osteggiata dalla Santa Sede369. La mobilitazione dell’episcopato subalpino stava, pertanto, raggiungendo i suoi frutti, dal momento che anche il papa, come rivela un appunto di monsignor Ghilardi, era del parere che il clero subalpino non dovesse accettare di sottostare a quelle leggi che si ponessero in contrasto con la dottrina cattolica370.

D’Azeglio veniva, di conseguenza, sconfessato su un dossier che era diventato centrale nel suo operato di governo, poiché aveva sperato di ricompattare il fronte liberale attorno a tale disegno di legge371 e diede le dimissioni il 22 ottobre, aprendo la crisi ministeriale che avrebbe potuto interrompere il ciclo politico che aveva dato vita la promulgazione dello Statuto nel 1848372. La caduta del governo d’Azeglio poteva innescare un meccanismo che avrebbe potuto mettere fine al processo liberale, che vedeva nella sua affermazione anche il pieno sviluppo dell’agenda anticlericale, e spalancare gli spazi governativi alla destra conservatrice reveliana. Vittorio Emanuele si era avvicinato molto nel corso dell’anno a quest’area politica, che sosteneva che il monarca non dovesse soltanto regnare, ma anche avere un ruolo attivo nell’atto governativo, non limitandosi, pertanto, a un ruolo di rappresentanza istituzionale373. Questo tipo di tesi, in particolare, erano sostenute in particolare dalla testata conservatrice «La Patria», che aveva iniziato le sue pubblicazioni il 26 maggio 1852. Il foglio conservatore difendeva strenuamente lo Statuto, a differenza della destra tradizionalista e clericale, ma al tempo stesso criticava ampiamente il parlamentarismo che ne derivava. Una soluzione conservatrice, con la presenza all’interno dell’esecutivo di Thaon di Revel, avrebbe permesso al sovrano sabaudo di ristabilire dei rapporti più equilibrati con la Santa Sede, interrompendo il processo di politiche religiose iniziate nel 1848, ma al tempo stesso di rimanere all’interno del perimetro costituzionale dello Statuto374. Quest’ultimo aspetto non

369 Ivi, p. 112.

370 ADM, Carte Ghilardi, Cartella 31, Corrispondenza con il papa 1843-1871, 30 ottobre 1852, recto.

371 Cfr. A. Viarengo, Cavour, cit., p. 247.

372 Cfr. P. Gentile, L’ombra del re, cit., p. 112.

373 Cfr. E. Vitale, Il tentativo di introdurre il matrimonio civile in Piemonte (1850-1852), Edizioni dell’Ateneo, Roma 1951, p. 160.

374 Cfr. P. Gentile, L’ombra del re, cit., p. 112.

era invece scontato con una soluzione reazionaria, poiché, se è vero che formalmente la stampa di riferimento tradizionalista, come l’«Armonia», professava di condurre la sua battaglia senza porsi fuori dalle istituzioni dello Stato, non era necessariamente assodato che con un esecutivo reazionario, con al culmine una personalità come La Tour, non si sarebbe tornati a una soluzione pre-1848. La stessa stampa reazionaria della Lombardia sperava in una composizione governativa che riportasse il contesto istituzionale e politico del Regno di Sardegna a ciò che era il contesto pre-Statuto375. La prospettiva di un governo conservatore, in quel momento ideale per le esigenze politiche di Vittorio Emanuele, naufragò, però, di fronte all’opposizione di Revel di entrare a far parte di un ipotetico governo guidato da Cesare Balbo, il quale aveva posto come condizione del suo governo la presenza del nobile piemontese, e, pertanto, di fronte all’incapacità di iniziativa politica della destra conservatrice, il sovrano si trovò a ripiegare sulla prospettiva di un governo Cavour376. In realtà, lo stesso Cesare Balbo aveva provato a coinvolgere anche Camillo Cavour nel suo governo, cercando la mediazione del fratello Gustavo, ma Cavour rifiutò l’incontro con il celebre scrittore e rispose all’invito con l’assicurazione che non si sarebbe frapposto nei suoi tentativi ministeriali, ma, altresì, confermando la sua indisponibilità a entrare a far parte di una compagine governativa conservatrice377. Difficilmente, infatti, Balbo poteva sperare di poter coinvolgere Cavour in un governo di cui avrebbe dovuto far parte Revel378. Il tentativo di Vittorio Emanuele di ripiegare su una soluzione politica conservatrice era stato comunque effettivo, al punto che fu incaricato il conte di Sambuy di contattare il celebre scrittore piemontese, che aveva promesso di operare in modo da affossare la legge sul matrimonio civile e costituire un esecutivo stabile e duraturo, composto da uomini leali ed energici379. Il sovrano, però, come già accennato in precedenza, a causa del rifiuto di Revel di entrare a far parte dell’ipotetico esecutivo conservatore, si trovò a scegliere il conte di Cavour come presidente del Consiglio e, d’altra parte, il politico liberal-moderato non aveva mai

375 Ivi, p. 113.

376 Ibid.

377 A. Viarengo, Cavour, cit., p. 249.

378 Ibid.

379 Cfr. P. Gentile, L’ombra del re, cit., p. 113.

dato troppo peso alla legge sul matrimonio civile380 e questo permetteva, di conseguenza, al monarca di proseguire la politica espansionistica nella penisola e di continuare su una linea liberale, rinunciando, però, a istituire una legge che avrebbe complicato ulteriormente i rapporti con Roma. Più di quanto già non fossero. Vittorio Emanuele, d’altra parte, aveva dedicato i mesi estivi a sviluppare la sua personale ricerca di un’intesa con la Santa Sede, che si era fermamente opposta al progetto di legge del matrimonio civile381. I liberali, a quel punto, tiravano un sospiro di sollievo per il pericolo scampato, ma, allo stesso tempo, erano chiaramente consapevoli che la battaglia politica contro la galassia reazionaria era ancora tutt’altro che terminata e vinta. L’area politica e culturale tradizionalista, in quel momento, operava gli ultimi sforzi al fine di contrastare una legge che aveva avversato sin dall’inizio, percepito come un ulteriore attacco al ruolo pubblico e giurisdizionale della Chiesa cattolica nel Regno di Sardegna. L’arcivescovo di Vercelli Alessandro d’Angennes382 ribadiva la sua contrarietà al disegno di legge, sostenendo la necessità che la sfera religiosa e la sfera pubblica e politica non fossero totalmente disgiunte all’interno dell’organismo statuale:

La vera libertà religiosa consiste primariamente nell’esercizio pieno di tutti i diritti che la Religione ci accorda; e secondamente nel potere adempiere liberamente, senza che nissuna potestà vi metta ostacolo, a tutti i doveri che la religione c’impone.

Ora la legge che vi è proposta, è ella fondata sugli immutabili principii di questa libertà che Dio ci ha dato per Cristo e per la Chiesa nel matrimonio dei cattolici?

In fatto di matrimonio, o signori, i cattolici non ne conoscono altro che quello della religione cattolica, e da essa religione cattolica misurano tutti i diritti relativi alla unità e santità del connubio cristiano. Quindi per ragione di questi diritti tutti i cattolici in massa hanno ragione di aspettarsi dal governo una legge, la quale non leda in nissun modo questi diritti medesimi, e molto meno impedisca ad essi l’adempimento dei loro doveri verso Dio e verso la Chiesa, che è un diritto ancor più sacro ed una libertà infinitamente più cara, perché Dio l’ha scritta nell’inviolabile santuario della coscienza.

380 Cfr. R. Romeo, Cavour e il suo tempo, vol. II, cit., p. 642.

381 Cfr. A. Viarengo, Vittorio Emanuele II, Salerno, Roma 2017, p. 151.

382 Alessandro d’Angennes fu vescovo di Vercelli fra il 1832 e il 1869. Cfr. https://www.arcidiocesi.vc.it/diocesi/cronotassi-dei-vescovi/

E benché la religione cattolica, che è per tutti legge suprema e divina, consacri in modo specialissimo questa interna libertà cristiana, i santi diritti di questa libertà sono dalla proposta legge altamente compromessi ed in più di un caso gravemente offesi. Offesi i diritti dei sacerdoti nel vedersi strappare dal seno quelle anime che Dio aveva loro confidato, dolenti di vederle perire sotto la salvaguardia della civile legalità, che non le può in nessun modo salvare. Offesi i diritti dei cittadini non tanto per le nuove formalità, che restringono la libertà civile, ma molto più per le torture della coscienza, in che sono posti i Cattolici di dovere o immolarsi alle miserabili esigenze della legge, o immolarsi all’ira di Dio contro la chiesa e contro di sé. Così se gli ufficiali civili avranno dichiarato valido un matrimonio canonicamente invalido; e se una delle parti, atterrita dal dover vivere nella maledizione di Dio, volesse slegarsi dal nodo sacrilego, lo potrà essa fare? Nol potrà! La legge le obbligherà, secondo i casi, a rimanere nell’incesto, o nel concubinato che altamente detesta. Vorrebbe provvedere all’anima sua, alla sua salute; ma non potrà! La legge le si oppone con tutto il suo potere: e questa si potrà dir libertà di coscienza383?

Le gerarchie ecclesiastiche, appoggiate dalla stampa tradizionalista, non mollarono la loro attenzione sulla questione del matrimonio civile sino all’ultimo, tant’è vero che si rese pure pubblica la lettera che Pio IX aveva inviato a Vittorio Emanuele il 19 settembre 1852384.

I clericali, del resto, avevano proseguito nella loro tattica di operare pressioni al fine di accrescere la loro influenza sul potere civile. I vescovi della Savoia, infatti, avevano lanciato l’interdizione nei confronti di coloro che leggevano la stampa demo-progressista385 e lo stesso Fransoni, da Ginevra, operava in modo tale da far giungere alla guida dell’arcidiocesi di Torino il tradizionalista Charvaz, intimando a Michelangelo Vachetta, economo generale presso il governo dei beni religiosi e intimo del sovrano, di non sostenere la sede di Genova come soluzione per Charvaz. Infine, si giunse alla votazione sul progetto di legge il 20 dicembre e per l’occasione, cosa non ordinaria, votò anche, in maniera determinante affinché la

383 «L’Armonia della religione colla civiltà», L’arcivescovo di Vercelli al Senato del Regno, n° 146, martedì 7 dicembre 1852.

384 «L’Armonia della religione colla civiltà», Lettera di Sua Santità Pio IX a Sua Maestà Vittorio Emanuele, Castelgandolfo 19 settembre 1852, supplemento al n° 151, sabato 18 dicembre 1852.

385 Cfr. P. Gentile, L’ombra del re, cit., p. 111

legge venisse affossata, il presidente del Senato Giuseppe Manno386. La nomina di Cavour a Presidente del Consiglio dei Ministri fu, di conseguenza, certamente una vittoria per il liberalismo costituzionale, ma il prezzo di questa vittoria fu l’aborto della legge sul matrimonio civile387. Cavour vide finalmente coronato il suo sogno di assumere le redini del governo e poteva contare sull’appoggio di vari sostenitori di Massimo d’Azeglio388. Ciò fu certamente un’interruzione del processo di secolarizzazione delle istituzioni sabaude, venendo a costituire una battaglia vinta da parte dei tradizionalisti. Questo scontro fra fronte liberale e la resistenza tradizionalista caratterizzerà la lotta politica interna al Regno di Sardegna sino alla crisi della primavera del 1855.

386 Ivi, p. 114

387 Cfr. R. Romeo, Cavour e il suo tempo, vol. II, cit., pp. 645-646.

388 Cfr. A. Viarengo, Vittorio Emanuele II, cit., p. 153.

divisore 4
La legge sui conventi, il punto di svolta

Le distinte posizioni

L’ultima tappa del processo anticlericale presa in esame in questo lavoro, che segnò profondamente i rapporti con il clero locale e con la stessa Santa Sede, fu la questione della legge sui conventi del novembre 1854.

Le tensioni fra il clero locale e il governo liberale di Cavour in merito alla situazione dei conventi iniziarono a maturare già nell’estate del 1854 con la requisizione di alcuni conventi da parte delle autorità, al fine di combattere l’epidemia di colera che stava affliggendo la Torino dell’epoca389. In quel contesto Rattazzi, allora ministro dell’Interno dell’esecutivo, tenne nel mese di agosto una corrispondenza con la curia torinese, al fine di chiedere l’occupazione dei conventi dei domenicani, della Consolata, della Santa Croce e delle suore cappuccine390, ricevendo per questo la risposta, del 10 agosto, contraria del provicario generale Celestino Fissore. L’ecclesiastico piemontese adduceva a giustificazione della sua opposizione a tali intenzioni governative il fatto che non era possibile sciogliere dai loro voti, anche solo provvisoriamente, le monache di Santa Croce e cappuccine. Inoltre, Fissore esprimeva a Rattazzi la sua contrarietà anche per via del fatto che non vi erano altri conventi e monasteri disponibili ad accogliere queste persone, cosa che, pertanto, avrebbe potuto causare problematiche legate all’assembramento391. Infine, il provicario generale sottolineava l’importante ruolo di assistenza pubblica che il clero regolare avrebbe potuto fornire ai malati e ai bisognosi, e che sarebbe stato impossibile svolgere tale compito fuori dalle loro chiese392. In ogni caso nella

389 Cfr. R. Romeo, Cavour e il suo tempo, vol. III, cit., p. 113.

390 ADM, Carte Ghilardi, Cartella 79, Carteggio contro la soppressione delle corporazioni religiose, Corrispondenza tra il ministro Rattazzi e la curia arcivescovile di Torino per l’occupazione di vari conventi e monasteri di Torino, Lettera di Urbano Rattazzi a Celestino Fissore, Torino, 9 agosto 1854, prima pagina.

391 ADM, Carte Ghilardi, Cartella 79, Carteggio contro la soppressione delle corporazioni religiose, Corrispondenza tra il ministro Rattazzi e la curia arcivescovile di Torino per l’occupazione di vari conventi e monasteri di Torino, Lettera di Celestino Fissore a Urbano Rattazzi, Torino, 10 agosto 1854, prima pagina e seconda.

392 ADM, Carte Ghilardi, Cartella 79, Carteggio contro la soppressione delle corporazioni religiose, Corrispondenza tra il ministro Rattazzi e la curia arcivescovile di Torino per l’occupazione di vari conventi e monasteri di Torino, Lettera di Celestino Fissore a Urbano Rattazzi, 10 agosto 1854, seconda pagina.

risposta dell’11 agosto il ministro dell’Interno comunicava che la decisione del governo era decisamente irremovibile, trattando da una posizione di forza e ancora il 15 agosto, di fronte alla persistente opposizione della curia torinese, così si esprimeva:

Il governo è il solo giudice competente per apprezzare i bisogni della società civile, e fare giusta stima delle circostanze, de’ tempi, e dell’opportunità delle misure che riguardino la salute pubblica.

Le deliberazioni, che egli crede di prendere per compire a tale uffizio, siccome riflettono unicamente la sua responsabilità morale e legale, non possono essere dipendenti da altra autorità, che vi sia estranea. […]

L’autorità Ecclesiastica dea ritenere questo fatto siccome un capo di forza maggiore, sul quale non le appartiene di portare giudizio, e quindi, sottomettendosi all’impero delle circostanze, deve a ragione della propria istituzione secondare il governo all’effetto di rendere meno gravi le conseguenze della determinazione riguardanti le monache, aciò [sic. a ciò] siano usati alle medesime tutti quei riguardi e quei temperamenti, a cui si proferiva e si proferisce ognora il governo propenso. Ciò si dee dal Superiore Ecc.=co [Ecclesiastico] non solo per rispetto al governo, ma nell’interesse delle persone medesime, che sono poste sotto la speciale di lui tutela.

Altrimenti operando, l’autorità Ecclesiastica da segno di voler riluttare contro la suprema autorità civile, a cui deggiono sottomettersi tutti coloro, che sono nello Stato, e di voler sollevare difficoltà e promuovere scandali. Ma la responsabilità di tutti gli inconvenienti, che potrebbero per avventura derivare dalle forzate esecuzioni delle determinazioni, che il Governo fu in dovere di prendere, e che intende certamente di mantenere, ricadrà sopra coloro, che gli ricusarono quel concorso, a cui nell’urgenza del caso non potevano ragionevolmente rifiutarsi. Perciò, e la temuta violazione della clausura monacale, e tutte le altre conseguenze, a cui accenna la lettera di S. S. Rev.ma a lui solo dovranno imputarsi, poiché incombendone a lei il dovere, ed avendo il mezzo di impedire simili inconvenienti, vi si rifiuta senza ragione.

Le disposizioni, perché siano apprestati i locali necessari per ricevere le monache, di cui dovrà operarsi il traslocamento, sono date, ed il governo ebbe testé l’avviso, che il monastero d’Asti segnatamente trovasi ormai allestito.

Il Guardasigilli, pertanto, facendo questo riscontro alla lettera del governo d’oggi, del Rev.mo Sig. Vicario Gen.le, dee aggiungere particolarmente, che rispetto a quelle monache, le quali o per età o per infermità non potessero adattarsi al traslocamento, si avviserà all’uopo a que’ speciali riguardi, che possa richiedere la loro condizione, purché invece di persistere nell’assoluto rifiuto, voglia, chi debba, accostarsi agli opportuni concerti. Si persuada quindi S. S. Rev.ma che il governo del Re non si lascia smuovere né da minacciate, né da eseguite proteste, e che saprà all’uopo mantenere inviolati i diritti del potere civile, e reprimere legalmente ogni maniera di scandali393.

I toni della lettera del politico liberal-progressista erano perentori, ma questa lettera, al di là di mostrare quello che era il clima polemico che già si respirava nell’estate del 1854, qualche mese prima della proposta di legge, è indicativa anche delle concezioni politiche di Rattazzi, stanti a posizionare lo Stato, laico, su una posizione di assoluto rilievo rispetto alla Chiesa. Anche il già citato Ghilardi, che si era chiaramente opposto a tale operato del governo sabaudo, ricevette il plauso del prelato domestico del pontefice e consultore della Sacra Camera per gli Affari ecclesiastici straordinari Luca Pacifici394, a causa dello zelo dimostrato dal monsignore monregalese395. In più, Pacifici sottolineava anche in tale occasione l’atteggiamento di forte chiusura del governo nei confronti delle richieste del clero locale:

Dal tutto insieme si vede sempre più con dolore, non essersi fin qui retto intendimento di comporre la cosa per parte di cotesto Governo, con Ella nella sua perspicacia avrà notato396.

Dopo queste tensioni legate all’occupazione di conventi e monasteri nell’estate del 1854, si giunse alla proposta di legge alla Camera, il 28 novembre397, per la soppressione dei conventi e delle congregazioni religiose che non avessero finalità

393 ADM, Carte Ghilardi, Cartella 79, Carteggio contro la soppressione delle corporazioni religiose, Corrispondenza tra il ministro Rattazzi e la curia arcivescovile di Torino per l’occupazione di vari conventi e monasteri di Torino, Lettera di Urbano Rattazzi a Celestino Fissore, Torino, 15 agosto 1854, pagina quarta e quinta.

394 Cfr. C. De Dominicis, Amministrazione pontificia 1716-1870. Repertorio biografico, volume II (lettere M-Z), Edizione in proprio, Roma 2017, p. 169.

395 ADM, Carte Ghilardi, Cartella 79, Carteggio contro la soppressione delle corporazioni religiose, Lettera di Luca Pacifici a Tommaso Ghilardi, Roma 7 luglio 1854, recto.

396 Ibid.

397 Cfr. R. Romeo, Cavour e il suo tempo, vol. III, cit., p. 112.

di predicazione, istruzione o assistenza398. La legge detta “dei conventi” era un caso serio e rischioso, poiché si trattava di una problematica risaliva già ai tempi di Carlo Alberto399. Già il predecessore di Vittorio Emanuele aveva tentato, senza, però, ottenere nulla, di raggiungere un accordo con la Santa Sede che potesse consentire la riduzione delle congregazioni e degli ordini religiosi che non avessero la finalità precipua della cura d’anime, piuttosto che un ruolo nell’assistenza sociale400.

In quel momento, sul finire del 1854, il presidente del Consiglio Camillo Cavour aveva la necessità di concedere un qualche riconoscimento politico all’alleato di governo, costituito dalla fazione progressista del centro-sinistro di Rattazzi401. Talvolta era accaduto che la teorica grande maggioranza del governo alla Camera dei Deputati si traducesse in risultati che, in realtà, ne rivelavano la debolezza e la fragilità402. Inoltre, è necessario sottolineare che il governo liberale aveva la necessità di contrastare i continui tentativi di Vittorio Emanuele di trattare, in maniera diretta e fuori dai canali governativi, con Roma403. Un altro elemento che stava caratterizzando quel particolare momento era certamente la difficilissima situazione finanziaria che stava attanagliando il Regno di Sardegna, come, infatti, confessava, in una lettera dell’aprile 1854, il presidente Cavour all’amico e collaboratore Giacinto Corio:

Siamo senza denari, e non sappiamo come procurarcene404.

Occorre, infine, sottolineare che nel mondo liberale, e non soltanto la sua fazione radicale, era rimasta decisamente viva una forte ostilità nei confronti degli ordini religiosi, le cui radici possono essere rintracciate in quel contesto di notevole tensione antigesuitica che aveva caratterizzato il 1848 e tale ostilità della realtà culturale liberale era sopravvissuta anche attraverso iniziative, come quella della

«Gazzetta del Popolo» del 1852 sottolineata in precedenza, che negli anni avevano

398 Cfr. A. Viarengo, Cavour, cit., p. 283; R. Romeo, Cavour e il suo tempo, vol. III, cit., p. 120.

399 Cfr. A. Viarengo, Cavour, cit., p. 283.

400 Ibid.

401 Cfr. A. Viarengo, Vittorio Emanuele II, cit., 162.

402 Ibid.

403 Ibid.

404 Ibid.

proposto l’incameramento dei beni ecclesiastici, con la finalità di ridurre il clero a personale stipendiato dallo Stato405.

Ciò che alimentava ulteriormente il livello già non basso delle tensioni politiche del Regno di Sardegna era il fatto che il patrimonio che ne sarebbe derivato dalla soppressione di queste realtà sarebbe stato devoluto a una Cassa ecclesiastica, con il compito di provvedere al sostentamento dei religiosi appartenenti agli enti soppressi e ai parroci più bisognosi, al cui vertice sarebbe stato posto il fratello di Urbano Rattazzi406.

Di fronte ad un simile progetto di legge da parte del governo liberale non poté non scattare immediatamente l’azione difensiva della galassia reazionaria. L’«Armonia», invero, solo due giorni dopo della proposta alla Camera esordiva con un editoriale di forte attacco nei confronti dell’esecutivo cavouriano e del suo intento di abolire alcuni ordini religiosi:

E perché queste scissure per motivo degli insulti prodigati alle cose sacre, sieno portate più oltre ancora, il ministero nella prima seduta della Camera presentò la legge per l’abolizione di alcuni ordini religiosi, e facendo istanza che questa legge fosse esaminata e discussa d’urgenza. Si dice inoltre che una nuova tassa sarà imposta sui beni ecclesiastici, cioè sarà fatto il famoso equo ripartimento dei beni di Chiesa, riducendo i Vescovadi a 10,000 lire, gli Arcivescovadi a 15,00, i parrochi a 1,500 ecc. Si dice che colle tasse sui beni ecclesiastici si farà una cassa di benefizio, donde si trarranno le pensioni pei religiosi cacciati dalle case loro […].

Se ciò è vero, sarà un milione e mezzo o più tolto a’ poveri. Poiché tutti sanno, che il nostro clero e specialmente i nostri Vescovi dispensano in limosine il superfluo per sopperire a quelle somme, che esso è obbligato a restituire al clero, avendole il governo ricevute per quest’uso, è evidente che il danno cade sopra il povero, cui sono sottratti que’ denari407.

L’opposizione dell’«Armonia» alla legge riprendeva, pertanto, tutto un retroterra culturale reazionario che vedeva la Chiesa cattolica come una delle istituzioni che più avevano il compito di occuparsi di assistenza sociale per i più bisognosi, a prescindere dal fatto che vi fossero alcune

405 Cfr. A. Viarengo, Cavour, cit., p. 283.

406 Ibid.

407 «L’Armonia della religione colla civiltà», Programma del ministero Cavour-Rattazzi (1), n° 144, giovedì 30 novembre 1854.

congregazioni più di altre che avessero una attitudine precipua per questo ambito.

La prospettiva di un controllo dei comuni su tutti i beni della Chiesa spaventava fortemente il gruppo dell’«Armonia», al punto che la figura di Rattazzi veniva paragonata a quella del socialista libertario francese Proudhon. Dal punto di vista dell’«Armonia» la legge sui conventi violava la libertà individuale, il diritto d’associazione, il diritto di proprietà, ma anche il principio dell’equità tributaria: tutti concetti che pur venivano espressi e citati nello Statuto. Ciò che, però, costituisce un aspetto di novità rispetto agli eventi precedenti toccati nel precedente lavoro è il fatto che anche la persona del sovrano veniva toccata dalle sottili ironie del foglio tradizionalista. Questi concetti, infatti, furono espressi in uno dei primissimi articoli che l’«Armonia» dedicò alla legge sui conventi, il 2 dicembre:

Noi, lasciando i giornali libertini a battagliare tra di loro, verremo anche noi preparando la pubblica opinione, pigliando a disaminare questa legge. Né intendiamo di ciò fare in un solo articolo, il che sarebbe impossibile, tante e tali sono le ingiustizie e le stravaganze di questo nuovo portato del liberismo. Senza parlare del lato teologico (il che sarebbe un lavare la testa all’asino per i nostri ministri di un sovrano che professa la Religione Cattolica Apostolica Romana, della quale si vanta d’essere protettore), possiamo notare che il progetto di legge è l’emblema del dispotismo ministeriale, giacché commette all’arbitrio del ministro sia l’esistenza dei corpi religiosi, sia la pensione da darsi agli individui. Viola la libertà individuale, viola il diritto d’associazione, viola la proprietà dei beni, viola l’eguaglianza proporzionata dei tributi, che sono altrettanti articoli dello Statuto ministero vorrebbe farsi scudo del concorso del popolo per giustificare il suo latrocinio. Spoglia il clero de’ suoi beni e lo riduce allo stretto necessario per togliergli il modo di correre in aiuto del popolo, sotto pretesto di un’equa spartizione dei beni ecclesiastici. […] Sancisce il principio che lo Stato è padrone di tutti i beni, e quindi può disporne a suo talento, come e quando vuole, il che è il fondamento del comunismo e del socialismo. Rivela l’odio feroce dei libertini contro le cose sacre […]

La legge Rattazzi intacca il principio dell’inviolabilità della proprietà, come la legge Boncompagni intaccava il principio dell’inviolabilità del talamo nuziale. […]

La legge, com’è proposta da Urbano Rattazzi, potrebbe senza difficoltà essere presentata da Proudhon408 […].

Al di là della preoccupazione per un controllo statale di tutti i beni ecclesiastici, il gruppo dell’«Armonia» sottolineava che, sostanzialmente, non vi era congregazione religiosa che, almeno in parte, non fosse addetta all’istruzione, alla predicazione e all’assistenza dei più bisognosi, e, inoltre, si poneva l’attenzione sui rischi di arbitrio da parte del governo che poteva esserci nell’individuazione di quali ordini sopprimere o meno409. Fu, d’altra parte, lo stesso Audisio a esporsi pubblicamente contro la legge e in un editoriale del 23 dicembre ammoniva i piemontesi del pericolo che incorreva con i liberali al governo e nel fondatore del foglio tradizionalista era ben chiaro il percorso che la politica anticlericale sabauda aveva fatto a partire dal 1848:

Un passo chiama l’altro; quanta strada si percorse già dal 1848 al 1854! E continuando ancora cogli stessi discorsi e sul medesimo cammino, le nostre chiese saranno convertite non in iscuderie d’innocenti animali, ma forse in loggie all’esultante massoneria. Uomini che non farebbero contro il giuramento massonico, sciolgono i voti fatti a Dio. Promettono pensioni, ma pongono e porranno i soggetti in condizioni da non poterle percepire. Venderanno i beni sacri, e non potendoli comprare che uomini senza fede e coscienza, il partito con tutta la schiera degli amici e dei favoriti, n’entrerà al possesso per alcuni quattrini; e quando falliranno le finanze del Piemonte, essi si troveranno ben seduti, ed a casa loro.

Piemontesi! Pensateci, io vi lascio, guardo il cielo e taccio410.

Anche il «Campanone», erede della «Campana»411, non mancò di porre immediatamente le proprie attenzioni circa la legge sulle congregazioni religiose. Per la verità, il quotidiano clericale già qualche tempo prima del 28 novembre 1854

408 «L’Armonia della religione colla civiltà», La legge relativa ai corpi religiosi ed alla nuova tassa sui beni ecclesiastici, n° 145, sabato 2 dicembre 1854.

409 «L’Armonia della religione colla civiltà», A chi gioverà la legge contro il clero?, n° 146, martedì 5 dicembre 1854.

410 «L’Armonia della religione colla civiltà», G. Audisio, Sul progetto Rattazzi. Un piemontese ai suoi concittadini, Roma, 14 dicembre 1854. II, n° 154, sabato 23 dicembre 1854.

411 La «Campana» aveva cambiato nome in «Campanone» il 17 maggio 1854. Cfr. F. Della Peruta, Il giornalismo dal 1847 all’Unità, cit., p. 500.

aveva intrapreso una virulenta polemica antigovernativa, attaccando l’esecutivo in carica in modo particolare a causa della situazione socio-economica, per via di un importante rincaro dei prezzi che colpiva in primo luogo le componenti sociali più disagiate:

Noi benediremo sempre quel governo che ci darà il pane a buon mercato, comunque ciò avvenga, o per l’una o per l’altra teoria. Si bada ai risultati e non alle dottrine. Che cosa importa, che il sistema del conte Cavour sia scientifico, quando si muore di fame sotto questo sistema? […] In Torino si muore di fame; è per la fame che il colèra è venuto tra noi, e vi resta tuttavia. Peste, imposte e carestia, ecco i tre belli regali, che voi ci avete fatto colla vostra sapienza412!

Invero, il «Campanone» già qualche giorno prima della presentazione alla Camera del progetto di legge dava notizia, secondo ciò che già veniva annunciato nella stampa progressista, che era pronto un decreto di incameramento dei beni ecclesiastici:

L’Unione, idest Bianchi-Giovini, che si intende di incameramenti, ci assicura che è preparato il decreto dello sfratamento, come egli lo chiama, e che «tranne le corporazioni religiose di una utilità sociale, tutte verranno sciolte, e assegnata una conveniente pensione agli sfratati ed alle smonacate.»

Bianchi-Giovini, dopo d’aver dato questa notizia, passa a suggerire alcuni metodi per meglio approfittare della preda, e, come dicevamo, il consigliere non potrebbe desiderarsi più acconcio. Noi non sappiamo nulla di questo decreto, se realmente sia sottoscritto, o no. Gli altri giornali non ne parlano ancora, ma del resto non pare più permesso dubitarne, perché quando trattasi di incameramenti, il giornale di Bianchi-Giovini è giornale ufficiale413.

L’«Unione» era infatti un foglio anticlericale che fu fondato il 20 novembre 1853, ma, al tempo stesso, sul finire del 1854 aveva maturato una posizione molto critica circa l’operato del governo di Camillo Cavour, per via della sua politica fiscale che andava a colpire le fasce sociali più deboli e per la mancanza di coerenza sulla politica ecclesiastica, pungolando da sinistra l’esecutivo414.

412 «Il Campanone», Il Parlamento e il pane, n° 144, giovedì 9 novembre 1854.

413 «Il Campanone», La soppression dei conventi, n° 146, sabato 11 novembre 1854.

414 Cfr. F. Della Peruta, Il giornalismo dal 1847 all’Unita, cit., pp. 492-493.

Il «Campanone», in attesa della presentazione ufficiale alla Camera, si apprestava, comunque, a intraprendere una campagna delegittimante nei confronti delle personalità politiche dell’arco anticlericale. Il 22 novembre, infatti, il foglio clericale esordiva con un editoriale in cui la figura di Rattazzi veniva paragonata a quella di Mazzini, ponendo sullo stesso piano le idee dei due uomini sia sul piano religioso che su quello politico:

In religione Mazzini non è né cattolico né protestante e colla sua formola di Dio e del popolo fe’ a meno d’ogni qualsiasi religione. E’ tuttavia nimicissimo della Chiesa cattolica, perché i suoi insegnamenti solennemente si oppongono a’ suoi perfidi disegni, e quindi muove guerra al Papa, e a lui ed all’imperatore porta l’odio medesimo. Né altrimenti la pensa il nostro Urbano, il quale non si lascia vincere dal Mazzini nell’odio contro il Pontefice, e le istituzioni cattoliche, e si adopera a tutt’uomo per crollare se fosse possibile l’immortale edifizio della Chiesa. Quanto sa di religione, è in uggia al Rattazzi. Pontefice, vescovi, preti, Ordini religiosi, tutto egli odia, e nel livore non è certo secondo al demagogo di Genova415.

Interessante è, pertanto, osservare come per un foglio clericale come il

«Campanone», che non presentava più la dicitura «Liberali con il re», come era, invece, riportata nel 1852, ed era ora anche in maniera più consapevole parte del contesto reazionario, contassero ben poco le distinzioni di carattere istituzionale fra Mazzini e Rattazzi, piuttosto che le differenti idee circa lo sviluppo socio- economico, di fronte al loro deciso anticlericalismo. Entrambi, di conseguenza, come le parole testé riportate dimostrano, venivano comunque additati come nemici della Chiesa cattolica.

In seguito, il 2 dicembre 1854 il «Campanone» nel suo editoriale espose compiutamente il proprio punto di vista sulla legge di soppressione dei conventi. Il

«Campanone» accusava il progetto di legge di non limitarsi alla soppressione di alcune congregazioni cattoliche, ma si estendeva all’eliminazione di alcuni capitoli, delle collegiate e, inoltre, imponeva tutta una serie di contribuzioni alle parrocchie, alle abbazie, ai canonicati, ai seminari, ai vescovati ed altri stabilimenti ecclesiastici416. Il foglio clericale, come l’«Armonia» del resto, persisteva nel

415 «Il Campanone», Rattazzi e Mazzini, n° 155, mercoledì 22 novembre 1854.

416 «Il Campanone», La soppressione dei conventi, n° 164, sabato 2 dicembre 1854.

criticare l’ampia discrezionalità del potere civile circa gli ordini religiosi da sopprimere e, di conseguenza, il rischio di abusi che avrebbero potuto incorrere417. Con tali parole il giornale concludeva l’articolo che preannunciava una decisa opposizione a tale progetto da parte della classe dirigente liberale:

In sostanza il progetto del ministero non eccettua dalla soppressione alcune comunità, se non per lasciarle al capriccio del ministero, che non tarderà a sbarazzarsene; le pensioni potranno dal medesimo essere ritirate sotto il menomo pretesto; i beni della Chiesa saran gettati in una voragine, in cui non tarderanno a smarrirsi. Ecco il sunto reale ipocritamente stemperato in un profluvio di parole che compongono il progetto di legge. Novello monumento di quell’ipocrisia, che segnala i libertini avvocati de’ nostri giorni, e nasconde il despotismo più arbitrario418.

L’opposizione del «Campanone» colpiva, nel caso specifico, anche la figura di Rattazzi, fra le figure più anticlericali del governo Cavour:

Checché ne sia, ecco la sostanza della legge sulla soppressione dei conventi: o Urbano Rattazzi vorrà esser giusto, e questi sussisteranno tutti come per lo passato, o ne abolirà alcuno, e peccherà contro la giustizia; nel 1° caso avremo una legge inutile, una legge ridicola; e nel 2° caso avremo una grande soperchieria, che non sarà la prima, né disgraziatamente l’ultima finché i moderati continueranno a governare419.

Rattazzi continuò ad essere bersagliato dal «Campanone» per la sua politica anticlericale negli editoriali del 7 dicembre e del 12420, ma la figura su cui oramai in maniera definitiva la galassia reazionaria puntava il dito era quella del conte di Cavour, la cui politica finanziaria toccava anche la situazione del clero locale:

Tassa annua imposta colla legge del 23 maggio 1854 a carico delle divisioni e delle provincie, dei comuni, degli istituti di carità e di beneficenza, delle fabbricerie ed altre amministrazioni delle Chiese, dei beneficii ecclesiastici e delle cappellanie anche laicali, delle case religiose, dei seminari, delle confraternite, delle pie amministrazioni, di esercenti arti e mestieri, degli istituti religiosi, dei culti tollerati, e d’ogni altro corpo o stabilimento

417 Ibid.

418 Ibid.

419 «Il Campanone», Papa Urbano ed il suo concilio, n° 167, mercoledì 6 dicembre 1854.

420 «Il Campanone», La relazione del signor Rattazzi, n° 168, giovedì 7 dicembre 1854; «Il Campanone», Ingiustizia della progettata soppressione delle congregazioni religiose, n° 171, martedì 12 dicembre 1854.

di mano morta. Questa tassa nuova di zecca rende L. 910.000. Quantunque particolare al clero essa pesa principalmente sul povero; giacché i denari tolti alle corporazioni religiose, agli istituti di carità, alle pie amministrazioni, sono tolti direttamente ai poveri421.

Mentre la galassia reazionaria, attraverso due dei giornali più importanti dell’area, marcò la propria posizione sin da subito circa il dibattito politico circa la legge sui conventi, anche il fronte anticlericale si inserì immediatamente in questa battaglia politica. In quel momento l’area culturale anticlericale era conscia del fatto che il mantenimento dello Statuto e la sua mancata abolizione avevano spostato i rapporti di forza a favore dei liberali422 e si trovava anche in una situazione di sviluppo interno, dato che nell’ottobre del 1854 nacque un nuovo settimanale in diretta opposizione al cattolicesimo: «La Ragione»423, il cui fondatore era Ausonio Franchi424.

Per quanto, però, la situazione potesse, pertanto, infondere ottimismo fra i sostenitori del processo di secolarizzazione istituzionale, la passata sconfitta circa la questione del matrimonio civile non rincuorava gli animi di molti fra gli anticlericali. La stessa «Gazzetta del Popolo», il 25 novembre, per la penna di Alessandro Borella, esprimeva certamente il suo favore a una tale proposta di legge, ma al tempo stesso il giornalista liberal-progressista mostrava la sua sfiducia nei confronti di una classe dirigente che non era riuscita a far approvare dal Senato il disegno di legge sul matrimonio civile:

Quanto noi abbiamo a sperare da questo progetto? Pensaci bene, o lettore. […]

Gli autori del supposto progetto sono quelli, precisamente quelli,

1° Che nel 1852 sciolsero parecchi municipii che deliberarono di mandar petizioni al governo per l’incameramento dei beni ecclesiastici, e per la soppressione dei conventi;

421 «Il Campanone», I regali del conte di Cavour, n° 175, sabato 16 dicembre 1854.

422 Cfr. R. Romeo, Cavour e il suo tempo, vol. III, cit., p. 116.

423 Ivi, p. 118.

424 Ausonio Franchi (1821-1895), dopo aver abbandonato l’abito talare, fu un filosofo legato alla cultura politica democratica. Cfr. M. Fubini Leuzzi, DBI, vol. 11, 1969. Cfr. M. Fubini Leuzzi, DBI, vol. 11, 1969, https://www.treccani.it/enciclopedia/cristoforo- bonavino_%28Dizionario-Biografico%29/.

2° Che nel medesimo anno, vincolati da una promessa reale, presentarono al Parlamento un impiastro di sacristia, al quale diedero nome di legge del matrimonio civile, e neppure quest’impiastro furono capaci a strapparlo dalle tenaci unghie del Senato; […]

Quindi, o lettore, se tu malgrado le lezioni del passato dài orecchio e fede alle trombette ministeriali che ne suonano meraviglie, bada bene che tu pericoli assai di rimanere confuso e musorno425.

La mancanza di franchezza della legge sui conventi veniva comunque sottolineata, chiaramente con una prospettiva diametralmente opposta rispetto a quella dei tradizionalisti, anche dalla stessa «Gazzetta del Popolo»:

!!! Progetto di legge per la soppressione di Comunità religiose e di alcuni stabilimenti ecclesiastici, con altri provvedimenti per migliorare la condizione dei parroci più bisognosi.

Questo progetto è mancino persino nel titolo: diffatti osservate come è gattesca la particella

di posta tra i sostantivi soppressione e Comunità.

Il ministero cancellò dalla sua grammatica l’articolo delle che le avrebbe tutte comprese. Quello sarebbe stato un parlar franco, ma il procedere del ministero non che un franco non vale pure un centesimo.

Osservate quindi come suona miserabile, fesso, pittocco quel partitivo restrittivo di alcuni

incollato come un vescicatoio a stabilimenti426!

Successivamente, inoltre, anche i vescovi del Regno di Sardegna scesero nell’agone della battaglia politica con il fine di bloccare l’iter legislativo circa la legge sui conventi. La prima uscita pubblica dell’episcopato subalpino avvenne con un indirizzo comune destinato al Parlamento dello Stato, pubblicato sull’«Armonia»:

La giustizia esiga che si dia a ciascuno ciò che è suo, non si attenti all’altrui proprietà, e se ne rispettino tutti i diritti. – Ora, a tenore del progetto di legge, il potere civile, colla soppressione di corporazioni religiose, collegiate e benefizi, coll’annullamento d’innumerevoli testamentarie disposizioni e fondazioni ecclesiastiche, si usurpa un diritto che non gli spetta, invade proprietà che non sono di sua pertinenza, e commette quindi la più manifesta ingiustizia. […]

425 «Gazzetta del Popolo», A. Borella, La soppressione de’ conventi, num° 282, sabato 25 novembre 1854.

426 «Gazzetta del Popolo», Sacco nero, num. 287, venerdì 1 dicembre 1854.

Gesù Cristo nel fondare la sua Chiesa, non ha già stabilito un’unione di puri spiriti che non abbisognino di beni temporali per vivere, ma un’unione di persone, che costituiscono una vera società, cui sono indispensabili mezzi materiali di sussistenza, per conseguire il fine sublime al quale è indirizzata. […]

Basi della società sono la proprietà, la giustizia, la Religione. Ora la legge proposta attaccandole tutte violentemente, non potrebbe essere più nefasta alla società medesima. […]

E pure antisociale il progetto, in quanto che tende a diminuire i redditi delle istituzioni e dei benefizi ecclesiastici. Infatti ella è verità universalmente conosciuta, che le fondazioni di spedali e di altri stabilimenti di pubblica beneficenza si deggiono per la massima parte alle persone ecclesiastiche, e principalmente ai Vescovi ed altri beneficiati, i quali ben sapendo che quanto sopravanza all’onesto loro sostentamento, è patrimonio dei poveri e della Chiesa, li fecero sorgere od arricchirono a comune vantaggio sociale; per conseguenza la progettata diminuzione di redditi non solamente toglierebbe loro, a danno della società, i mezzi di fondare o promuovere per l’avvenire consimili opere, ma verrebbe anche a privare tante famiglie bisognose e tanti poveri dei larghi soccorsi che ne ricevono di presente.

Quanto alle religiose corporazioni, non è intendimento dei sottoscritti enumerare gli immensi vantaggi che apportarono, ed apportano tuttavia alla società colla coltura delle scienze e delle arti, e col promuovere in ogni maniera il maggior bene della medesima, vantaggi conosciuti ed attestati anche da persone per nulla sospette di parzialità verso la Chiesa. […]

Chi potrà poi dire inutili alla società quelle corporazioni specialmente di sacre vergini, che attendono unicamente alla vita contemplativa? Insegnando la Chiesa col Vangelo alla mano essere di assoluta necessità l’orazione agli individui non meno che a tutto il corpo dei fedeli, esse colle loro preghiere e mortificazioni placano la divina giustizia concitata dai traviamenti dei popoli, e mentre fanno corteggio al Re del Cielo che si degna, anzi si delizia di abitare cogli uomini nell’augustissimo Sacramento dell’Altare, implorano sopra le città e le nazioni le più elette benedizioni427.

Con questo indirizzo inviato al Parlamento ai primi di gennaio del 1855 i vescovi subalpini, come stanno a dimostrare le parole originali testé riportate, impostarono

427 «L’Armonia della religione colla civiltà», Indirizzo di tutti gli arcivescovi, vescovi e vicari capitolari dello Stato al Senato del Regno ed alla Camera dei deputati contro il Progetto di Legge per la soppressione di Comunità Religiose, e di Stabilimenti Ecclesiastici, supplimento al n° 4, venerdì 5 gennaio 1855.

la loro battaglia contro il disegno di legge più o meno seguendo la stessa linea politica che aveva impresso il gruppo dell’«Armonia». Infatti, si ribadiva l’importanza del ruolo delle proprietà ecclesiastiche circa l’assistenza sociale dei più bisognosi, svolgendo, pertanto, un ruolo di giustizia sociale. D’altra parte, l’episcopato argomentava questa sua opposizione criticando il fatto che questa legge andasse a intaccare lo spazio dei corpi intermedi della società civile, in cui lo Stato governato dalla classe dirigente liberale stava progressivamente andando a erodere. Successivamente, il documento stilato dall’episcopato accusava esplicitamente il provvedimento di ostacolare la libertà religiosa dei cattolici, limitando la scelta di un dato stato di vita e, inoltre, veniva mossa l’accusa di promuovere le dottrine del socialismo e del comunismo, a causa di intaccare il diritto di proprietà428. Da sottolineare, inoltre, l’ammonimento di causare una vera e propria discordia all’interno della società subalpina:

Non potrebbe adunque questo progetto di legge essere più fecondo di fatali conseguenze a danno della Chiesa e dello Stato, mentre, se venisse approvato, metterebbe in aperta rivolta lo Stato contro la Chiesa, e getterebbe il pomo della discordia nel paese. Le corporazioni religiose e i Canonici delle Collegiate sarebbero tenuti a non muoversi dal loro posto se non cacciati dalla forza429.

Infine, seguivano le firme dei vari vescovi di tutte le provincie ecclesiastiche del Regno di Sardegna: della Savoia, di Torino, di Vercelli, della Sardegna e di Genova430. L’episcopato subalpino, pertanto, si presentava ben unito nei confronti di questa nuova tappa di modernizzazione statuale e non sorprende la sovrapposizione delle posizioni fra le dichiarazioni pubbliche dell’episcopato subalpino e gli editoriali del gruppo dell’«Armonia», che fra i reazionari era sempre di più il foglio su cui concentrare maggiormente le proprie energie, come fece, infatti, don Margotti:

Mi duole di non poter fare né di più, né meglio; anzi con mio dispiacere ho dovuto abbandonare il Campanone per dedicarmi esclusivamente all’Armonia. Ho preso a prigione

428 Ibid.

429 Ibid.

430 Ibid

una casa vicinissima all’uffizio, dove ho dormito questa notte per la prima volta. Avrò più tempo e miglior agio per attendere alle cose mie431.

Nel frattempo la situazione politica circa la legge sui conventi si rendeva sempre più complicata anche per lo stesso sovrano Vittorio Emanuele. In gennaio, il 12 e il 20, invero, morirono rispettivamente la regina madre Maria Teresa, vedova di Carlo Alberto e di idee assai poco liberali, e la regina Maria Adelaide, colpendo profondamente l’animo del re432. L’«Armonia», d’altra parte, diede notizia di questi due eventi sottolineando la religiosità e l’importanza che la fede cattolica avevano rivestito nella vita delle due regine433 e questo non poteva, in quel momento, non possedere anche una connotazione politica, di pungolo nei confronti di un sovrano che avrebbe, in tal modo, avvallato una legge avvertita come minacciosa dalla galassia clericale.

Anche il contesto politico della destra subalpina in quei giorni di gennaio, in cui era iniziata la discussione alla Camera, operò un chiaro posizionamento politico di opposizione alla legge. Le due figure che più si distinsero furono quelle del conservatore clericale Thaon di Revel e del reazionario Solaro della Margherita. Revel, infatti, argomentava la sua opposizione affermando che la politica sabauda stava prendendo una linea anticlericale ben distante da quelle che erano le intenzioni di Carlo Alberto quando concesse lo Statuto434, mentre Solaro della Margherita, attaccando anche le politiche finanziarie del governo di Cavour, intraprese un discorso in cui contestava apertamente il parlamento subalpino di avere reso schiava la Chiesa, concepita come istituzione con diritto di proprietà sin dall’inizio dei suoi giorni e con un importante ruolo di assistenza sociale, e di aprire la strada alla sovversione, ma, al tempo stesso, si ammoniva la stessa monarchia di non distanziarsi ulteriormente dalle sue tradizioni consuetudinarie:

431 ADM, Carte Ghilardi, Cartella 68, Corrispondenza relativa al giornale l’«Armonia» 1851-1863, lettera di don Margotti a monsignor Ghilardi, Torino, 12 gennaio 1855, recto. Le sottolineature sono nel testo.

432 Cfr. P. Gentile, L’ombra del re, cit., p. 122.

433 «L’Armonia della religione colla civiltà», Morte della regina Maria Teresa, n° 10, sabato 13 gennaio 1855; «L’Armonia della religione colla civiltà», Morte della regina Maria Adelaide, n° 16, lunedì 22 gennaio 1855.

434 Cfr. P. Gentile, L’ombra del re, cit., p. 122.

La Chiesa è un’istituzione divina, che sin dai suoi primordii ebbe il diritto di proprietà: e lo ebbe appunto dal suo celeste fondatore. Il diritto canonico lo ha riconosciuto e dichiarato, non lo ha conferito; sono cose elementari; gli eretici, e i sofisti hanno travisato storia e principii, e perfino animi onesti caddero nell’inganno, come ogni dì lo vediamo; ma, sia detto una volta in un Parlamento cattolico, chi la Chiesa disprezza, disprezza Iddio; nessuno fra noi è capace di sì orribil pensiero, eppure la Chiesa è disprezzata quando si vuol rendere disadorna, meschina, anzi in condizione di schiava. […]

Avanti, avanti, o ministri, lanciate il paese di carriera nella via rivoluzionaria. […]

Chi ama dar prova della propria indipendenza, non dovrebbe per nessun riguardo far eco in queste circostanze alle esorbitanze di chi è al potere. Così s’insegna ai ministri a meglio conoscere i loro doveri, a meglio servire il Re e la Nazione. Nulla ci arresti di negar loro i voti; quand’anco con questa legge si scavassero la tomba, sarebbe colpa di loro politica imprevidenza; meglio è assistere ai loro funerali, che vestirci a corruccio per la patria.

Quanti poi alla Monarchia sono con caldo affetto devoti, non vorranno mai, consentendo a questa legge che ne scuote le basi, rinunziare alle sue tradizioni, alle massime di giustizia, per cui crebbe di splendore e di forza. Oh, non siavi alcuno, che assumer non paventi la tremenda responsabilità, che io dal mio capo energicamente respingo435.

L’ultima discesa in campo sulla battaglia politica attorno alla legge sui conventi fu quella di Pio IX. Il pontefice, infatti, espresse tutta la sua contrarietà al suddetto progetto di legge attraverso un’allocuzione in latino il 22 gennaio, riportata anche dai vari quotidiani tradizionalisti, rispecchiando la percezione persecutoria che la galassia tradizionalista riteneva fosse in atto nei loro confronti da parte del governo436. Questa mobilitazione da parte del clero subalpino, dei giornali tradizionalisti, della destra politica e l’intervento dello stesso Pio IX stavano ponendo in seria difficoltà Vittorio Emanuele, sempre meno convinto di proseguire con il governo Cavour e la predominanza della classe dirigente liberale437.

435 Atti Parlamentari, Camera, seduta del 11 gennaio 1855; il discorso è riportato anche in: «L’Armonia della religione colla civiltà», Discorso del Conte Solaro della Margarita alla Camera de’ Deputati, n° 10, sabato 13 gennaio 1855.

436 Cfr. P. Gentile, L’ombra del re, cit., p. 122; A. Viarengo, Cavour, cit., p. 284; R. Romeo, Cavour e il suo tempo, vol. III, cit., p. 114.

437 Cfr. P. Gentile, L’ombra del re, cit., p. 123.

divisore 4

La battaglia culturale e la controffensiva clericale

Il dibattito politico e culturale legato alla legge sui conventi continuò ad animare la lotta politica del Regno di Sardegna. La Camera mostrava un’aperta apertura nei confronti della legge, a dimostrazione di quanta rappresentanza in Parlamento avesse le posizioni anticlericali. Infatti, il 2 marzo la legge ottenne l’approvazione dalla Camera con 117 voti favorevoli e 36 contrari438. L’«Armonia», chiaramente, accolse molto negativamente la notizia e pubblicò i nomi di tutti i deputati con il loro rispettivo voto439. Dal quadro della votazione emergeva come tutto l’arco politico liberale si fosse schierato favorevolmente circa la legge, dal moderato Camillo Cavour al progressista Lorenzo Valerio, mentre solo l’ala politica più tradizionalista, di Solaro e di Avogadro della Motta, per citare i più rappresentativi, votò in maniera contraria440. Inoltre, è da sottolineare che se il presidente del consiglio Cavour aveva votato favorevolmente, attaccando gli ordini mendicanti come contrari alla moralità del paese e all’etica del lavoro441, così non agì il fratello Gustavo, il quale, se pur si era allontanato dal gruppo dell’«Armonia» per la sua linea tradizionalista, in questo frangente finì per allinearsi alle posizioni dei clericali. Con il tono ironico che aveva sempre caratterizzato gli editoriali del foglio clericale, l’«Armonia» sottolineava che c’era più da fidarsi di un deputato di fede ebraica come Jules Avigdor, che si astenne, rispetto a tanti deputati di religione cattolica che avevano agito in maniera assai sgradita alla Chiesa442.

Ma oltre al giornale tradizionalista, anche la «Gazzetta del Popolo» poneva l’attenzione sulla questione dei conventi e, dopo aver accusato la destra reazionaria di insulsaggine443, nel suo editoriale del 3 marzo descrisse l’esito della votazione da parte della Camera con toni trionfalistici, annunciando una vittoria di civiltà e attaccando in maniera diretta

438 Ibid.

439 «L’Armonia della religione colla civiltà», Votazione della legge Rattazzi, n° 51, lunedì 5 marzo 1855.

440 Ibid.

441 Cfr. R. Romeo, Cavour e il suo tempo, vol. III cit., p. 123.

442 «L’Armonia della religione colla civiltà», Votazione della legge Rattazzi, n° 51, lunedì 5 marzo 1855.

443 «Gazzetta del Popolo», Camera dei Deputati. Tornata del 28 febbraio, num. 52, giovedì 1 marzo 1855.

e cristallina il papato, accusato di essere la rovina dell’Italia:

Non ci perderemo in preamboli. La civiltà ha ottenuta una vittoria sul fratume, sul retrogadume, e sopra altre schiume della società. Questa è l’importante notizia che dobbiamo dare e che ci affrettiamo di dare al popolo piemontese, al popolo italiano! […] Da lungo tempo nel Parlamento non s’era trovata una simile maggioranza! E si noti ancora che mancavano molti deputati liberali!

La vittoria è stata solenne, ed essa è tanto più significante, in quanto che fu contrastatissima dalla destra nel Parlamento, e dalla fazione clericale in genere nel paese.

L’annunzio della vittoria, e della immensa maggioranza che ha sotterrata la tisica cifra de’ clericali, è accolto da tutti colle più cordiali dimostrazioni di gioia.

Né l’istinto del paese in ciò s’inganna; imperocchè qual è il peggiore nemico d’Italia? Qual è il principale ostacolo a suo risorgimento? […]

Il peggior nemico d’Italia, il maggiore ostacolo al bene di essa è il papato temporale, il papato colla enorme sua sequela di frati, monache, e consorti.

Senza costoro, di cui la residenza principale occupa e taglia l’Italia nel suo bel mezzo e nelle sue posizioni più vitali e strategiche, senza costoro, dico, l’Italia sarebbe da buona pezza libera, indipendente e potente. […]

Il papato temporale fu sempre la peste, la rovina d’Italia: i papi chiamarono sempre gli stranieri contro qualsiasi elemento unificatore d’Italia, e finché l’Italia avrà nel suo seno la Corte di Roma, essa si dovrà rassegnare ad essere debole, serva e conculcata. […]

Il modo in cui le cose sono avvenute mostra che la Camera non ha mestieri di sapere ulteriori turpitudini de’ clericali per combattere costoro.

Ora a che si riduce il famoso argomento della sacristia consistente ne’ pericoli che avrebbe potuto trar seco l’approvazione del progetto? […]

Ognuno sa l’infame partito che i clericali trassero da quelle pubbliche sventure che amareggiarono sì dolorosamente i cuori tutti! Ebbene ciò nondimeno nessuno mutò le sue convinzioni. La maggioranza è stata immensa in favor della legge444!!

Dopo l’esito favorevole al progetto di legge iniziò ad essere ancora più deciso l’operato del clero subalpino per tentare di bloccare quest’ulteriore tappa del processo anticlericale dello Stato sabaudo. A tenere l’orazione funebre della regina Maria Adelaide fu, infatti, il già citato Charvaz,

444 «Gazzetta del Popolo», Camera dei Deputati. Tornata del 2 marzo, num. 54, sabato 3 marzo 1854.

vescovo di Genova e che ebbe l’occasione, con la motivazione di consegnare al sovrano una lettera del pontefice, di tenere un’udienza privata con Vittorio Emanuele445. Da quest’incontro il sovrano sabaudo ebbe l’opportunità di mettere in campo una sua personale iniziativa che, con l’obiettivo di bloccare l’iter legislativo della legge sui conventi, prevedeva di convincere dei senatori ad affossare il disegno di legge o di inviare qualche personalità gradita a Roma per intavolare delle trattative446.

Le ipotesi di intraprendere progetti che avrebbero potuto compromettere la Santa Sede furono, però, scartate447 e i vescovi del Regno, con Ghilardi, Billet, Calabiana e d’Angennes i più ostinatamente contrari all’approvazione della legge448, maturarono una proposta che prevedeva di assumere sulle mense dell’episcopato subalpino l’ammontare del risparmio che la legge veniva a procurare alle finanze dello Stato, allora in evidente crisi, in cambio del ritiro della legge che pure, come è stato testé riportato nelle righe precedenti, era già stata approvata il 2 marzo alla Camera449. In quel momento la tattica dell’episcopato di far leva sulla persona del sovrano poteva, in effetti, sortire delle conseguenze che andassero nella direzione da loro sperata, visto che Vittorio Emanuele ancora era legato ad una concezione della figura del monarca concepita come protagonista anche dal punto di vista governativo, con una piena responsabilità politica anche sul versante esecutivo450. D’altra parte, era lo stesso sovrano che in una lettera del 22 marzo a Pio IX, oltre a schierarsi favorevolmente sulla questione della proposta dei vescovi, prometteva al papa di tornare a lavorare per un concordato ben accetto da entrambe le parti:

Beatissimo Padre, l’animo mio soffre da anni di fare costantemente nuove ferite al cuore della Santità Vostra. Mi tolga ora con la sua carità di padre dei fedeli dall’imbarazzo in cui mi trovo, e prometto alla Santità Vostra di fare in modo onde non recarle mai più disgusti

445 Cfr. P. Gentile, L’ombra del re, cit., p. 123.

446 Ibid.

447 Ibid.

448 Cfr. R. Romeo, Cavour e il suo tempo, vol. III, cit., p. 126.

449 Cfr. V. Viarengo, Vittorio Emanuele II, cit., pp. 168-169.

450 Ivi, p. 168.

in avvenire, e fare al più presto ricominciare le trattative onde pervenire ad un Concordato che consoli tutti i cuori, e dia la pace alle coscienze451.

L’episcopato subalpino si poneva quindi deciso a porre i bastoni fra le ruote all’ulteriore tappa anticlericale della classe dirigente liberale subalpina, ma fra le gerarche ecclesiastiche non vi era comunque mancanza di consapevolezza circa la difficoltà della situazione. Questo è ben presente, infatti, nella lettera del 26 marzo che il vescovo di Albenga, pur appoggiando convintamente la proposta dell’episcopato subalpino per bloccare la legge, inviò ai suoi corrispettivi di Chambery e di Casale Monferrato:

Ricevo oggi da Monsignor Arcivescovo di Genova copia d’un invito al Senato del Regno tendente ad offrirsi di sopperire alle note lire 900,000 che il Parlamento ha tolte alle Congrue parrocchiali.

Ne scorsi giorni io aderivo alla proposta, che mi veniva fatta, di ricorrere al Sommo Pontefice per tale oggetto, ed aspettare di colà risposta prima rifare altri passi col Governo. Io confermo quel mio assenso: E quanto all’odierno ricorso al Senato non vi aderirei volentieri, avuto specialmente riguardo ai riscontri che si hanno di una probabile rejezione nel Senato di quel progetto di Legge sui Conventi, almeno nei termini nei quali venne sancito dalla Camera dei Deputati.

Io nutro poca fiducia che l’odierno Ministero voglia fermarsi qui, e non vorrei con una condiscendenza così larga incoraggiarlo a procedere impunemente, e tuta conscientia ad ulteriori passi lesivi dei diritti della Chiesa, e rovinosi al bene spirituali dei fedeli […] Altronde sotto gli uomini che attualmente ci governano è a temersi la nostra proposta debba subire la stessa sorte che quella 300 milioni fatta dal clero Francese all’Assemblea Costituente della passata rivoluzione per salvare il patrimonio della Chiesa, ma inutilmente; poiché anche i nostri professano al proposito i medesimi principii.

Non intendo però di rendermi singolare, ne è mio pensiero di sostenere la mia opinione a fronte dell’unanimità, o quasi de miei colleghi: qualora pertanto mi sia fatto conoscere che questa vi sia, a favore dell’indirizzo di cui è caso, io non esiterò di dare il mio assenso, quale occorrendo urgenza intendo dare sin d’ora452.

451 Ivi, p. 169.

452 ADM, Carte Ghilardi, Cartella 79, Carteggio contro la soppressione delle corporazioni religiose, Lettera del vescovo della diocesi di Albenga, Raffaele Biale, a monsignor arcivescovo di Chambery e monsignor vescovo di Casale, 26 marzo 1855, recto e verso.

Il vescovo Biale, pertanto, dava notizia di essere sì dalla parte dei vescovi, ma dimostrava di essere ben consapevole degli orientamenti della maggioranza dei parlamentari subalpini.

Sempre il 26 marzo diede notizia a Ghilardi, Billet, arivescovo di Chambery, e a Nazari di Calabiana, vescovo di Casale Monferrato, oltreché senatore del Regno, anche il vescovo di Tortona, Giovanni Negri453, che si sarebbe aggiunto a dare battaglia attraverso la proposta del «milione»454. Inoltre, Biale concluse la propria lettera ringraziando i tre vescovi che erano stati gli ideatori del progetto, per il loro zelo che stavano dimostrando nella difesa delle proprietà ecclesiastiche455. Così anche il vescovo di Biella, Giovanni Pietro Losana456, sempre sul finire di marzo, comunicava al vescovo della diocesi monregalese il suo sostegno al progetto episcopale:

delle adesioni già pronunciatesi in favore del progetto di liberare le finanze dal peso delle

L. 928/m. accollandolo all’Asse eccles.co, Secolare-Regolare di buon grado vi aderisco anch’io per il male che si impedirebbe a danno della Chiesa col ritiro definitivo dell’altro notissimo457.

E nonostante questa ferma posizione del clero, non mancavano coloro, fra l’episcopato subalpino, che si sfilarono, come il vescovo di Saluzzo, Giovanni Antonio Gianotti458, come comunicò il vescovo di Ivrea, Luigi Moreno, che già si era opposto fortemente alle separatiste leggi Siccardi, a monsignor Ghilardi459. Fra coloro che, come il vescovo Biale del resto, appoggiavano sì il progetto, ma al tempo stesso erano dubbiosi sul suo esito

453 Cfr. Diocesi di Tortona, cronotassi dei vescovi, https://www.diocesitortona.it/testi.php?id_testi=162.

454 ADM, Carte Ghilardi, Cartella 79, Carteggio contro la soppressione delle corporazioni religiose, Lettera del vescovo di Tortona, Giovanni Negri, ai monsignori arcivescovo di Chambery e ai vescovi di Mondovì e Casale Monferrato, 26 marzo 1855, recto.

455 Ibid.

456 Cfr. Rete archivi biellesi, Giovanni Pietro Losana, https://www.retearchivibiellesi.it/entita/39-losana-giovanni-pietro.

457 ADM, Carte Ghilardi, Cartella 79, Carteggio contro la soppressione delle corporazioni religiose, Lettera del vescovo di Biella a monsignor Ghilardi, Biella 29 marzo 1855, recto.

458 Cfr. Diocesi di Saluzzo, mons. G, Antonio Gianotti (1837-1863), https://www.diocesisaluzzo.it/la-storia/mongantoniogianotti/.

459 ADM, Carte Ghilardi, Cartella 79, Carteggio contro la soppressione delle corporazioni religiose, Lettera del vescovo d’Ivrea a monsignor Ghilardi, 29 marzo 1855, recto.

vi era anche il vescovo di Asti, Filippo Artico460, il quale, invero espresse alcuni dubbi a Ghilardi, come se poi il carico del

«milione» dovesse gravare solo sull’episcopato o se questa «tassa» venisse assegnata sopra i redditi netti461.

Fu proprio il vescovo monregalese a porsi, nel marzo 1855, ma anche il mese successivo, come elemento di influenza presso il sovrano sabaudo grazie ad una serie ravvicinata di udienze, tramite anche l’ausilio del teologo Pozzi, precettore dei principi reali a corte fra il 1851 e il 1864 e già segretario del vescovo monregalese, di cui divenne nel 1873 suo successore alla guida della diocesi di Mondovì462. Ghilardi operò, infatti, in modo da disgustare il sovrano della legge sui conventi e di Rattazzi, autore della legge, facendo passare per traditori il politico liberal- progressista e i suoi sostenitori463. Inoltre, il prelato piemontese biasimò la nomina di senatori liberali come Durando o Persoglio, a scapito di figure tradizionaliste come Charvaz464. Ghilardi, invero, aveva ricevuto proprio da Roma le indicazioni di impegnarsi al fine di convincere il re ad agire in modo da far ritirare il progetto di legge. Invero, lo stesso Pacifici all’inizio del marzo 1855, in una lettera indirizzata a monsignor Ghilardi, promuoveva l’episcopato subalpino, e il mondo cattolico con le sue rappresentanze più in generale, a convincere Vittorio Emanuele a bloccare l’iter legislativo del progetto di legge:

E primariamente non Le nascondo, che considerato bene lo stato attuale delle cose ho creduto non dar motivo di nuova afflizione al Santo Padre trattenendolo sull’oggetto, cui si riferisce la citata di Lei lettera. Dopo matura ponderazione nel mio privato modo di vedere stimo, che tanto dai Vescovi, quanto dai buoni Cattolici, e specialmente da quelli, che godono di una posizione importante in Piemonte, non si debbano risparmiare cure, sollecitudini, ed ogni studio per indurre il Re ad usare della Sovrana sua influenza per rimuovere questa altra [sic. quest’altra] calamità dalla Chiesa. Esaurite simili pratiche, e tutte quelle altre, che il caso consiglia;

460 Per maggiori informazioni sulla sua figura, vedi: G. Visconti, Diocesi di Asti e istituti di vita religiosi, Gazzetta d’Asti, Asti 2006.

461 ADM, Carte Ghilardi, Cartella 79, Carteggio contro la soppressione delle corporazioni religiose, Lettera del vescovo di Asti a monsignor Ghilardi, Camerano 28 marzo 1855, recto e verso.

462 Cfr. P. Gentile, L’ombra del re, cit., p. 124.

463 Ibid.

464 Ibid.

allorché si scorgesse non offrirsi più alcun mezzo efficace per impedire la sanzione della nota legge, mi sembrerebbe, che i Senatori posti nella dura condizione di votare, nell’atto della convocazione dovessero prima rigettare la proposta legge come anticattolica, antimorale, antipolitica, antisociale, e quindi assunsero essi l’incarico d’impegnare l’Episcopato di trovare il modo di accorrere all’attuale bisogno. Che se poi si riconoscesse ciò inefficace, od impraticabile, e d’altronde si avesse la certezza essere il Clero disposto a sottostare all’imposizione, di cui Ella parla, e con questo sacrificio salvare le corporazioni Religiose, ed il resto, che verrebbe attaccato dalla legge in discussione, nell’unico scopo di evitare mali maggiori, si potrebbero privatamente tranquillizzare le coscienze dei Senatori, i quali convenissero al solo fine predetto per la imposizione sui Beni del Clero. Anche in questo caso i Senatori dovrebbero rigettare la legge, come si è detto, ed incaricarsi di prendere i concerti coll’Episcopato medesimo perché tal sovrattassa possa dirsi legittima465.

Oltre all’episcopato e al suo progetto del «milione» non mancò, in ogni caso, la mobilitazione degli altri strati del clero, compreso quello regolare. L’«Armonia», ancora una volta, si fece portavoce di queste istanze. Sul numero di lunedì 26 marzo veniva pubblicata la lettera, destinata poi al Senato del Regno, del rettore della Natività di Maria Vergine di Rivarone, Felice Potoletti:

Il sottoscritto ha l’onore di dichiarare, che, sebbene colla sanzione del progetto di legge sull’abolizione dei conventi, delle collegiate e benefizi ecclesiastici possa sperare notevole miglioramento di sua sorte, per essere la mensa della parrocchia, di cui è al possesso, una di quelle che riceve il supplimento di congrua, pure, convinto il sottoscritto essere il detto progetto di legge sull’abolizione de’ conventi, ecc., non solo ingiusto, illegale, anticattolico, ma ancora apertamente contrario allo Statuto fondamentale, non si crederebbe facoltà di potere accettare alcun sussidio proveniente dai beni che formano l’oggetto della legge suddetta, senza l’intervento della Santa Sede466.

Così anche il parroco di San Giuliano a Barbania, Lorenzo Vera, si dichiarava contrario ad accettare il provvedimento se non con il previo assenso del pontefice:

465 ADM, Carte Ghilardi, Cartella 79, Carteggio contro la soppressione delle corporazioni religiose, Lettera di Luca Pacifici a monsignor Ghilardi, Roma 7 marzo 1855, prima e seconda pagina.

466 «L’Armonia della religione colla civiltà», Dichiarazioni dei parrochi subalpini, n° 68, lunedì 26 marzo 1855.

spetta al S. Pontefice il dichiarare l’utilità degli Ordini religiosi, l’amministrazione dei beni della Chiesa, e stabilire ciò che concerne i veri interessi della religione467.

Sulla stessa riga di argomentazioni era anche la lettera del priore Michele Giuliano, di Boves468.

Come accennato nelle righe sopra, anche il clero regolare, che poi era quello che veniva toccato primariamente dalla legge, diede il suo contributo alla mobilitazione tradizionalista contro il progetto di legge. Al Senato, invero, pervenne sul finire del marzo 1855 una petizione delle monache cistercensi d’Ivrea e fu poi pubblicato dal gruppo dell’«Armonia». Le monache sostenevano il loro ruolo di importanza sociale nella comunità, con la loro responsabilità circa l’educazione femminile, e che solo l’utilizzo della forza da parte delle autorità sabaude le avrebbe potute staccare dal loro monastero:

Le sottoscritte abbadessa e monache Cisterciensi professe, componenti l’intero monastero dei Santi Maria e Michele nella città d’Ivrea, profondamente commosse e costernate dalla presentazione di un progetto di legge per a soppressione di comunità e di stabilimenti religiosi, si credono in dovere tutte e singole di dichiarare […] che la sola violenza potrebbe farle uscire dal chiostro, in cui si sono consacrate. […]

Fidate nelle leggi vigenti, avendo fatto contratti legali col monastero, […] esse reclamano, che sieno rispettati i loro diritti, […] rispetto, che a questo monastero venne usato sotto la dominazione francese, quando, avuto riguardo ai servigi, cui esso rese, da assai tempo adddietro, alla società coll’educazione delle fanciulle, venne dichiarato dal governo Istituto d’educazione dipartimentale, si mantenne in vigore, e così ne continuò fino al presente in esso il pensionato d’educazione469.

Di fronte all’esposizione pubblica dell’episcopato subalpino per difendere le varie congregazioni religiose dall’azione del governo Cavour, i superiori generali dei vari ordini regolari del cattolicesimo subalpino stilarono un indirizzo di ringraziamento per il loro operato, sottolineando che, essendo le province del Regno di Sardegna tutte cattoliche, fosse illegittimo che il

467 Ibid.

468 Ibid.

469 «L’Armonia della religione colla civiltà», Le monache cisterciensi d’Ivrea, n° 70, mercoledì 28 marzo 1855.

Parlamento promuovesse una legge di quel tipo:

Noi quindi, nell’ammirare e giustamente esaltare le glorie e lo zelo addimostrato dalle EE.

VV. Rev.me nelle guerre del Signore, ci crediamo in dovere di offrir loro con tutto l’animo nostro riconoscentissimo ogni possibile azione di grazia pel molto bene già fatto a tutti gli Ordini Regolari, ed insieme supplicarle a continuare la stessa benefica protezione col difendere l’esistenza dei medesimi, le proprietà e i diritti, memori che i Regolari ebbero gran parte, onde non penetrassero o attecchissero in cotesti Regii Stati i funesti errori del secolo XVI, che menarono tanto scempio nelle limitrofe provincie.

I meriti di tanti santi e giusti religiosi lassù ne’ cieli, e le preghiere incessanti dei buoni qui in terra, fugheranno ogni novella tempesta, che potesse minacciare la Chiesa dell’Uomo- Dio. Che se mai stessero scritte nei decreti imperscrutabili di lui nuove tribolazioni, raccomandiamo vivamente tutti i nostri fratelli e figli alle EE. VV. Rev.me, onde siano ad essi rifugio e guida, acciò mai non divertano dei propri doveri, e dalle solenni promesse fatte a Dio e alla Chiesa.

Il Piemonte, la Sardegna, il Genovato e la Savoja sono tutte provincie eminentemente cattoliche: il Re ha nelle vene il sangue generoso di tanti suoi Beati e virtuosismi antenati, difensori gloriosi della Chiesa e protettori munificentissimi degli ordini religiosi; il buon popolo fedelissimo tien sempre rivolto ogni suo desiderio migliore alla Chiesa, madre affezionata e sofferente per tutti: e la fortezza apostolica delle EE. VV. Rev.me fa sperare a uomini di sentimento e di fede, quali ci pregiamo di essere, che Dio scrutatore delle menti e dei cuori, il quale vuol provati nel crogiuolo delle umiliazioni e dei patimenti i Re ed i popoli, i Pastori ed il gregge, la Chiesa ed i di lei ministri, gli ordini religiosi ed i professori dei consigli evangelici, non permetterà che periscano, anzi li vuol salvi, validi e più fedeli che mai, giacché sta nell’ordine della Divina Provvidenza che ad un secolo di patimenti, di lagrime e di rovine, succedano mai sempre secoli di conforto, di calma e di vera vita religiosa e sociale470.

Da segnalare il riferimento ai «funesti errori del secolo XVI», a dimostrazione di come anche fra il clero regolare la teoria tradizionalista della «genealogia dei mali» fosse ben diffusa.

470 ADM, Carte Ghilardi, Cartella 79, Carteggio contro la soppressione delle corporazioni religiose, Copia autentica d’indirizzo dei Superiori generali degli ordini Regolari agli Arcivescovi e Vescovi de’ Regii Stati Sardi, Roma 31 marzo 1855, recto e verso.

Sulla totalità dell’episcopato a favore del progetto del «milione», in ogni caso, non è possibile affermarlo. Invero, fra gli stessi vescovi subalpini erano presenti alcuni dubbi. In una lettera del 19 aprile destinata all’abate Roberti, il cui contenuto era da comunicare al vescovo Billet di Chambery, il cardinale Antonelli informava che, in una precedente lettera scritta dal religioso savoiardo, lo stesso Billet era scettico sul fatto che tutti i vescovi fossero favorevoli a questa battaglia così dura nei confronti del governo liberale cavouriano471. Nonostante questo, però, l’unanimità dell’episcopato subalpino era una condizione che veniva posta dalla Santa Sede al fine del sostegno all’operato della gran parte dell’episcopato del Regno di Sardegna472. Il cardinale, però, precisava che la condizione posta da Roma era da intendersi come la gran maggioranza dell’episcopato, a prescindere dai dubbi e dall’opposizione di una minoranza, e che i vescovi piemontesi avrebbero dovuto chiarire di fronte alle autorità del potere civile che la questione non si sarebbe più dovuta riproporre nel futuro473. Con tali parole, in particolare, si esprimeva il cardinale Antonelli:

Monsig. Arciv.o di Ciambery […] mi espone un qualche dubbio sulla condizione dell’unanime consenso dell’Episcopato richiesto dalla S. Sede tra quella, a cui essa vincolò il suo beneplacito intorno la divina offerta. Potrà Ella manifestare al degno Prelato che la richiesta unanimità deve intendersi nel senso di totalità morale; onde nel caso la grande maggiorità dei Vescovi di Terraferma e di Sardegna, malgrado il dissenso di qualcheduno. […]

Ella potrà far osservare al Prelato che nell’essersi espresso fra le altre condizioni che sia perentoriamente rigettato dal Governo l’infausto progetto relativo alle comunità religiose, s’intese appunto di esigere col termine perentoriamente che il progetto sia escluso per modo da non essere più riprodotto nel tutto successivo. Nell’atto poi di divenirsi per avventura alla effettuazione della divisata offerta, sarà opportuno che i Vescovi si studiino [sic. studino] di sempre meglio cautelare le cose con quegli ulteriori termini che loro sembrino atti all’intento474.

471 ADM, Carte Ghilardi, Cartella 79, Carteggio contro la soppressione delle corporazioni religiose, Copia di lettera diretta all’abate Roberti da comunicarsi all’arcivescovo di Chambery, Roma 19 aprile 1855, recto.

472 Ibid.

473 Ivi, recto e verso.

474 Ibid., le sottolineature sono nel testo

Anche il vescovo di Acqui, in una lettera indirizzata al vescovo e senatore Nazari di Calabiana, metteva in dubbio il fatto che la totalità del clero subalpino fosse a favore del progetto episcopale, a causa della ripartizione della somma che la Chiesa locale avrebbe dovuto versare allo Stato, ma, nonostante ciò, comunicava il suo appoggio all’operato episcopale, poiché, secondo il vescovo, avrebbe potuto addirittura porre un termine alla politica anticlericale del governo:

In vista di siffatti riflessi io mi trovo tra Scilla e Cariddi. Rispetto il parere altrui contrario al mio; ma mi pare che non siano spregievoli [sic. spregevoli] le ragioni addotte da me. Conchiudo adunque che, se il Governo interviene, e dà solide guarentiggie [sic. guarentigie] non solo di non più aggravare di pesi, e tanto meno d’incamerare i beni ecclesiastici, ma altresi [sic. altresì] di non più osare mozioni nel Parlamento a danno e pregiudizio della dottrina, ed ai diritti della Chiesa, io mi unisco alla maggioranza assoluta dell’episcopato sul progetto da presentarsi al Senato , sotto l’osservanza rigorosa delle condizioni apposte dal Sommo Pontefice475.

Le condizioni della Santa Sede a sostegno della proposta dei vescovi, per l’appunto, erano state esposte in una lettera del 4 aprile di Pio IX da indirizzare a monsignor Ghilardi tramite il già citato vescovo Billet:

Tale assenso per altro sarà vincolato alle seguenti condizioni, cioè che concorra nella divisata offerta la concordia di tutto l’Episcopato di cotesto Regno; che l’infausto progetto di legge su le Comunità Religiose sia perentoriamente rigettato per parte del Governo, che la prestazione del Clero debba rivestire il carattere di una misura meramente provvisoria, essendo a ritenersi che quando la condizione della pubblica finanza sia per consentirlo, il Reale Governo si darà la conveniente cura di rilevare la Chiesa dal gravoso carico ch’essa or generosamente s’impone per sovvenire alle bisognose circostanze dello Stato; in fine che l’Autorità Ecclesiastica, senza alcun’ingerenza del Governo, abbia ad occuparsi liberamente, e secondo il beneplacito di Sua Santità del modo di procacciare e ripartire la provvisoria prestazione sui redditi del patrimonio ecclesiastico476.

475 ADM, Carte Ghilardi, Cartella 79, Carteggio contro la soppressione delle corporazioni religiose, Lettera del vescovo d’Acqui al vescovo di Casale Monferrato, Acqui 18 aprile 1855, recto.

476 ADM, Carte Ghilardi, Cartella 79, Carteggio contro la soppressione delle corporazioni religiose, Lettera di Pio IX all’arcivescovo di Chambery da indirizzare a monsignor Ghilardi, Vaticano 4 aprile 1855, recto e verso.

Il sostegno della Santa Sede, per la verità, era già stato comunicato a Ghilardi due giorni prima da Luca Pacifici, il quale, però, avrebbe preferito che fossero stati innanzitutto i senatori del Regno a fare il primo passo nei confronti del clero subalpino, al fine di trovare una soluzione477.

Nel frattempo, in ogni caso, vari parroci del Regno continuarono a esporsi pubblicamente, come quello dell’Argentera e di Vernante sul finire di aprile478 e, addirittura, alcuni esponenti di dei municipi, come Ivrea, Mercenasco, Cuneo e Dogliani, che in precedenza avevano posto la loro firma a favore della legge sui conventi479.

Al Senato la discussione iniziò il 23 aprile, con i senatori Castagnetto, Billet, Collegno, La Tour e Brignole Sale a prendere la parola, argomentando i danni che, secondo i politici reazionari, la legge avrebbe causato alla società e alla Chiesa e in questo contesto si presentò la crisi del governo Cavour480. Già fra il 23 e il 24 aprile Cavour e Rattazzi erano stati resi edotti della proposta vescovile e non passò molto tempo che Nazari di Calabiana, il 27, lesse in aula la proposta episcopale del «milione»481, nel clima di entusiasmo che si respirava fra il clero subalpino, al punto che Ghilardi definì «memorabile» la seduta del Senato e definì quel giorno come un momento storico della Chiesa subalpina482. Il 28, dopo l’intervento del vescovo di Casale, Camillo Cavour rassegnò le sue dimissioni dall’incarico di presidente del consiglio483.

Il clima in cui tutto ciò si stava svolgendo era, però, caratterizzato da notevole tensione, al punto che a Torino si tenne una manifestazione di studenti universitari

477 ADM, Carte Ghilardi, Cartella 79, Carteggio contro la soppressione delle corporazioni religiose, Lettera di Luca Pacifici a monsignor Ghilardi, Roma 2 aprile 1855, recto.

478 «L’Armonia della religione colla civiltà», Dichiarazioni dei Parrochi Subalpini, n° 89, venerdì 20 aprile 1855.

479 «L’Armonia della religione colla civiltà», Ritrattazioni, n° 91, lunedì 23 aprile 1855.

480 Cfr. P. Gentile, L’ombra del re, cit., p. 125; R. Romeo, Cavour e il suo tempo, vol. III, cit., p. 129.

481 Ibid.

482 ADM, Carte Ghilardi, Cartella 79, Carteggio contro la soppressione delle corporazioni religiose, Memorabile seduta del 26 aprile in Senato. Proposta del vescovo di Casale a nome dell’episcopato, recto.

483 Cfr. P. Gentile, L’ombra del re, cit., p. 125

contro il clero cattolico, dove vennero anche bruciati alcuni fogli tradizionalisti484. Infatti, anche il contesto sociale degli universitari torinesi era sceso in campo per la battaglia politica sulla legge per la soppressione dei conventi, e non solo attraverso manifestazioni di piazza. Gli studenti, invero, schierati su posizioni anticlericali e con un risentimento profondo nei confronti del clero, inviarono una petizione nei confronti del sovrano, al fine di richiamarlo alla fedeltà ai principi del liberalismo costituzionale e a rigettare soluzioni dettate dai clericali. Si riporta in questa sede il testo integrale della petizione:

Maestà!

Al primo annunzio della proposizione fatta dall’Episcopato Piemontese, parve ad alcuni di scorgere in essa un [sic. un’] offesa ai principii, onde s’informa il nostro costituzionale reggimento, e la commozione universale fu al colmo, quando si diffuse essersi tale proposta accettata. La gravità del fatto diede luogo ad apprensioni e sospetto, se non che a francare gli animi da ogni tema ricorreva l’idea della vostra sperimentata lealtà ed affetto verso il popolo piemontese.

L’affetto, o Maestà, nei liberi paesi è il vincolo che annoda il principe ai cittadini, l’amor del Principe essendo la più sicura garantia [sic. garanzia] della libertà, e quello de’ cittadino il più valido sostegno del trono. Che se voi in cinque anni di regno col mantenere in difficili contingenze, intatte le costituzionali franchiggie [sic. franchigie] e promuovere il bene del paese, ad esso affezionato vi dimostraste, non fu egli nel corrispondervi tardo; poiché né un menomo disordine venne giammai a disturbare la pacifica armonia, né dal popolo fu mai preterita occasione, colla quale potesse darvi prova della sua gratitudine, come ne rendono testimonianza le tre recenti fosse dei vostri amati congiunti, bagnate ancora pel copioso e sincero pianto versato da un intero popolo.

In nome adunque di questa santa corrispondenza d’affetti, accogliate propizio il voto cui eletta parte della gioventù piemontese ai vostri piedi umilia.

Liberate lo Stato dalla influenza clericale.

Secondate, per riguardo alla legge intorno alla soppressione dei conventi, la volontà della nazione, espressavi per mezzo di una immensa maggioranza di voti, e da’ suoi rappresentanti.

Dateci al governo rettori saggi e sinceramente amanti della Costituzione. Nelle vostre mani, o Sire, è la felicità o la morte del vostro popolo. Porgetegli voi una parola di conforto, quella parola che dissipi ogni timore, ed il vostro nome, benedetto dall’amare dei cittadini, sarà per essi l’arma più sicura dell’avvenire485

484 Cfr. R. Romeo, Cavour e il suo tempo, vol. III, cit., p. 129.

485 ADM, Carte Ghilardi, Cartella 79, Carteggio contro la soppressione delle corporazioni religiose, Petizione al Re degli studenti dell’Università di Torino nel giorno 28 e 29 aprile 1855, recto

divisore 4

Gli ostruzionismi finali, gli strascichi con le istituzioni e la sconfitta politica dei tradizionalisti

La battuta d’arresto del processo anticlericale sancita dalle dimissioni del conte poteva segnare un nuovo corso politico dello Stato subalpino, in cui il clero avrebbe riacquistato un ruolo pubblico di rilievo e i rapporti con la Santa Sede sarebbero potuti proseguire su binari decisamente più distesi ed equilibrati. Nell’udienza fra Ghilardi e Vittorio Emanuele successiva alla caduta del governo il vescovo monregalese rilevava la fermezza del sovrano nel non permettere l’approvazione della legge, sperando che questo evento potesse essere l’inizio di un proficuo dialogo al fine di giungere a un concordato con la Santa Sede486. Il vescovo tradizionalista, infatti, sperava che dietro al possibile nuovo corso politico si sarebbe potuto compattare un variegato blocco sociale composto dall’integralità del clero, dalla maggioranza della nobiltà e dalle masse popolari subalpine487.

Per contro, in una lettera del 29 aprile, Massimo d’Azeglio implorava il sovrano sabaudo di non cedere di fronte alla mobilitazione della galassia tradizionalista488. Resta in ogni caso il fatto che Vittorio Emanuele rimase scettico sul risolvere la crisi governativa con un esecutivo composto da uomini della destra tradizionalista489, anche perché una soluzione di questo tipo avrebbe comportato la rinuncia alla politica espansionistica sabauda imperniata sullo sfruttare il moto nazionale italiano490. L’incarico di formare un nuovo governo venne affidato il 25 aprile al generale Giacomo Durando, ministro della Guerra, dopo aver sostituito La Marmora partito per la guerra in Crimea491. Il generale poteva contare sul sostegno del ministro della Real Casa Giovanni Nigra e sul senatore e medico del re Alessandro Riberi492. Nel frattempo, però, la fazione reazionaria si adoperava in

486 Cfr. P. Gentile, L’ombra del re, cit., p. 125.

487 Ivi, p. 126.

488 Ibid.; P. Pirri, Pio IX e Vittorio Emanuele II, cit., vol. I, p. 196, lettera di Massimo d’Azeglio al re, 29 aprile 1855.

489 Cfr. P. Gentile, L’ombra del re, cit., p. 126.

490 Cfr. A. Viarengo, Vittorio Emanuele II, cit., p. 191.

491 Cfr. P. Gentile, L’ombra del re, cit., p. 127; R. Romeo, Cavour e il suo tempo, vol. II, cit., p. 129; A. Viarengo, Vittorio Emanuele II, cit., p. 171.

492 Cfr. P. Gentile, L’ombra del re, cit., p. 127.

modo da rendere fattibile un governo con al vertice Thaon di Revel, il quale, però, aveva votato contro all’alleanza franco-inglese circa i fatti di Crimea e, tutto questo, rendeva difficile una sua legittimazione internazionale di fronte alle due potenze alleate sempre più ingombranti493. La galassia reazionaria, infatti, aveva contrastato il governo cavouriano in maniera totale, criticando la politica economica e finanziaria494, ma anche la politica anti-russa e filo-inglese del governo liberale, con la partecipazione del Regno di Sardegna all’intervento militare in Crimea495.

Inoltre, Durando quando tentò di trovare una mediazione coi vescovi si trovò di fronte a un muro, a causa della posizione episcopale di ottenere il completo ritiro della legge, ma fu proprio Vittorio Emanuele ad assumersi la responsabilità di chiedere la modifica della proposta a monsignor Ghilardi496. Nonostante ciò, era solo il 22 aprile quando il vescovo della diocesi monregalese scriveva al cardinale Antonelli che il re era favorevole alla proposta che il giorno 26 monsignor Nazari di Calabiana avrebbe poi letto in aula del Senato:

Dopo ciò l’anziano tra i Vescovi Senatori sorgerebbe a leggere la profferta dell’Episcopato ed il Senato prenderebbe deliberazione in proposito, la quale deliberazione, in seguito alle fatte esplorazioni ed a’ buoni uffizii del Re, sarebbe di accettare la profferta con elogio alla

S. Sede ed all’Episcopato, e con non poca confusione del Ministero497.

L’appoggio del sovrano alla proposta dell’episcopato, così come era pensata originariamente, era riportato anche dall’abate Roberti al cardinale Antonelli il 24 aprile498. Vittorio Emanuele si era immesso in una situazione di non facile gestione per la corona e, dopo aver accettato da parte del conte Cavour il consiglio di proporre ai vescovi l’emendamento del senatore Federico Colla, che prevedeva il

493 Ibid.

494 «L’Armonia della religione colla civiltà», Le petizioni, le imposte, l’opinione pubblica, n° 59, mercoledì 14 marzo 1855.

495 «L’Armonia della religione colla civiltà», Il Turco vendica la legge Rattazzi, n° 52, martedì 6 marzo 1855; «L’Armonia della religione colla civiltà», Se i Turchi fossero frati!, n° 57, lunedì 12 marzo 1855.

496 Cfr. A. Viarengo, Vittorio Emanuele II, cit., 171.

497 Cfr. P. Pirri, Pio IX e Vittorio Emanuele II dal loro carteggio privato, vol. I, cit., lettera di monsignor Ghilardi al cardinal Antonelli, Torino 22 aprile 1855.

498 Cfr. P. Pirri, Pio IX e Vittorio Emanuele II dal loro carteggio privato, vol. I, cit., lettera dell’abate Roberti al cardinal Antonelli, Torino 24 aprile 1855.

rifiuto della soppressione dei conventi, ma ammetteva una quota di concorso nella forma di un’imposizione straordinaria sui beni ecclesiastici, invitava Ghilardi, Nazari di Calabiana e Billet a prendere concerti con il generale Durando per eventuali accordi circa l’offerta del conte499. Le posizioni dei vescovi, con Ghilardi in testa, furono però irremovibili sulla loro proposta e l’incontro fra il militare incaricato di formare il nuovo governo e i vescovi Ghilardi e Calabiana fu utile al solo scopo di consolidare le due linee politiche che non riuscivano a trovare un’intesa500. Inoltre, anche le interlocuzioni fra Billet e lo stesso Revel con l’ambasciatore francese a Torino Guiche501 non cambiarono lo stato delle cose e la possibilità di un governo conservatore che potesse andare in armonia con la Santa Sede venne liquidata e il 2 maggio Camillo Cavour, in un incontro serale con Vittorio Emanuele, prospettò al sovrano che un governo Durando avrebbe comunque compromesso la politica espansionistica dello Stato sabaudo502. Dopo che il 3 Vittorio Emanuele ebbe la conferma che Revel aveva effettivamente votato contrariamente al trattato per la guerra in Crimea non poté fare altro che richiamare nuovamente Cavour alla presidenza del Consiglio503. L’incarico a Durando, in ogni caso, non avrebbe potuto essere comunque una piena vittoria della componente politica tradizionalistica, poiché si trattava di una scelta regia che sarebbe dovuta rimanere nel solco del processo liberale504.

Il gruppo dell’«Armonia» diede voce alla rabbia che covava nella galassia reazionaria e con queste parole concludeva l’editoriale del 4 maggio:

Ad ogni modo si ha fin d’ora tanto da giudicare il Clero e chi gli è nemico, la Santa Sede e chi la combatte. Dalla parte del Clero abbiamo un’offerta, da quella della Santa Sede una straordinaria concessione. I nemici non sono paghi di ricevere dal Clero una porzione de’ suoi beni, dalla Chiesa i suoi favori. Han giurato un odio mortale al Cattolicesimo, ed attentano ora alle sue proprietà per attentare domani alla sua vita505.

499 Cfr. P. Gentile, L’ombra del re, cit., p. 128.

500 Ivi, p. 129.

501 Guiche fu ambasciatore francese a Torino fra il 1853 e il 1857.

502 Cfr. P. Gentile, L’ombra del re, cit., p. 129.

503 Cfr. A. Viarengo, Vittorio Emanuele II, cit., 173.

504 Cfr. R. Romeo, Cavour e il suo tempo, vol. III, cit., p. 131.

505 «L’Armonia della religione colla civiltà», Il Ministero ritorna!, n° 101, venerdì 4 maggio 1855.

Anche il gruppo del «Campanone» non si tirò indietro nel denunciare la situazione che si era venuta a creare e denunciava il potere che all’interno delle dinamiche governative aveva raggiunto Cavour:

Il conte Cavour dichiarava alla sua volta, che dopo la reiezione della proposta dell’Episcopato, l’antico ministero ritornava al potere, e domandava al Senato di riprendere al più presto la discussione del progetto di legge per la soppressione dei conventi.

Al che aderiva il Senato fissando questa discussione per sabbato prossimo.

Avendo i signori Cavour e Rattazzi ripresi i portafogli, il quarto potere si scioglie da per se stesso. Vigliani tornerà a Nizza, Villamarina a Parigi, Durando al suo ministero della guerra, perché ora che il conte Cavour è risalito in soglio, non vi è altro potere possibile, che il suo506.

Alla frustrazione della stampa clericale, per contro, rispondevano i toni trionfalistici dei liberali, come il trisettimanale liberal-moderato «Il Fischietto», che ironizzava sulla situazione in cui si trovavano ora i tradizionalisti507. Il «Fischietto», per l’appunto, era un foglio satirico liberal-moderato fondato il 2 dicembre 1848 dal tipografo Giuseppe Cassone ed era sostenitore della linea politica cavouriana508. La situazione che ormai si stava arrivando a delineare era, fra l’altro, quella di una stampa reazionaria che assumeva sempre più un posizionamento politico che può essere definito “anti-sistema”, per via dei rimandi poco positivi su quello che era il ruolo della corona sabauda di fronte alla politica anticlericale del governo, ma anche a causa dei riferimenti positivi che venivano scritti circa il Regno delle Due Sicilie e lo Stato Pontificio e della critica alle politiche bellicistiche del governo cavouriano.

La legge sui conventi riprese, pertanto, il suo regolare iter legislativo e il 22 maggio, seppur con alcune modifiche, la legge fu approvata al Senato con cinquantatré voti a favore e quarantadue contrari509, dopo di che, tornata alla Camera, per via della sua emendazione, fu approvata il 28 maggio e ricevette la sanzione reale il giorno

506 «Il Campanone», Il quarto potere dello Stato, n° 101, venerdì 4 maggio 1855.

507 «Il Fischietto», La Patria è moderata!, num. 55, martedì 8 maggio 1855.

508 Cfr. F. Della Peruta, Il giornalismo dal 1847 all’Unita, cit., p. 501.

509 Cfr. P. Gentile, L’ombra del re, cit., p. 130; «L’Armonia della religione colla civiltà», Votazione della legge, n° 116, mercoledì 23 maggio 1855.

seguente510. L’«Armonia», dando notizia dell’esito parlamentare, elogiava la battaglia parlamentare che Solaro della Margherita aveva condotto da posizioni minoritarie contro il fronte liberale:

Oh lode eterna al deputato della Margarita! Sua mercé, noi abbiamo udito la parola cattolica risuonare limpida e franca nella Camera dei Deputati, prima che si portasse nell’urna il voto fatale. Tutti i cattolici fan plauso alla sua eloquenza ed al suo coraggio, e la patria gli saprà grado d’aver provato, che in tempi sì tristi non tutti piegarono il collo al più vergognoso potere, quello del vizio e dell’empietà511.

Di conseguenza, con l’esito favorevole della legge per la soppressione degli ordini religiosi il percorso liberale e anticlericale dello Stato sabaudo ebbe il suo seguito512, ma non per questo la Santa Sede fu inerte, poiché Pio IX, attraverso l’enciclica Cum saepe, scomunicò coloro che avevano contribuito all’esito del 28 maggio, compresi il sovrano e il presidente del Consiglio513, che si era impegnato in una politica che ormai da tempo lo poneva in evidente contrasto con la Chiesa cattolica514 e con l’abolizione delle corporazioni religiose aveva raggiunto il suo obiettivo di unire il liberalismo piemontese515.

L’opposizione del clero subalpino al processo anticlericale che era in atto e la sua resistenza nei confronti della legge Rattazzi non smise, comunque, di sforzarsi di trovare delle contromisure nei confronti dell’operato del governo liberale. Il vescovo di Genova, invero, in una lettera dei primi di giugno destinata a Ghilardi, riteneva che la linea da adottare di fronte alle soppressione delle varie congregazioni religiose soggette fosse quella che queste comunità dichiarassero di cedere solo alla violenza del potere civile, essendo quelle disposizioni contrarie alla Chiesa:

510 Cfr. P. Gentile, L’ombra del re, cit., p. 130

511 «L’Armonia della religione colla civiltà», Il progetto Des Ambrois nella Camera dei Deputati, n° 121, mercoledì 30 maggio 1855.

512 Cfr. G. Turco, Il problema politico dei cattolici fra Italia e Germania. Un profilo essenziale, Solfanelli, Chieti 2020, p. 30.

513 Cfr. G. Pécout, Il lungo Risorgimento, cit., p. 154; P. Gentile, L’ombra del re, cit., p. 130; G. Oliva, I Savoia. Novecento anni di una dinastia, Mondadori, Milano 2019, p. 321; A. Viarengo, Cavour, cit., p. 301; A. Viarengo, Vittorio Emanuele II, cit., p. 173;

514 Cfr. F. Cardini, Napoleone III, Sellerio, Palermo 2010, p. 119.

515 Cfr. C. Pinto, Il brigante e il generale. La guerra di Carmine Crocco e Emilio Pallavicini di Priola, Laterza, Bari-Roma 2022, p. 33.

Ai vari dubbi dalla S. V. Ill.ma e Rev.ma propostimi circa il modo e i termini dell’opposizione che debba farsi dalle Comunità religiose in occasione di attentato alla Clausura, di occupazione di beni, di domanda di registri, documenti ecc., a mio avviso l’unica risposta che si possa dare, almeno al presente dì è questa che, cioè, le sudd. Comunità non cedano che alla forza morale, e cedendovi dichiarino per mezzo dei loro capi di subire una violenza; essendo loro vietato di porgersi a simili atti dalle loro regole non meno che dalle leggi della Chiesa516.

Inoltre, Charvaz dichiarava al vescovo monregalese che era necessario, in ogni caso, che fossero i vescovi e i superiori degli ordini regolari che avessero l’autorità e la responsabilità di farsi i primi interpreti dell’opposizione clericale agli effetti della legge517. Ghilardi, a cui si era rivolto il vescovo di Genova ed ex precettore del sovrano sabaudo, essendo stato una delle figure che più fra l’episcopato subalpino si era occupato della questione e che nelle sue trattative con il sovrano era sempre rimasto fedele ai suoi principi demaistriani, fu una figura a cui varie personalità ecclesiastiche si rivolsero dopo che la legge passò, al fine di chiedere suggerimenti su come operare. Ad esempio il vicario generale dell’arcidiocesi di Torino Carlo Ravizza già i primi di giugno attendeva quesiti da Ghilardi su come operare di conseguenza518. Inoltre, è da sottolineare che l’animo dell’episcopato, a seguito della sconfitta politica, era tutt’altro che sommesso, come riportò il vescovo di Saluzzo519, il quale sottolineava, implicitamente, che anche le stesse autorità incaricate dell’esecuzione della legge correvano il rischio di incorrere nelle censure ecclesiastiche:

Riguardo alle Autorità e Subalterni, che saranno nella posizione di prender parte alla esecuzione della nota legge, sono essi abbastanza istrutti [sic. istruiti] dai discorsi fattimi nella Camera dei Deputati e nel Senato, non che nei pubblici fogli e scritti, e

516 ADM, Carte Ghilardi, Cartella 79, Carteggio contro la soppressione delle corporazioni religiose, Lettera del vescovo di Genova a monsignor Ghilardi, Genova 8 giugno 1855, recto.

517 Ivi, recto e verso.

518 ADM, Carte Ghilardi, Cartella 79, Carteggio contro la soppressione delle corporazioni religiose, Lettera del vicario generale Carlo Ravizza a monsignor Ghilardi, Torino 5 giugno 1855, recto.

519 ADM, Carte Ghilardi, Cartella 79, Carteggio contro la soppressione delle corporazioni religiose, Lettera del vescovo di Saluzzo a monsignor Ghilardi, Saluzzo 22 giugno 1855, recto

particolarmente del Monitorio del Papa intorno alle leggi della Chiesa, ed ai doveri di un Cattolico di osservarle, senz’aver bisogno di ulteriori ammonimenti520.

Nel 1855 la galassia reazionaria, che negli anni precedenti, anche in momenti di forte scontro fra la classe dirigente liberal-sabauda e la Chiesa cattolica, non mancava di comunicare la sua fedeltà alle istituzioni del Regno, ora non mostrava ritrosie ad attaccare la realtà piemontese e subalpina nel suo complesso, ormai sempre più legata politicamente e finanziariamente521 all’Inghilterra anglicana. L’«Armonia», infatti, in un editoriale dei primi di giugno, prendendo spunto da quello che il politico britannico e liberale Gladstone aveva scritto sul Regno delle Due Sicilie, che già nel 1851 aveva descritto retoricamente e con non poche esagerazioni le condizioni di vita delle carceri borboniche522, prendeva pubblicamente le difese dello Stato meridionale e della dinastia borbonica e attaccava duramente, per contro, la politica ecclesiastica del Piemonte e la sua difesa per parte di Gladstone:

Vuole il sig. Gladstone […] levar la voce contro la violazione della libertà individuale? E vedrà tra noi usata violenza alle coscienze, data la scalata al monastero delle monache di S. Croce, violato di nottetempo il convento delle Cappuccine. Gli preme il diritto di proprietà? E per confessione de’ nostri medesimi magistrati, del fiore de’ nostri legali, saprà, che si manomette e si conculca in Piemonte, senza che v’abbia mezzo di trovare giustizia. […]

Ma vogliamo alludere, ad esempio, al sequestro dei beni del Seminario di Torino, che nessuna legge, nessun voto del Parlamento, nessuna sentenza di Magistrato venne ancora a giustificare. Vogliamo alludere a tanti atti simili, all’ingiustizia delle imposte proclamata nella Camera dei Deputati; ai conventi non ancora restituiti a coloro, cui, in forza della legge, si debbono restituire; alle monache Cappuccine agglomerate ancora in Carignano

520 Ivi, verso.

521 Cfr. M. Croce, Storia dell’Italia unita. Generazione e corruzione di uno Stato nazionale, Itaca, Castel Bolognese 2019, p. 15n; A. Campi, Il fantasma della nazione. Per una critica del sovranismo, Marsilio, Venezia 2023, pp. 34-35.

522 Cfr. E. Di Rienzo, Il Regno delle Due Sicilie e le potenze europee 1830-1861, Rubbettino, Soveria Mannelli 2012, p. 68; D. Marino, L’annessione. Violenza politica nell’Italia postunitaria, Gog, Roma 2017, p. 60.

con monache d’un Ordine diverso, mentre la legge lo divieta; ed altri abusi di simil genere523.

Certo, pare evidente comunque che oramai i rapporti fra il clero locale e l’autorità pubblica sabauda fossero complessivamente compromessi, se è vero, come scrisse un funzionario pubblico dell’ufficio di insinuazione a Ghilardi, che il 12 luglio 1855 un agente dell’ufficio suddetto non potette entrare nei vari conventi della diocesi di Mondovì per compilare l’inventario necessario alla descrizione della varie congregazioni da sopprimere e, di conseguenza, veniva chiesto il permesso di poter entrare al vescovo:

Questa volta prima di fare la medesima disposizione, io mi rivolgo alla S. E. Ill.ma e Rev.ma facendo appello a quei sentimenti di prudenza e di moderazione che cotanto la distinguono, e pregandola che degnar si voglia di fare le opportune prescrizioni presso le comunità religiose in margine indicate, anche non sia più frapposto ostacolo all’adempimento della legge, e di rilasciare a me ed al mio delegato un [sic. un’] autorizzazione d’ingresso ne conventi di d.te Comunità524.

In ogni caso, al di là di questi ostruzionismi all’esecuzione della legge da parte del clero locale, non tardarono a giungere le indicazioni su come muoversi in merito alla legge sui conventi da parte della Santa Sede. Infatti, fu il cardinal Ferretti, allora a capo della Sacra Penitenzieria, che nella seconda metà di luglio inviò a monsignor Ghilardi le indicazioni del papa su quali fossero le misure da adottare, a causa di una legge che veniva accusata di contenere veri e propri «principii anticattolici»525. Queste indicazioni, che riportiamo integralmente nelle righe seguenti, erano state formulate in dodici punti e, fra le altre cose, prescrivevano che i religiosi coinvolti nell’esecuzione della legge dovessero protestare di cedere alla violenza, che i regolari tentassero comunque un’azione giudiziaria presso i tribunali al fine

523 «L’Armonia della religione colla civiltà», Napoli e Piemonte, n° 124, sabato 2 giugno 1855. Il corsivo è nel testo.

524 ADM, Carte Ghilardi, Cartella 79, Carteggio contro la soppressione delle corporazioni religiose, Lettera dell’agente Zuppi a monsignor Ghilardi, Mondovì 13 luglio 1855, recto.

525 ADM, Carte Ghilardi, Cartella 80, Copie di lettere al cardinal Ferretti 1855-1856, Lettera del cardinal Ferretti, come istruzione dalla Sacra Penitenzieria a monsignor Ghilardi, Roma 20 luglio 1855, prima pagina.

di sopprimere il decreto e che gli impiegati coinvolti nell’esecuzione della legge dovessero comunque fare ricorso alla Sacra Penitenzieria:

  1. Prima di trattare de’ vari articoli, ed oggetti, cui mirano le novità decretate è necessario ritenere per base, che le Chiese Monasteri, Conventi, non che le proprietà ecclesiastiche non debbano custodirsi more castrorum. Se non può in conseguenza opporsi una materiale resistenza alla forza, può nondimeno a questa opporsi la forza mentale, e possono tutelarsi le indicate cose con analoghe protette, secondo in simili congiunture preferirono i SS. Canoni con tenersi in modo veramente passivo con tenersi in modo meramente passivo, e cedendosi soltanto alla imminente coazione. Posto ciò non vi è bisogno di autorizzare V. S. a concedere varia licenza sulla clausura, ed immunità, le quali dagli esecutori della legge si prenderebbero forte in senso di favore e di connivenza alla esecuzione della medesima; basterà solo che i Regolari dell’uno e dell’altro sesso, e tutti i colpiti dalla legge da lei opportunamente istruiti protestino di cedere alla forza tenendosi passivamente senza prendere alcuna parte attiva.
  2. Ciò premesso, e per cominciare dai Regolari: quegli ordini dell’uno, e dell’altro sesso, i quali secondo le leggi vigenti possono sperare l’annullamento del Decreto di soppressione, sono tenuti sostenere l’azione innanzi i tribunali, della quale obbligazione dev’ella avvertire non solo i Superiori minori, ma anche i maggiori.
  3. Qualora avvenga la concentrazione di Comunità Religiose, non potranno le persone Regolari dell’uno e dell’altro sesso cedere alla semplice intimazione. Per evitare i ludibri delle prezzolate plebaje, cui forse potrebbero essere quelle esposte, se ne avvenisse il trasporto in modo clamoroso ed in mezzo alla forza armata, il S. Padre permetta, che non si aspetti il materiale intervento di essa, ma che possano recarsi agli altri conventi destinati quando imminente sia la coazione, ed emettano la protesta detta di sopra. Se peraltro sarà a lei permesso di procurare, che le persone Regolari in queste dolorose circostanze siano tutelate nelle loro persone dovrà ella modellare i suoi passi in tal guisa, che non possa mai nascere il sospetto di qualunque di lei cooperazione a quelle sacrileghe intraprese. Sarà poi tutta cura di lei di avvertire i superiori locali di ambedue i sessi di usare verso gl’individui concentrati le possibili condiscendenze.
  4. Essendo per ora allontanato il pericolo delle soppressioni vengono sospese le provvidenze verso i Regolari sugli indulti di secolarizzazione, di possedere e di testare, che rimangono riservate a questa Sacra Penitenzieria. In caso poi di particolari circostanze, in cui o tutti gli individui di un convento, o monastero, ovvero alcuni di essi non potessero per giuste cause portarsi a dimorare nel luogo loro assegnato, dovranno essi ricorrere a questa S. Penitenzieria con la commendatizia di lei.
  5. Per il medesimo motivo della differita estinzione di corpi morali è più remoto il pericolo, che vachino le parrochie [sic. parrocchie] a quelle unite. tuttavia [sic. Tuttavia] potrebbe ciò verificarsi nel caso della concentrazione de’ Regolari. In tale evenienza dovrà ella sostenere la conservazione della Cura [sic. Curia], di cui la legge non ha sancito la soppressione, e per comodo, a vantaggio de’ fedeli procurare che tali chiese rimangano aperte al pubblico culto, specialmente se vi siano legati Pii, e di messe, i quali mentre ridondano in onore del Santuario, ed a commodo [sic. comodo] de’ fedeli potrebbero forse essere ancora difesi dagli eredi, e discendenti de’ fondatori, siccome in altri luoghi è avvenuto. Qualora la cura non potesse esercitarsi dal Parroco Regolare concentrato altrove, ella deputerà un Economo Curato Temporaneo.
  6. Intorno agli inventarj ed atti di possesso che vorranno esercitare i ministeri del Governo sulle proprietà, libri, ed altre simili cose, non potranno tanto gli individui de’ corpi morali, quanto i Rettori de’ Beneficj, Patroni e possessori de’ fondi ecclesiastici fare alcun atto, che porti una cooperazione attiva: ma dovranno tenersi passivamente, protestando di cedere alla forza. Non potranno in conseguenza eglino prestare giuramento alcuno, o intero venire ai contraddittori prescritti dalla legge sancita per la fissazione delle rendite, erediti ecc : o rimetere libri, rendiconti, documenti, e fare altri simboli atti, co’ quali riconoscerebbero la illegittima autorità. quanto [sic. Quanto] poi ai capi particolare relativi ai Beni mobili, ed immobili di loro rispettiva spettanza, che esigessero particolari provvidenze, o dichiarazioni, ella ricorrerà ne’ singoli capi alla S. Penitenzieria.
  7. Sarà egualmente lecito a lei per isgravio degli amministratori di rivedere ed approvare, prima che avvenga lo spoglio, quei libri, e rendiconti che l’ordinario è solito rivedere ed approvare, servendosi ella in ciò del suo diritto. Lo stesso dicasi de’ Superiori Regolari per le Comunità, ed individui loro soggetti. Non potrebbe al contrario mai farsi quest’atto sia da lei, sia da Superiori Regolari dopo seguito lo spoglio, se ciò fosse a richiesta de’ Ministri del Governo senza favorire apertamente le operazioni di lui.
  8. Previe le opportune proteste sarà lecito percepire dalla cosa della Cassa Ecclesiastica le Pensioni, ed Assegni, come parte delle rendite in maggior quantità dovute sia per il proprio sostentamento, sia per la sfera di culto, e mantenimento de’ fabbricati a quegli individui, e corpi morali che hanno sofferto lo spoglio di Beni, non che a quelli//che godevano compensi, ed assegni attribuiti prima della legge testé pubblicata. Non sarà poi lecito percepire gli aumenti, che venissero fatti per nuova disposizione del Governo, in esecuzione della legge, nel qual caso la protesta non salverebbe dal riconoscere l’illegittima autorità, e dal consentire allo spoglio.
  9. Per evitare maggiori mali, e non potendosi resistere alla forza potrà pagarsi il contributo, ma con protesta, e quando imminente sia la forza oattiva.
  10. Passando dalle Persone Ecclesiastiche ai Beni: sa un buon Cattolico, e ben conosciuto voglia comprare con animo di restituire a suo tempo alla Chiesa i fondi comprati, i Vescovi sono autorizzati per i casi più urgenti a provvedervi colle condizioni seguenti cioè 1°= di conservare, e migliorare il fondo acquistato; 2°= di adempire i legati Pii, che gravassero il medesimo, e di sovvenire e beneficare secondo le loro forze quelle persone o Chiese, alle quali i rispettivi Beni appartenevano specialmente se le rendite eccedessero in proporzione la somma sborsata. Queste potrebbero ervandio cedere a favore del compratore in diminuzione del prezzo pagato quante volte voglia esserne rimborsato. 3°= potrà [sic. Potrà] obbligarsi di restituire a suo tempo il fondo alla Chiesa. 4°= Dovrà estendere anche agli eredi superiori l’osservanza di queste condizioni. Qualora poi si trattasse di vendita di Chiese, e di locali religiosi, che fossero in pericolo di venire in mano degli acattolici, potrà V. S. egualmente permetterne la compra con le suddette condizioni, ancorché non vi sia la promessa esplicita di restituirli alla Chiesa, ma la promessa generica di stare a quanto sarà per comandare la Chiesa. In questi casi per altro dovrà ella procurare, che prudentemente sia allontanato lo scandalo de’ fedeli, manifestandosi cioè le buone intenzioni dell’acquirente, ed il permesso della S. Sede. Ad eccezione degli indicati casi in tutti gli altri che ammettono dilazione dovranno rivolgersi alla S. Penitenzieria. Molto più dovranno alla medesima S. Penitenzieria ricorrere per provvedere alla loro coscienza tutti quelli che avessero fatti gli acquisti senza il permesso della Chiesa.
  11. Riguardo agli impiegati ed esecutori della legge dovrà ciascuno di essi fare ricorso alla S. Penitenzieria, ed ella in pendenza dei ricorsi è avvertita che quelli, che si trovassero antecedentemente nell’impiego, e perciò fossero accidentalmente nella necessità di cooperare come subalterno, e remotamente all’esecuzione della legge, pendente il ricorso, non siano inquietati nell’esercizio del loro Officio.
  12. Intorno all’amministrazione de’ Sacramenti ai moribondi, che si trovino aver partecipato alla nota legge, ed intorno alla successiva Sepoltura Ecclesiastica dei medesimi, dovrà ella regolarsi secondo le regole del Gius. Divino, e del Gius. Ecclesiastico ricorrendo ne’ dubbi che insorgano alle spiegazioni delle stesse regole che trovansi presso i dottori approvati, siccome già trovasi communicato nella circolare di questa S. Penitenzieria in data dì 15 novembre 1851526.

La prudenza che emerge da queste righe, comunque, secondo il cardinale, non doveva essere confusa come una rinunzia da parte della Santa Sede alla lotta dell’anticlericalismo dello Stato sabaudo e, anzi, dalla Santa Sede si raccomandava al vescovo della diocesi monregalese di non far venire meno il suo zelo nei confronti delle istituzioni subalpine e nel difendere i diritti ecclesiastici:

Inoltre nelle attuali circostanze deplorabili religiose di codesto Cattolico Regno la Santità sua raccomanda a V. S. con tutto il calore di raddoppiare il suo zelo, e la sua pastorale vigilanza al fine di preservare il suo gregge dalle massime perverse, che ampiamente si diffondono e che nel dare ella gli opportuni consigli, e licenze a forma della presente istruzione usi di quelle maggiori cautele, che potrà, onde, siccome già dissi in principio allontanare ogni ombra di connivenza di lei alle novità che saranno per praticarsi: ed anzi nei singoli capi faccia uso del suo zelo per sostenere, e difendere gli inviolabili diritti della Chiesa527.

Lo zelo del clero subalpino nei confronti delle autorità sabaude non venne meno infatti. Sul finire del novembre monsignor Charvaz comunicava, invero, a Ghilardi che alcuni impiegati governativi coinvolti nell’esecuzione della legge sui conventi avessero fatto domanda di matrimonio senza, però, che fossero disponibili a ritrattare le loro posizioni e la loro condotta528. Il livello alto dello scontro fra queste due realtà continuò, comunque, anche successivamente e non solo nel 1855. Gli strascichi legati alla questione della soppressione dei conventi toccarono l’attenzione del governo sabaudo, e in particolare di Rattazzi, che ne era stato il primo firmatario, anche l’anno successivo. Rattazzi infatti stilò una circolare del 9 giugno 1856 dove si accusava pubblicamente la condotta del clero in seguito ai fatti relativi alla legge sui conventi. Rattazzi biasimava il fatto che vari parroci si rifiutassero di far intonare canti in occasione dei festeggiamenti per l’anniversario dello Statuto o che il clero continuasse a chiedere ritrattazioni a quegl’impiegati

526 Ivi, dalla prima alla sesta pagina. Le sottolineature sono nel testo.

527 Ivi, dalla sesta alla settima e ultima pagina.

528 ADM, Carte Ghilardi, Cartella 79, Carteggio contro la soppressione delle corporazioni religiose, Lettera del vescovo di Genova a monsignor Ghilardi, Genova 25 novembre 1855.

governativi che fossero coinvolti nell’esecuzione della legge, al punto che il ministro degli Interni accusava il clero subalpino di turbare la tranquillità delle famiglie e l’ordine sociale:

Il suo contegno ostile ora da principio individuale ed isolato, sicchè doveva bensì deplorarsi dai sinceri amici della religione; ma coi lumi, ond’ è ricca la civiltà presente, poteva senza pericolo lasciarli in non curanza, tanto più che tale contegno era disapprovato dalla parte più assennata, la quale ben sa come primo apostolato della religione sia quello di predicare colla parola e coll’esempio il rispetto e la sommessione alle leggi. Ma oggi quegli atti di avversione e di ostilità dapprima singolari incominciano ad assumere tale un carattere sistematico, unito e solitario, che riesce affatto intollerabile coll’autonomia e coi dovuti del potere civile. Le feste Pasquali e quelle dello Statuto hanno principalmente l’occasione a questi nuovi atti di ostilità.

E invero, le relazioni che da varie parti dello Stato pervengono al governo, rivelano tali fatti, a cui l’autorità non può e non deve più rimanere indifferente.

Ora è il rifiuto del battesimo e degli atti, che sono il fondamento e la prova dello stato civile della persona, ora è il rifiuto della sepoltura ecclesiastica. Al tribunale della penitenza s’inquietano le coscienze, e si fanno accostamenti colla qualità e coi doveri delle persone che vi si accostano.

Non è la pace delle famiglie rispettata, né si rifugge dall’usufruttuare perfino le domestiche sventure. Coloro che presero parte all’esecuzione della legge, sono additati al letto di morte, e in quei supremi istanti, in cui la morte dell’uomo vacilla, si domandano e s’impongono ritrattazioni manifestamente ingiuriose al governo. […]

Il governo riprova il sacerdote, il quale trascendendo i limiti della propria missione condanna e confura [sic. confuta] le leggi, attenta ai diritti del potere, perturba le famiglie o l’ordine sociale; ma egli a sua volta non vuole mai che s’invada il campo puramente dommatico [sic. dogmatico] e spirituale529.

In risposta a tale circolare formulata da Rattazzi non mancò un parere negativo da parte di Ghilardi che definì «incendiaria tale circolare»:

529 ADM, Carte Ghilardi, Cartella 79, Carteggio contro la soppressione delle corporazioni religiose, Circolare del ministero degli Interni contro il clero piemontese relativa all’esecuzione della legge 29 maggio 1855, Torino 9 giugno 1856, dalla prima alla terza pagina.

La Circolare del Ministro Rattazzi in data del 9 corrente giugno […] è veramente incendiaria, in quando che denunciando essa il clero in faccia al pubblico quale nemico delle leggi dello Stato, e delle libere istituzioni, viene aizzando i nostri contro il medesimo; e di quali funeste conseguenze possa esser cagione non è così facile a prevederlo. […]

Il danno maggiore poi che viene recando la presente circolare, si è di stabilire, quasi d’ufficio, il principio fatale che le leggi arbitrarie del potere civile debbano avere il supravvento su quelle della Chiesa530.

Ulteriori indicazioni e direttive circa la materia giunsero ancora una volta dal cardinal Ferretti della Sacra Penitenzieria, che, oltre a precisare i vari casi in cui gli impiegati avrebbero dovuto o no ricorrere in ritrattazioni531 e le facoltà che spettavano all’episcopato:

Facoltà. Per quelli poi, che i Vescovi nel caso particolare, a concreto giudicheranno non essere chiaramente compresi nelle sopra enunciate categorie di cooperatori imputabili o nella consumazione dello spoglio, o nel mantenimento di esso, e non fossero creati ad hoc per l’esecuzione della legge, potranno i Vescovi stessi tollerare, che rimangano nell’impiego, se non possono dimetterlo senza grave detrimento o proprio della famiglia. Dovranno però questi attenersi dal lodare, approvare, consigliare, o in qualunque modo influire volontariamente all’esecuzione della legge; che anzi dovranno differirla, modificarla a favore delle persone, o cose della Chiesa per quanto è possibile, secondo la regola, che saranno per procurarsi da un pio, e dotto ecclesiastico, e svolta la sana dottrina de’ teologi. In ogni caso si cercherà di evitare lo scandalo, e si farà nota la facoltà ricevuta dalla Santa Sede per mezzo del Vescovo532.

Con la vicenda della legge per la soppressione delle congregazioni religiose, che si concluse con trentaquattro ordini spodestati dalla personalità civile, con 335 case soppresse e 5489 religiosi di ambo i sessi533, si chiudeva un ulteriore capitolo dello scontro fra la classe dirigente liberale del Regno di Sardegna e la galassia reazionaria subalpina, uscita politicamente sconfitta.

530 ADM, Carte Ghilardi, Cartella 79, Carteggio contro la soppressione delle corporazioni religiose, Sulla Circolare Rattazzi contro il Clero Piemontese. Parere del vescovo di Mondovì, Roma 27 giugno 1856, recto.

531 Essendo questioni assai tecniche non è il caso di specificare ulteriormente, poiché il tutto esula dai fini del presente lavoro.

532 ADM, Carte Ghilardi, Cartella 80, Copie di lettere al cardinal Ferretti 1855-1856, Lettera del cardinal Ferretti, della Sacra Penitenzieria, a monsignor Ghilardi, Roma 30 giugno 1856.

533 Cfr. R. Romeo, Cavour e il suo tempo, vol. III, cit., pp. 135-136.

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Conclusioni

Questa ricerca ha tentato, pertanto, di descrivere e analizzare il processo anticlericale sviluppato dal liberalismo sabaudo sorto fra il 1848 e il 1850 e conclusosi con le vicissitudini legate alla legge sui conventi, che ricevette la sanzione reale il 29 maggio 1855.

Come è stato argomentato nel presente lavoro, in questo arco cronologico il Regno di Sardegna mutò radicalmente la propria fisionomia giuridica e le sue consuetudini istituzionali. Da uno Stato caratterizzato da un ruolo preponderante della Chiesa cattolica nella sfera pubblica, con la presenza di un sostrato di corporazioni religiose e affini assai rilevante e che esso stesso si proponeva come «Defensor fidei», si passò a una realtà politica laicistica, con una profonda riduzione delle corporazioni e degli ordini religiosi prima diffusi, ponendosi come vero e proprio riferimento istituzionale e culturale per coloro che nel resto della Penisola contestavano il peso politico del cattolicesimo e delle sue gerarchie. In questo lavoro si è tentato di descrivere come, per quanto la classe politica reazionaria sabauda non sia riuscita a intraprendere un’azione di opposizione efficace ai progetti liberali di politica ecclesiastica, tanto l’ambito giornalistico culturalmente tradizionalistico, quanto il clero, con la rappresentanza di vescovi influenti e zelanti come il monregalese Ghilardi, riuscirono, comunque, a dare vita a un’importante mobilitazione che non solo dimostrò che una parte per nulla rilevante della società subalpina non aveva alcuna intenzione di seguire il tracciato che i governi liberali stavano imprimendo al Regno di Sardegna, ma che, addirittura, fece vacillare la convinzione di Vittorio Emanuele II di proseguire sulla linea inaugurata nel 1848 con la promulgazione dello Statuto.

Senza dubbio, il contesto politico e culturale sabaudo post-1848, oltre all’asprezza della battaglia politica, dimostrò certamente un particolare dinamismo fra le varie fazioni e componenti politiche che si fronteggiavano nelle aule parlamentari e sulla carta stampata. D’altra parte, dal fatto stesso che nel 1852 sia stata proposta una legge che dovesse promulgare il matrimonio civile, sganciando tale istituto dall’esclusiva regolazione confessionale, si può dedurre una precocità del dibattito politico subalpino di metà XIX secolo, se si pensa che, operando un confronto con un’altra realtà europea, in Spagna si arrivò a discutere di una legge che sancisse il matrimonio civile solo nel 1870, con i carlisti schierati su posizioni fermamente contrarie534.

La «galassia reazionaria», fra l’altro, se sino agli eventi del 1852 legati alla battaglia politica intorno al matrimonio civile aveva mantenuto una posizione legalitaria e ossequiosa nei confronti della figura del sovrano, così non fu con il tornante della legge sui conventi nel 1854-1855. Con la radicalizzazione politica sempre più pressante e una monarchia che oramai stava cambiando pelle, anche il contesto reazionario e clericale piemontese, attraverso i suoi giornali di riferimento, non mancò di esprimere velate e implicite critiche alla figura del sovrano, alla politica internazionale sempre più volta a cercare l’appoggio francese e britannico e, addirittura, alla campagna di delegittimazione liberale nei confronti dello Stato Pontificio e del Regno delle Due Sicilie. Il tradizionalismo piemontese, di cui l’«Armonia» ne fu la voce più autorevole in termini dottrinari, nel 1855 maturò una critica decisamente più serrata rispetto agli anni precedenti su quella che era la situazione complessiva del Regno sardo dell’epoca, avvertito come uno Stato che ormai aveva perduto irrimediabilmente le sue prerogative filo-cattoliche e le sue consuetudini giuridiche secolari. I tradizionalisti, con il tornante 1854-1855, avevano assunto un posizionamento politico decisamente più «anti-sistema» rispetto a qualche tempo prima, perdendo quel riferimento nella corona che prima possedevano.

La collocazione sempre più «anti-sistema» del contesto tradizionalista piemontese comprese anche la sua rappresentanza politica, come è stato documentato nel presente lavoro, a partire da colui che era stato un ex fedele ministro di Carlo Alberto: Clemente Solaro della Margherita. Solaro, nel suo discorso alla Camera del gennaio 1855 relativo alla legge per la soppressione delle congregazioni religiose, oltre ad affermare che la Chiesa cattolica fosse un’istituzione concepita con il diritto di proprietà sin dai suoi albori e a sottolineare il suo rilevante ruolo di assistenza sociale, non mancava di indicare come la stessa monarchia sabauda si stesse distaccando dalle proprie tradizioni consuetudinarie.

534 Cfr. C. Verri, Controrivoluzione in Spagna. I carlisti nell’assemblea costituente (1869-1879), Viella, Roma 2021, p. 97.

L’allontanamento della galassia reazionaria rispetto alla realtà politica e istituzionale sabauda, fra l’altro, si è sviluppata parallelamente al posizionamento sempre più negativo di papa Pio IX nei confronti del Regno di Sardegna. Se, infatti, la Santa Sede nel 1849 aveva intrapreso un canale di mediazione diretto con Vittorio Emanuele II ai fini della stipula di un concordato fra lo Stato Pontificio e il Regno sardo, ciò non significa che il papa modificò in positivo la sua valutazione circa lo situazione subalpina. Pio IX reputava pessima la situazione politica e culturale del Regno di Sardegna, pervaso di idee anticlericali e con fogli come la «Gazzetta del Popolo» che in maniera decisa e coerente attaccavano la temporalità del potere papale e il forte peso pubblico della fede religiosa cattolica all’interno delle strutture sociali dello Stato. L’avvallamento finale di Vittorio Emanuele al processo anticlericale, avvenuto formalmente attraverso la sanzione reale alla legge Rattazzi nel maggio del 1855, fu causa al sovrano sabaudo di una scomunica pontificia e sgombrò il campo dagli equivoci sui rapporti e i posizionamenti fra le varie realtà politiche e istituzionali della penisola italiana. Con il tornante 1854-1855, però, il movimento liberal-nazionale italiano ebbe sempre più in casa Savoia il proprio punto di riferimento istituzionale e i veri e propri progetti politici di Vittorio Emanuele e Pio IX, il quale rimase legato a un tradizionalismo attento alle questioni sociali535, finirono, infine, per allontanarsi in maniera irreversibile.

L’humus culturale reazionario, infatti, era permeato di un’idea organicistica della società, in cui la Chiesa cattolica svolgeva un importante ruolo giurisdizionale e di assistenza sociale. Inoltre, essendo presente nel pensiero tradizionalista la concezione della Chiesa come organizzazione sociale perfetta e di origine divina, non era affatto contemplata l’ipotesi, per le componenti della galassia reazionaria, di un primato del potere civile su di essa e, pertanto, questo può, almeno in parte, spiegare l’asprezza della lotta politica con il fronte liberale e laicista.

Con la promulgazione nel maggio 1855 della legge che sopprimeva varie congregazioni religiose si consumò in maniera pressoché definitiva la sconfitta politica dei reazionari, che, all’interno del contesto sabaudo, a parte le elezioni del 1857, non riuscirono più ad avere un importante ruolo politico. Anche il clima subalpino dopo il 1855 si fece sempre più difficile per le personalità della galassia clericale, se si pensa anche solo all’aggressione fisica subita a Torino da don Giacomo Margotti nella serata del 27 gennaio 1856536.

In seguito il Regno di Sardegna proseguì nel suo scontro politico con la Chiesa cattolica, influenzando in maniera determinante i rapporti del nascente Stato unitario con quella che era la realtà organizzata della fede religiosa professata dalla gran maggioranza della popolazione italiana.

535 Cfr. F. Cardini, Francesco Giuseppe, Sellerio, Palermo 2007, pp. 62-63.

536 Cfr. O. Sanguinetti, Cattolici e Risorgimento, cit., p. 83.

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Fonti

  • Archivio della diocesi di Mondovì, Carte Ghilardi, Cartella 1, Discorsi, prediche, appunti ante 1873.

Archivio della diocesi di Mondovì, Carte Ghilardi, Cartella 31, Corrispondenza con il papa 1843-1873.

  • Archivio della diocesi di Mondovì, Carte Ghilardi, Cartella 42, Circolari con il clero.
  • Archivio della diocesi di Mondovì, Carte Ghilardi, Cartella 68, Corrispondenza relativa al giornale l’«Armonia» 1851-1863.
  • Archivio della diocesi di Mondovì, Carte Ghilardi, Cartella 79, Carteggio contro la soppressione delle corporazioni religiose 1854-1858.
  • Archivio della diocesi di Mondovì, Carte Ghilardi, Cartella 80, Copie di lettere al cardinal Ferretti 1855-1856.
  • «Gazzetta del Popolo», num. 221, 17 settembre 1850.
  • «Gazzetta del Popolo», num. 194, lunedì 16 agosto 1852.
  • «Gazzetta del Popolo», num. 195, martedì 17 agosto 1852.
  • «Gazzetta del Popolo», num. 201, martedì 24 agosto 1852.
  • «Gazzetta del Popolo», num. 209, giovedì 2 settembre 1852.
  • «Gazzetta del Popolo», num. 216, sabato 11 settembre 1852.
  • «Gazzetta del Popolo», num. 217, lunedì 13 settembre 1852.
  • «Gazzetta del Popolo», num. 219, mercoledì 15 settembre 1852.

«Gazzetta del Popolo», num. 234, sabato 2 ottobre 1852.

  • «Gazzetta del Popolo», num. 52, giovedì 1 marzo 1854.
  • «Gazzetta del Popolo», num. 54, sabato 3 marzo 1854.
  • «Gazzetta del Popolo», num. 282, sabato 25 novembre 1854.
  • «Gazzetta del Popolo», num. 287, venerdì 1 dicembre 1854.
  • «Il Campanone», n° 144, giovedì 9 novembre 1854.
  • «Il Campanone», n° 146, sabato 11 novembre 1854.
  • «Il Campanone», n° 155, mercoledì 22 novembre 1854.
  • «Il Campanone», n° 164, sabato 2 dicembre 1854.
  • «Il Campanone», n° 167, mercoledì 6 dicembre 1854.
  • «Il Campanone», n° 168, giovedì 7 dicembre 1854.
  • «Il Campanone», n° 171, martedì 12 dicembre 1854.
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«La Campana», num. 600, sabato 28 ag

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https://notes9.senato.it/web/senregno.nsf/Senatori?OpenPage

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