Gonin e il quadro “death-bed” nel Castello Cavour


Francesco Gonin il pittore di casa Cavour. E’ nota l’illustrazione iconica dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni realizzata grazie a Massimo d’Azeglio. A Santena tra i suoi quadri spicca la raffigurazione nel “letto di morte” di Adelaide Lascaris di Ventimiglia, la cognata di Camillo Cavour.

Adelaide Lascaris

Adelaide Lascaris di Ventimiglia sul letto di morte, di Francesco Gonin

Francesco Gonin è uno dei tanti protagonisti del Risorgimento

Un interprete particolare, vissuto nel periodo che va da Carlo Felice a Vittorio Emanuele II. Un artista, trait d’union politico tra la borghesia e la nobiltà, interessate alla innovazione sociale, culturale e tecnologica. Tra queste figuravano le famiglie Benso di Cavour, Clermont-Tonnerre, Saladin di Ginevra, Seyssel, Breme, Litta, Mastrellet, Barolo, Dal Pozzo, Della Rovere, Provana, Faà di Bruno, d’Azeglio, Alfieri. Con la sua opera creò ponti e relazioni tra l’intellettualità del Piemonte e della Lombardia, con Alessandro Manzoni, Cesare Cantù e Carlo Porta. Gonin, alla corte di Carlo Alberto fece parte del cerchio magico di artisti anelli di connessione operanti nei nuovi contesti formatisi dopo la rivoluzione del 1821: il pittore-scultore-architetto-arredatore Pelagio Palagi, l’architetto del paesaggio moderno Xavier Kurten e l’ingegnere-architetto Ernesto Melano.

Nato a Torino il 16 novembre 1808 da Giovanni, di Luserna San Giovanni e da Sara Castanier, ginevrina, entrambi di religione valdese, Gonin è morto a Giaveno il 14 settembre 1889. Formatosi giovanissimo accanto ai migliori artisti della Accademia Albertina organizzata da Roberto d’Azeglio, nel 1826 e 1827 lavorò nell'Abbazia di Altacomba, realizzando tra gli altri gli affreschi della Vita di San Bernardo. Nel 1829 si convertì al cattolicesimo. L’intimo legame con i Benso è testimoniato dall’avergli affidato la raffigurazione di un momento delicato della loro vita. Oltre al quadro della morte di Adelaide Lascaris (1805-1833), a Santena ci sono i ritratti di Adele de Sellon, mamma di Camillo Cavour, anch’essa ginevrina e calvinista. Di Vittoria de Sellon, moglie di Aynard Clermont-Tonnerre. Di Augusto Benso di Cavour. Dei tre piccoli figli di Adelaide e di Gustavo Benso: Augusto, Giuseppina e Ainardo. Le illustrazioni della “Histoire de la maison de Savoie” dell’Abate Giovanni Frézet di Mentoulles, insegnante e precettore di Camillo, sono un ulteriore suggello della frequentazione di casa Cavour.

Il Castello di Santena è uno scrigno della storia patria

Quando Giovanni Visconti Venosta lasciò ai Torinesi il Castello Cavour e, successivamente, quando Maria Avetta, Carlo Pischedda e altri, nel 1955-60, diedero forma al “secondo” Museo Cavouriano di Santena avevano ben chiaro cosa volevano. Sapevano che c’era un pozzo inesauribile di memorie della storia patria. Di avere per le mani un bel contenitore, da riempire di contenuti. Per prima cosa, evitarono accuratamente di farne un mausoleo. Un monumento alla persona era il peggior favore che gli potessero fare. Volevano un museo vivo, in cui i contemporanei e Camillo Cavour parlassero ai loro discendenti ed eredi delle modernizzazioni e dei progressi apportati nella società italiana ed europea dai cambiamenti culturali, agricoli, religiosi, scientifici, tecnologici, infrastrutturali e istituzionali. Diedero anche il giusto risalto alle opere d’arte e agli arredi della casa in cui si è formato uno tra i più grandi agricoltori d’Italia e uno dei più importanti statisti d’Europa.

Tra i quadri più significativi esposero anche quello, di genere “death-bed”, letto di morte, di Francesco Gonin, raffigurante l’agonia di Adelaide Lascaris di Ventimiglia, moglie di Gustavo Benso e cognata di Camillo. L’acquarello rappresenta una vicenda comune di tutte le famiglie italiane, ma con qualcosa in più. Innanzitutto raffigura la morte della sposa di casa, dopo il parto. Quella giovane mamma muore la notte di Capodanno, il 31 dicembre del 1833. Il suo terzogenito, Ainardo, è nato il 12 dicembre. Venti giorni – il tempo per morire d’infezione –separano la gioia dalla disperazione. Un evento comune in quei tempi, di cui non si conoscevano i motivi della febbre puerperale. Oggi sappiamo che dipendeva dalle cattive condizioni igieniche con cui si trattavano le partorienti e più in generale i malati. Risultato: in ogni provincia c’erano migliaia di orfani, allevati in famiglia o affidati.

L’autore del quadro è uno degli artisti della rivoluzione culminata con l’Unità d’Italia

Lo attesta la sua collaborazione con Manzoni, suocero di Massimo d’Azeglio e amico intimo di Antonio Rosmini, correttore delle bozze dei Promessi Sposi, amico di famiglia dei Benso e collaboratore de “Il Risorgimento”. Il dipinto, commissionato da Gustavo Cavour, finito da Francesco Gonin nel 1834, ma abbozzato nel dicembre 1833 durante l’agonia di Adelaide, presenta vari livelli di lettura. Chiavi diverse che aprono squarci sulla storia degli Italiani e dei Cavour. Il piccolo dipinto è sempre stato esposto nella camera di Adelaide Lascaris di Ventimiglia, al primo piano dell’ala sinistra del Castello Cavour a Santena, prima stanza a destra.

La scena raffigurata è drammatica. Siamo a Torino, a Palazzo Lascaris, in un freddo giorno di fine dicembre. Nella stanza, accanto al letto, sono seduti due uomini. Il marito, Gustavo Benso, è preso di spalle: curvo, remissivo, accasciato, distrutto. Il padre di Adelaide, Agostino Lascaris di Ventimiglia, ritratto quasi di fronte, è chiuso in se stesso, altezzoso, anaffettivo, innaturalmente immobile. Dal loro atteggiamento si capisce che nella tragedia della morte, si svolge un altro dramma famigliare. Nel letto, si vede una donna giovane e bella, più bianca delle lenzuola. Il pittore ne dipinge la fine, il delirio, l’agonia. In un momento di lucidità la moribonda gli dirà “La riconosco bene, capisco cosa fa”. La mamma, la suocera, la nonna, i figli non sono rappresentati. Ci sono solo due uomini in preda ad un dolore che sembra provenire da un senso di colpa verso la morente. Entrambi daranno segni di depressione e di insofferenze, che ne mineranno la salute. Il pittore qui è sincero e lascia libero sfogo ai sentimenti. Si respira un profondo disagio. I due non si guardano, non si stimano. C’è il marito. Ma perché inserire anche il padre? Il motivo è semplice. Perché la scena si svolge a Palazzo Lascaris, la casa di Agostino, in cui la coppia risiede.

Il matrimonio di Adelaide Lascaris non era felice

Non erano una coppia ben assortita. Lo conferma Camillo nei suoi diari. Le famiglie non sono unite. Camillo scriverà pure che Agostino ha fatto torti infami al genero Gustavo. Infatti, il Lascaris se ne andrà da Torino nel 1835. Si trasferirà a Pianezza nella villa dove è sepolta Adelaide. Lì morirà nel 1838. A causa del suo irascibile e violento carattere, la moglie Giuseppina, l’ultima dei Carron di San Tommaso, già si era separata. E lui, in contrasto con i famigliari, lascerà all’Arcivescovo di Torino Don Giovanni Franzoni –il nemico giurato dei progressisti, degli innovatori, di cui facevano parte Camillo Cavour e i suoi amici– parte di Palazzo Lascaris e tutta la villa di famiglia di Pianezza. Delle sorti e dell’educazione dei tre bambini della coppia – Augusto, Giuseppina e Ainardo – si occuperanno i Benso. Ma questa è un’altra storia.

Il quadro fotografa, a futura memoria, un evento comune. La morte di una persona. Una disgrazia che modellava profondamente la vita sociale italiana fino alla metà del secolo scorso. Ritrarre persone “normali” nel letto di morte però non era usuale. Fino ad allora molti quadri avevano raffigurato il trapasso, ma il soggetto era prevalentemente religioso, oppure dissimulato da scopi scientifici. Altri raffiguravano teatralmente figure classiche e mitologiche. In questo invece prevale la tragedia intima e famigliare. Lo stile si diffonderà sull’onda dell’individualismo illuminista e romantico.

Lei sta morendo di febbri da parto

L’infezione si è impadronita del corpo. Il sangue è andato in acqua. Il pallore rende la pelle più bianca del lenzuolo. Cure e speranze non ce ne sono. Restano solo la preghiera e la rassegnazione. L’infezione è portata dai batteri di cui ancora non si conosce l’esistenza. Il “Santo” Luigi Pasteur li scoprirà più tardi, dal 1854 in avanti, lavorando sulla fermentazione e conservazione dei vini e della birra. Le cure delle infezioni arriveranno dopo. La penicillina, sarà scoperta da Fleming solo nel 1929, nell’anno della firma dei Patti Lateranensi e della grande crisi internazionale. Pasteur si occuperà però della diffusione delle pratiche di igiene e di prevenzione che già miglioreranno le condizioni. La disinfezione delle mani, delle attrezzature mediche e infermieristiche porrà un primo rimedio a quella che era un’enorme strage.

Nel 1833, Adelaide e tutta la sua ricca e potente famiglia, come gli altri mortali, non poteva che arrendersi alla volontà del Signore. La morente è ritratta tra le coltri, pallida, debole, remissiva. L’artista nel raffigurarla avvolge i due uomini nella tragedia. L’immagine è conformista, ma quella rassegnazione dice che Lei è vittima e non solo della malattia. Camillo Cavour nel suo diario completa la scena durata parecchi giorni. Lei non accettava il destino e si ribellava all’idea di morire. Delirava, aggrediva con male parole il marito, insultava i parenti e i presenti. A Lui arrivò a dire che le faceva ”l’effet du diable”. Il dipinto ricorda quanto la morte allora fosse un atto pubblico, in cui il morente era protagonista della scena e compartecipe al rito. Il sacerdote si recava presso il giaciglio più volte. Lo invitava a confessare tutti i peccati perché l’anima fosse libera di salire al cielo. Poi c’era la comunione. Il tempo veniva scandito dalla preghiera, in presenza dei famigliari. Con l’aggravamento, il sacerdote portava i conforti religiosi e infine, registrando nell’atto di morte se era o meno cosciente, gli impartiva il sacramento dell’estrema unzione, dando il viatico per l’aldilà. Se abitava vicino alla chiesa il moribondo sentiva il suono lento e greve delle campane che suonavano per lui, annunciandone l’agonia.

Ma chi era Francesco Gonin, pittore, incisore e decoratore capace di raccontare storie grandi e piccole?

I promessi sposi - Lucia

La sua carriera è legata alla committenza della borghesia, della nobiltà imprenditoriale e a Carlo Alberto, il principe del ramo Savoia-Carignano, di educazione francese, salito al trono nel 1831, dopo la morte dello zio Carlo Felice. La coscienza di essere un Savoia, di appartenere a una famiglia proveniente d’Oltralpe, con scarse radici nella grande cultura classica italiana, gli suggerì di sostenere una nuova politica culturale per affermare il ruolo storico della Sua casata nella Penisola e in Europa. Appena salito al trono inaugurò il monumento a Emanuele Filiberto, in piazza San Carlo, eseguito da Carlo Marochetti. Emanuele Filiberto è il Savoia che, facendo nel 1563 di Torino la capitale del Ducato, legò il casato alla storia del Piemonte e dell’Italia. Subito dopo diede vita alla Galleria Sabauda e alla Accademia Albertina dirette da Roberto d’Azeglio, fratello di Massimo, cognato di Cesare Alfieri di Sostegno, padre di Emanuele D’Azeglio, ambasciatore a Londra del Regno di Sardegna.

Carlo Alberto sostenne un programma di consolidamento delle radici peninsulari della dinastia che si espresse nel rinnovamento dei palazzi reali, da Torino a Racconigi, a Pollenzo, nella valle del Tanaro, vicino a Bra in cui operò il gruppo di intellettuali e politici formato da Pelagio Palagi, Ernesto Mellano, Xavier Kurten e Francesco Gonin. Un gruppo che ha lasciato una forte impronta ben presente nel Castello Cavour di Santena.

Gino Anchisi

da Santena, la città di Camillo Cavour, 11 febbraio 2023.