6 Giugno 2022 - Relazione di GINO ANCHISI, presidente Associazione Produttori Asparago di Santena e delle Terre del Pianalto


IL PAESAGGIO RURALE DI CAMILLO CAVOUR

6 giugno 2022, 161°. Relazione cerimonia ufficiale di commemorazione –unica nella Penisola– dell’anniversario della scomparsa del principale protagonista del processo culminato con l’Unità d’Italia. GINO ANCHISI, presidente Associazione Produttori Asparago di Santena e delle Terre del Pianalto e volontario Associazione Amici della Fondazione Camillo Cavour di Santena.

Cavour per noi Italiani è necessario come il pane.

Utile pure per rintracciare elementi unificanti e identificativi della comunità e del territorio in cui sta per nascere il Distretto del Cibo del Chierese-Carmagnolese. Un distretto strategico per la produzione di cibi sani, genuini, freschi che, oltre a nutrire il Torinese, il Piemonte e altre comunità, garantiscono anche una parte di autonomia e autosufficienza alimentare.

Da Camillo Cavour, che di territorio e di agricoltura se ne intendeva, viene un’interessante indicazione. Perplesso sulla moda di seguire i sistemi di coltivazione in uso al di sopra delle Alpi, insisteva sul valore della biodiversità che caratterizzava, e ancora caratterizza, la Penisola, il Piemonte e quindi il Pianalto, il Chierese e il Carmagnolese. Una differenza dai connotati del tutto speciali, anche tra queste tre aree, con in più un elemento comune: il rifornimento idrico dei terreni. Un problema ingigantito dal clima, già ben evidenziato da Cavour quando nei suoi scritti distinse i territori in sponda destra del Po, privi di montagne e scarsi di acque –è il caso del Bacino della Banna– rispetto a quelli in sponda sinistra. Il contadino-tessitore, sulla base delle conoscenze ed esperienze maturate in famiglia, differenziava infatti i territori del Piemonte in 5 parti. 1° Dove non si coltivava il riso. 2° Dove c’erano le risaie. 3° Dove non c’era abbondanza di acqua. 4° Dove ci sono Colline vinicole. 5° Dove ci sono Vallate Alpine e dell’Appennino settentrionale. Il Pianalto, il Chierese e il Carmagnolese in tale suddivisione rientrano tra le zone miste. Dove non c’è abbondanza d’acqua e ci sono colline vinicole. Sottolineando come si seguissero pratiche, abitudini, regole e tradizioni che mantengono ancora oggi una loro funzione influendo sull’uso del suolo, sulle coltivazioni e sulla produttività in tutte le cinque aree, sperimentò operazioni che ne modificarono il paesaggio.

Cavour non è un santo, un eroe o un semidio.

E’ semplicemente il politico di livello europeo e mondiale che meglio ha saputo interpretare e rappresentare gli interessi dei ceti sociali emergenti alla metà dell’Ottocento in Italia. L’approccio sociologico e la formazione illuministico-cristiana sono due dei pilastri su cui poggiò la sua azione di riformista in agricoltura, nelle istituzioni, nella comunicazione, nei trasporti, infrastrutture e logistica, nella Politica peninsulare, mediterranea e mondiale. L’esperienza maturata in diversi contesti fu per Lui una ricca fonte di conoscenze. Visse a Torino, a Santena, a Grinzane, a Leri di Trino Vercellese e a Ginevra. Soggiornò in tante località delle Colline piemontesi, della Pianura Padana, della Liguria. Dimorò in molte città e villaggi degli Stati Europei per lavoro, per piacere e soprattutto per lo studio dei sistemi istituzionali e sociali. Abitò in paesaggi urbani, rurali, marittimi, montani, industriali e agricoli, nei quali si è formato ed ha agito come imprenditore e politico. Tra i personaggi del Risorgimento Camillo Cavour è quello sempre attuale. Che nel tempo resiste come punto di riferimento storico per quanto riguarda i rapporti tra lo Stato e la Chiesa, le infrastrutture e la logistica dei territori, la geopolitica mediterranea, europea e mondiale, l’innovazione istituzionale, l’attenzione ai mutamenti sociali, la modernizzazione dell’agricoltura, la trasformazione del paesaggio.

Il paesaggio di Cavour, in particolare quello del Pianalto, del Chierese e del Carmagnolese e di Langhe-Roero e Monferrato, è il contesto in cui hanno lavorato e vissuto i suoi contemporanei, dove i segni della loro presenza sono ancora palpabili. Sono i nostri antenati di poche generazioni fa: i nostri nonni, le nostre bisnonne, i trisavoli e le quadrisavole.

Le relazioni territoriali

Il legame del Pianalto, del Chierese e del Carmagnolese con Langhe, Monferrato e Roero è solido e antico. Risale a prima dei Romani, ai Longobardi, al Medioevo, al Rinascimento e al Risorgimento e oggi è ancora più forte di quel che sembra a prima vista. E’ una forza che va oltre i nostri limiti visuali, immaginari e abitudinari. Perché il Bacino della Banna, che raccoglie le acque del Pianalto, del Chierese e del Carmagnolese, è territorio di vaste proiezioni, collocato su tre province: Torino, Asti e Cuneo. Un’area di relazioni con: la Città Metropolitana Torinese; il nord del Basso Monferrato; la parte est del Roero; la Pianura del Cuneese da Fossano, Saluzzo, Savigliano e la Pianura del Pinerolese.

Le Langhe

Le relazioni dei Benso con quello che oggi è il sito UNESCO dei Paesaggi Vitivinicoli di Langhe-Roero e Monferrato sono recenti. Risalgono ai primi dell’Ottocento. Nacquero da un matrimonio sbagliato tra Vittoria de Sellon, zia materna di Camillo, e Louis Roero Blancardi de la Turbie, signore di Ternavasso. Una triste vicenda conclusa nel 1806 da un divorzio –si era in tempi napoleonici– che trasferì una parte del Castello di Grinzane, di proprietà del marito, nelle mani della moglie a titolo di indennizzo. Si trattava di metà castello con 479 giornate. A completamento dell’acquisizione alla famiglia, nel 1821, Michele Benso, papà di Camillo e cognato di Vittoria de Sellon, comprò all’asta il resto del superbo maniero con cortile, orti, giardino, case e cascine per altre 66 giornate.

Dunque se non era per un Roero, di Ternavasso, di Poirino, cioè del signore di un territorio centrale del Pianalto, probabilmente i Benso non sarebbero mai sbarcati nel cuore delle Langhe. Oggi Grinzane Cavour è tra i più importanti siti della memoria patria. Uno dei pilastri del paesaggio vitivinicolo Patrimonio UNESCO. Col suo Museo, il torrone, le aziende agricole e industriali e il torrente Talloria, affluente di destra del Tanaro, è la terra che racconta la storia dei contemporanei di Camillo Cavour, in particolare dell’emancipazione dei “vignaioli poveri” dal Risorgimento ai giorni nostri. Qui, nel 1832, Camillo dopo aver lasciata la sua breve ma istruttiva esperienza di ufficiale del Genio militare, si stabilì in qualità di amministratore dei beni famigliari e di Sindaco. Qui, collaborando con Giulia di Barolo, con il Re Carlo Alberto, con enologi, mezzadri, lavoranti, particolari e commercianti, divenne l’esperto innovatore della produzione di vini di qualità.

Insieme ai Benso, all’inizio dell’Ottocento su queste terre arrivò anche lo spirito UNESCO, sospinto dalle relazioni famigliari e dalle emergenti visioni cristiano-illuministe. Va ricordato che all’origine dell’ONU, di cui l’UNESCO è un’agenzia specializzata, c’è infatti l’amato zio Jean Jacques de Sellon (1782-1839) ginevrino, calvinista, fratello della mamma di Camillo, Adele de Sellon e delle zie, Vittoria ed Enrichetta. Jean Jacques, come Cesare Beccaria, sosteneva l’abolizione della tortura e della pena di morte. In più era un pacifista preoccupato dall’emergere dei nazionalismi e dei conflitti tra le nazioni. Per questo motivo nel 1830 costituì a Ginevra la Società della Pace. Antesignana della Società delle Nazioni, nata dopo la Prima Guerra Mondiale. Antenata dell’ONU, creata dopo la Seconda Guerra Mondiale. Dopo questo conflitto, il 4 novembre 1946 è nata l’UNESCO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura.

Il Monferrato e il Roero

Sulla valle del Tanaro i Benso erano presenti con i possedimenti del castello di Bellangero, in sponda destra del Tanaro, a San Marzanotto, alle porte di Asti. Proprietari erano Enrichetta de Sellon, altra zia materna di Cavour e suo marito Louis d’Auzers. Dal loro castello Camillo, nel 1819, all’età di nove, in una lettera parlò del paesaggio notturno sulla Valle del Tanaro, illuminato dai fuochi d’artificio fatti nel Castello di San Martino Alfieri in onore del futuro re, Carlo Felice, allora Duca del Genevese, ospite degli Alfieri di Sostegno.

In quel castello stava lavorando Xavier Kurten (1769-1840), il paesaggista dell’Ottocento Sabaudo che integrava i parchi con la campagna circostante facendone un tutt’uno con il paesaggio rurale. I suoi parchi sono alla base del paesaggio moderno in cui il lavoro e la presenza delle persone si sposa con la natura e con i prati, le strade, i sentieri, gli alberi, gli animali: in sostanza, con tutto ciò che lo compone. Kurten realizzò oltre a quello di San Martino i parchi di Govone, Santena, San Salvà, Ternavasso, Pralormo, Agliè, Pollenzo, Monticello, Caselette, Castagneto Po, Sommariva Perno, Sambuy di San Mauro, Torrione di Pinerolo, Villa Garelli di Mondovi. A Racconigi, di cui fu direttore, collaborò con Ernesto Melano e con Pelagio Pelagi alle dipendenze di Carlo Felice e di Carlo Alberto. Come si vede si tratta di una raccolta di paesaggi cui manca solo l’inserimento nell’elenco UNESCO. Nel periodo della Restaurazione Kurten fu la figura che accomunò la nobiltà sabauda –con vaste proprietà terriere, interessata alle modernizzazioni del sistema sociale– in una visione realista del contesto in cui operava.

Tra costoro spiccavano gli Alfieri di Sostegno. Signori di San Martino Alfieri nel Monferrato astigiano, in sponda sinistra del Tanaro. Con proprietà a Magliano Alfieri e a Bra nel Roero. In quel 1819 ospitavano Carlo Felice di Savoia cui avevano restituito il Castello reale di Govone che avevano salvaguardato acquistandolo dagli espropri napoleonici. Furono loro a consolidare il legame dei Benso con il Roero e il Monferrato. Legame ampliato e integrato con le Langhe, nel 1851, dal matrimonio tra Carlo Alberto Alfieri di Sostegno e Giuseppina Benso di Cavour, la nipote ed erede di Camillo Cavour.

Il Paesaggio apre gli orizzonti

Cavour ha avuto, tra le differenti fortune, quella di frequentare e operare in paesaggi di pianura, di collina e di montagna. Dai quali ricavò l’attenzione agli ampi orizzonti, ai diversi contesti, alle attività produttive, al lavoro esercitato dalle persone. Visuali che lo sottrassero alla tentazione di cadere nel localismo, nel comunalismo e nello stesso zonalismo.

Camillo era uomo capace di superare i limiti, di guardare oltre i confini prestabiliti. Così fece a Santena, nel Pianalto, nel Chierese, nel Carmagnolese. A Bellangero e a San Martino Alfieri nel Monferrato. A Magliano Alfieri nel Roero. A Grinzane e ad Alba nelle Langhe. A Ginevra, nelle contrade europee e del Lombardo-Veneto, compresa Trieste. Luoghi raggiunti nei viaggi e soggiorni che lo abituarono alla visione europea, mediterranea e globale. L’esperienza dell’Accademia Militare e poi il servizio nel corpo del Genio nei forti alpini di Bard, Exilles, L’Esseillon, Fenestrelle e nelle fortificazioni liguri sul mare di Ventimiglia e Genova ampliarono ulteriormente i suoi orizzonti, negli studi come negli spazi. Quando finalmente intraprese l’attività di amministratore agricolo e poi di proprietario terriero, la sua opera si rivolse a pratiche che hanno avuto significativi effetti sul paesaggio. L’allevamento dei bachi da seta comportò la diffusione dei gelsi. Il bisogno di avere legna favorì la propagazione della gaggia e degli ontani nel Pianalto, nel Roero, nel Monferrato, nelle Langhe e nel Vercellese. Lo stesso accadde per la coltivazione della barbabietola, dei cereali, del riso, della vite e per l’allevamento del bestiame.

L’azione di Camillo Cavour e dei suoi contemporanei ha inciso, non solo sulla politica e sulla società ma anche sui territori e sull’ambiente. Basti pensare a quanto hanno segnato il paesaggio le infrastrutture ferroviarie e stradali, le opere di canalizzazione delle acque, l’uso dei concimi naturali e chimici, l’impiego di nuove e innovative macchine agricole, nonché l’emergere di nuove figure sociali nelle campagne come nelle città.

Il Chierese, il Pianalto, il Carmagnolese

La riscoperta del paesaggio che fu di Cavour e dei suoi contemporanei torna utile nel momento in cui si cercano gli elementi comuni tra queste tre aree che oggi fanno parte della zona 11 della Città Metropolitana Torinese.

Fra questi i più forti sono:

  • la storica carenza di acqua nel Bacino della Banna che va affrontata con un Contratto di Fiume per ripristinare gli invasi, le peschiere, i torrenti, i rii, i canali, i fossi e per completare il ciclo integrato dell’acqua, visto l’aggravarsi della situazione in seguito ai cambiamenti climatici;
  • il rischio costituito dalle disastrose alluvioni che da sempre hanno invaso i terreni agricoli e le cascine sparse, oltre i centri abitati e le borgate;
  • le infrastrutture viarie e autostradali che dai tempi dei Romani, dei Longobardi e oggi con le autostrade collegavano e collegano il Mediterraneo, l’Est della Pianura Padana, il centro e il Sud Italia, alle Fiandre, alla Germania, alla Gran Bretagna, al Nord Europa, alla Francia e alla Penisola Iberica;
  • la rete ferroviaria locale, interregionale e internazionale nata dalla mitica Torino-Genova (1848-1853) collegata tramite il tunnel del Frejus all’Europa e al Mediterraneo, fino al Canale di Suez e alle Indie;
  • le linee elettriche realizzate per sostenere l’industrializzazione realizzata tra gli anni Cinquanta e Sessanta del ventesimo secolo e oggi utili per affrontare il terzo millennio;
  • la rete di internet via cavo e via satellite;
  • le direttrici di industrializzazione, dei servizi logistici e della grande distribuzione sull’asse Moncalieri-Villanova con i prolungamenti su Villastellone e sul Chierese, e nel Carmagnolese;
  • il sistema di imprese agroindustriali e aziende agricole, singole e associate, specializzato in comparti che talvolta si integrano tra loro: allevamento, latticini, cereali e ortofrutta;
  • la viticoltura praticata nella Collina Chierese, nel Monferrato e nel Roero;
  • la rete dei PAT (Prodotti Agroalimentari Tradizionali) con relative associazioni di produttori;
  • le aree protette che uniscono la collina del Chierese, il Pianalto e il Carmagnolese con 3000 ettari di cui: il Parco della Collina di Superga, con Baldissero e Pino Torinese; la Confluenza Po-Banna 164 ha; San Michele di Carmagnola, 227 ha; Po Morto di Carignano, 502 ha; Peschiere e Laghi di Pralormo, 203 ha e… udite udite Stagni dei Favari in territorio di Santena, Villastellone e Poirino, 1843 ha, il cui centro è la cascina del Lai, antica proprietà dei Benso di Santena;
  • i dati e le informazioni raccolte nel Museo Civico di Storia Naturale di Carmagnola, nel Museo Civico Craveri di Storia naturale di Bra, nel Museo di Storia Naturale dei “Fratelli della Sacra Famiglia” di Chieri e nella rete dei Musei e degli Archivi del Territorio;
  • i legami geologici tra la Collina di Chieri, il Monferrato del sud-ovest, l’est Roero che hanno dato la forma attuale all’Altopiano di Poirino e al Bacino della Banna;
  • la presenza di ben due istituti superiori con una sezione Agraria: il Bernardo Vittone –Bonafous di Chieri e il Baldessano-Roccati di Carmagnola.

Il Bacino idrografico della Banna

L’elemento unitario più forte e antico del Chierese-Carmagnolese è innegabilmente il Bacino della Banna. Un anfiteatro fantastico, in cui l’inversione del flusso da ovest-est a est-ovest risale all’Olocene, a circa 10.000 anni fa. Un’area che va dalla Collina Chierese, al Monferrato, al Roero, praticamente da Trofarello, Chieri, Buttigliera, Pralormo, Montà, Ceresole d’Alba, Pocapaglia, Carmagnola, Villastellone e Moncalieri, chiuso a sud dal letto del Po. Un contesto che dal Monferrato al Roero è delimitato dal ciglio delle scarpate che arriva fino al Braidese, piega a Nord verso Sommariva Bosco, mentre prosegue a Sud verso Fossano.

Il dato che da sempre accomuna il territorio e gli interessi della comunità e oggi ancor di più, visto il cambiamento climatico, è la carenza di acqua. Una mancanza che nel passato è stata affrontata dai nostri antenati in modo egregio mobilitando nel Medioevo i Monaci Cistercensi dell’Abazia di Casanova di Carmagnola insediati pure a Testona, tra Moncalieri e Trofarello, e a Fortepasso, ultimo rilievo dell’Altopiano di Poirino che sovrasta la Zona di Po Morto.

Un’emergenza che oggi deve vedere i Comuni del Distretto del Cibo scendere in campo in prima persona al fianco delle aziende agricole e del settore agroindustriale.

Il contesto del Distretto del Cibo

Oggi ci si interroga su come sviluppare in modo sostenibile, produttivo e profittevole un territorio che collega l’Area Metropolitana Torinese con Langhe, Roero e Monferrato. Non dimenticando che confina pure con la pianura Saviglianese e Saluzzese della Provincia di Cuneo, col Basso Pinerolese, con l’alto Astigiano, con il Chivassese. Tenendo altresì conto che nel Bacino idrografico della Banna agricoltura, industria e logistica e infrastrutture sono inseriti nel MAB (Men and Biosphere Reserve UNESCO Collina Po), dove la Sogin vorrebbe fare un deposito di scorie nucleari. La domanda tira in ballo il senso che si vuole dare al contesto. Perché il paesaggio può essere invisibile, immaginario, apparente, illusorio, reale, concreto, pittoresco e incantevole. Lo si può guardare in orizzontale, in verticale, di traverso e in differenti modi: superficiale, interessato, premuroso, condizionato, prevenuto, orgoglioso.

Non è facile da osservare e soprattutto da interpretare. Il paesaggio è ciò che si vuole e riesce a vedere.

Quello di cui si parla non è il wild (selvaggio) dove si raccoglie ciò che la natura concede. Non è neppure solo e genericamente il green (verde). Ma quello rurale, talvolta integrato con l’urbano, tipico del Bacino della Banna dove la natura da millenni viene trasformata dopo che si è incontrata con il lavoro e l’azione delle persone intente a risolvere i problemi dell’alimentazione e della produzione di ricchezza.

Nel Piano Territoriale di Coordinamento 2 della Provincia di Torino, approvato dalla Regione Piemonte nel 2011, a pag 75, il Bacino della Banna è indicato come il territorio “in cui scorrono i corsi d'acqua del cosiddetto Altopiano di Poirino, individuato da un'area ai cui vertici sono situati gli abitati di Moncalieri, Chieri, Buttigliera, Montà, Ceresole e Carmagnola”.

Si tratta dunque dell’area in cui il Bacino della Banna è integrato con i torrenti Tepice e Stellone, demarcata dalla geologia, dalle infrastrutture, dalla morfologia, dai corsi d’acqua, dal clima, dalle pratiche agricole, dalle coltivazioni. Un territorio con una dimensione visiva piena di segni, colori, alimenti, significati, tradizioni e innovazioni. Disseminata di castelli, abazie, chiese, cascine, strade, rii, canali, boschi, prati, campi, viali, invasi, laghi, peschiere, mulini, fossi, ferrovie, ponti, fabbriche, ciminiere. Nella quale sono racchiuse storie, memorie, cultura, arte, mestieri, specializzazioni, acque scarse e terreni fertili e boschivi.

Nei secoli passati la fortuna del Pianalto è dipesa dalla forza scaturente dall’essere terra di frontiera, di scambio e di incontro tra la Grande Chieri, la Possente Asti e lo Strategico Marchesato di Saluzzo. Successivamente, nell’Ottocento, la sua sorte è dipesa dall’emersione di nuove categorie sociali portatrici di idee e interessi ispirati all’Illuminismo e al Cristianesimo sociale. Raccolta intorno a un’aristocrazia di proprietari terrieri, appartenenti a una nobiltà proiettata verso gli investimenti innovativi. Di grandi e medi possidenti interessati alla produttività dell’attività agricola. Di piccoli proprietari, artigiani, mezzadri, operai, professionisti e impiegati attratti dall’affermazione del lavoro e contrari alle rendite di posizione occupate dalla vecchia nobiltà, dal clero e dai militari.

Altri punti di forza del territorio sono stati il clima padano e l’utilizzo razionale dell’acqua. Nel Bacino della Banna – il più grande della provincia di Torino in sponda destra del Po, quindi non dotato di montagne – la gestione del ciclo integrato dell’acqua nel corso dei millenni e nell’Ottocento ha creato le condizioni per dare forma a un Distretto del Cibo del Chierese-Carmagnolese, oggi più che mai di attualità. Perno della rete, oggi come allora, è il fiume Banna, con i due affluenti Tepice e Stellone. La Banna scorre da Buttigliera d’Asti, Villanova, Poirino, Santena, Cambiano, Trofarello, fino a Moncalieri dove confluisce nel Po. Lungo il suo percorso raccoglie le acque che cadono per precipitazioni nel grande ventaglio racchiuso dalle Colline Chieresi, dal Monferrato e dal Roero. Un arco che corre dal Rio Sauglio, di Trofarello, alla Gora del Mulino Nuovo di Carmagnola, del Molinasso, di Fortepasso, di Borgo Cornalese che confluisce nello Stellone. Queste acque servivano per irrigare i campi coltivati a ortaggi, canapa, foraggio, granaglie e legumi. Le piantagioni di pioppi, gelsi, noci, ciliegi, alberi da frutta e salici. I boschi di querce, olmi, pioppi, carpini, tigli, gaggie e ontani. Per abbeverare il bestiame. Nel Bacino idrografico della Banna numerosi erano i possenti mulini tra Trofarello, Carmagnola, Villastellone, Poirino, Chieri, Santena, Cambiano. Veri e propri impianti industriali mossi dalla fonte energetica più importante del passato: l’acqua. Oltre a macinare mais, grano, segale, le loro ruote producevano forza motrice per le lavorazioni meccaniche, tessili, siderurgiche, cartarie, conciarie, metallurgiche, la pesta della canapa, la lavorazione del legno, il trasporto di merci. Un reticolo impressionante, faticosamente costruito nei secoli. Straordinario nell’utilizzare i dislivelli. Capace di raggiungere tutti i terreni della pianura sul modello di un efficace sistema di collegamento simile alle ramificazioni di Internet. Un modello ancora salvabile ma che oggi evidenzia evidenti necessità di manutenzione e di ripristino.

Acqua, da queste parti, ha sempre significato fortuna, benessere, pulizia e lavoro.

Per questo era raccolta, conservata e convogliata con mille attenzioni e accorgimenti. L’acqua era rispettata. Il ciclo integrato dell’acqua iniziava e tutt’oggi inizia dalla pioggia e finiva, tranne per quella evaporata, nel Po e quindi nell’Adriatico e nel Mediterraneo.

Persone e animali, nel corso dei secoli, si erano integrati nell'ambiente dando vita a un sistema che è durato fino a metà del Novecento.

Nel Dopoguerra, nel Pianalto, nel Chierese e nel Carmagnolese si è registrato un incremento dell’attività agricola e del comparto dell’orticoltura. Un comparto con alto impiego di manodopera e di capitale, delicato e strategico per il benessere delle comunità e delle persone, caratterizzato dalla piccola dimensione famigliare. Che oggi si contraddistingue per la forte propensione verso l’associazionismo tra imprese.

Quale Distretto del Cibo

Non è un caso che il Distretto del Cibo nasca come proposta nel 2018 dalle associazioni dei produttori e di categoria, incontrando nel 2021, dopo qualche tempo per il rodaggio, l’attenzione e la disponibilità dei Comuni, della Città metropolitana, delle Regione e di Enti e Associazioni territoriali. Una scelta che costituisce uno degli atti politici più importanti adottati in questi anni. Un Distretto del Cibo sostegno dell’attività delle aziende agricole e dell’agroindustriale. Uno strumento che deve prestare attenzione al paesaggio, all’ambiente, al cambiamento climatico, alla coltivazione e produzione di cibo fresco e sano, alla salute dei consumatori, nonché al ciclo integrato dell’acqua.

Nel momento in cui si ragiona su cosa dovrebbe fare il Distretto del Cibo è quanto mai necessario definire il contesto in cui si trovano ad operare le aziende agricole e dell’agroindustriale del territorio del Pianalto, del Chierese e del Carmagnolese. In buona sostanza, si tratta di individuare quali sono le caratteristiche del territorio e della comunità che vi opera per ricavare idee da tradurre in progetti a sostegno del necessario cambiamento. Perché una cosa è certa. In questi tre territori, da sempre uniti a livello infrastrutturale, culturale, idraulico, agricolo, religioso e ambientale, è necessario superare ogni residuo di campanilismo locale e zonale che limiti lo sviluppo sociale della comunità. Si tratta quindi di definire oggi una lettura, un atlante e un vocabolario condivisi capaci di dare significato al nascente Distretto del Cibo, di questa zona così importante dal punto di vista strategico e logistico per l’intera Provincia di Torino e per il Piemonte.

Esperienze che nel nostro territorio hanno trovato una felice soluzione nei PAT (Prodotti Agroalimentari Tradizionali) del Peperone di Carmagnola, dell’Asparago Santenese, delle Ciliegie di Pecetto, della Cipolla di Andezeno, del Porro e del Coniglio Grigio di Carmagnola, del Ciapinabò di Carignano, nel DOP delle Tinca poirinese, nel Pomodoro Costoluto di Cambiano, nella patata di Villastellone. PAT integrati con l’orticoltura. La frutticoltura. I prati permanenti per fienagione. La coltivazione del mais e del grano. L’allevamento avicolo, di suini e bovini. La produzione di latticini e formaggi. La coltivazione di erbe officinali. La viticoltura delle colline del Roero, del Monferrato e del Chierese.

La zona del Distretto del Cibo dimostra la validità di modelli adottati fino ad ora. Soluzioni che confermano quanto sia importante per le aziende l’infrastrutturazione del territorio. In particolare per quanto riguarda il ciclo integrato dell’acqua, la ricerca e il vivaismo, la viabilità interna e internazionale, la rete ferroviaria, la rete di distribuzione dell’energia e del web, la rete di stoccaggio, di trasformazione, di distribuzione, di commercializzazione e le relazioni con l’Area Metropolitana, l’Italia e l’Europa.

Parlando del passato e del presente del Distretto del Cibo inevitabilmente si fanno i conti con il suo futuro. Un destino in bilico tra l’indispensabile rinnovamento generazionale delle risorse umane impegnate nelle aziende agricole e le politiche di autonomia alimentare e di accessibilità al cibo sostenibile e di qualità. Un futuro di un paesaggio rurale indirizzato verso la produzione di cibo sottoposto alla concorrenza di prezzo e di costi proveniente dalla Penisola, dall’Europa e dal Mondo.

A questo punto Camillo Cavour torna utile per lanciare un appello ai politici. Perché sappiano, come Lui fece più di 160 anni fa, interpretare e rappresentare gli interessi e la domanda di servizi emergenti nella comunità statale, regionale, metropolitana e zonale.